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Esiste un solo male, quello dell'anima, e la gratitudine è la terapia per guarirne

di Francesco Lamendola - 05/09/2008

Abbiamo già avuto occasione di evidenziare, in diversi precedenti lavori e particolarmente negli articoli La nostalgia dell'infinito nella luce invernale che accende le cose di splendore e Un mondo ricco di significato è un mondo incantato che prega in ogni fibra (consultabili sul sito di Arianna Editrice) quale sia l'importanza della preghiera di lode e di ringraziamento nell'economia generale della vita interiore e anche in quella del cosiddetto mondo esterno, essendo l'una e l'altro, in effetti, due diverse facce di un'unica realtà spirituale.

Ci resta da svolgere qualche riflessione sull'importanza della gratitudine dal punto di vista della salute psico-fisica dell'individuo; gratitudine che andrebbe accompagnata dal perdono e dalla riconciliazione con gli altri e con l'Altro, dato che la conflittualità  con noi stessi e con il tu è una delle cause principali dello squilibrio psico-fisico e, quindi, del disordine spirituale ed organico che costituisce terreno fertile per l'insorgere della malattia.

Abbiamo già detto qualcosa sia a proposito della conflittualità con il proprio io (nell'articolo Per rispondere alla chiamata bisogna anche sapersi perdonare), sia con il tu (nell'articolo si. È possibile perdonare qualcuno che non chiede perdono?, sempre sul sito di Arianna); non ci siamo, però, soffermati sugli spetti benefici, a livello della salute fisica, mentale e spirituale, che il sentimento della gratitudine reca con sé, insieme a un atteggiamento di disponibilità al perdono e alla riconciliazione.

Quando si parla della capacità di manifestare il sentimento della gratitudine, generalmente si pensa a qualche cosa che attiene piuttosto alla sfera dell'educazione e a quella delle «buone maniere»; o, tutt'al più, alla sfera dell'etica, ma sempre - o quasi sempre - nella prospettiva, magari inconscia, di un tu devi di kantiana memoria. «Tu devi imparare a dire grazie», questo ci sembra il nocciolo fondamentale della questione.

Raramente ci capita di rovesciare il ragionamento, e di domandarci che cosa ne sia di un essere umano il quale si dimostri privo, o incapace, del sentimento della gratitudine. Ebbene, la risposta che le scuole tradizionali di sapienza hanno sempre dato a questa inusuale domanda è: quel tale individuo è fatalmente condannato ad ammalarsi; e la sua malattia sarò tanto più grave, quanto più egli si dimostrerà incapace di sviluppare la capacità di provare - e manifestare - gratitudine nei confronti del mondo che lo circonda: rocce, piante, animali, stelle, galassie, senza dimenticare, naturalmente, gli altri esseri umani con i quali è entrato in comunione e dai quali ha ricevuto qualche cosa nel corso della sua vita.

L'incapacità di provare ed esprimere gratitudine verso l'altro è all'origine di moltissime malattie ed è, a sua volta, una grave malattia essa stessa. È come se nella struttura psico-fisica di un tale individuo si verificasse un perenne corto circuito, per cui le energie spirituali dell'io, impossibilitate a riversarsi all'esterno, ritornassero indietro in un circolo vizioso narcisistico, intossicando l'organismo e precludendogli la possibilità di stabilire un equilibrio armonioso e pacificato tra le correnti energetiche e affettive  «in uscita» dall'io e quelle, per così dire, «in entrata» verso di esso, entrambe necessarie al mantenimento della salute complessiva della psiche non meno che del corpo di ciascun individuo.

Non solo.

Disconoscere ciò di cui siamo debitori nei confronti dell'altro - e tutti lo siamo, in varia misura - significa falsificare la verità della storia personale attraverso la quale noi siamo divenuti quello che siamo ora e quello che potremo diventare domani.

Perciò, chiudere la propria coscienza al sentimento della gratitudine vuol dire falsificare la verità di cui siamo i portatori e quindi, in ultima analisi, falsificare noi stessi.

Anche sotto questo rispetto, negare la riconoscenza alle persone e alle circostanze che ci hanno formati, permettendoci di crescere affettivamente, intellettivamente e spiritualmente, vuol dire condannarci a una condizione di squilibrio e, presto o tardi, di malattia, essendo la malattia una conseguenza pressoché inevitabile della menzogna esistenziale.

 

Scrive Massimo Scaligero - un originale discepolo tanto di Julius Evola quanto di Rudolf Steiner e dell'antroposofia - nel suo libro Guarire con il pensiero (Edizioni Mediterranee, Roma, 1975, 1988, pp. 173-177):

 

Nell'economia psico-fisica della forze dell'organismo, l'efficienza vitale dipende dall'equilibrio ogni volta conseguibile tra processi sottili edificanti e processi sottili distruttivi, ambedue necessari alla salute corporea, in realtà sempre in fieri. Quando la funzione distruttiva o edificante, propria al rapporto dinamico tra correnti astrali ed eteriche, eccede il proprio normale limite in un organo, questo si ammala. Compito del terapeuta, allora, è risalire alla causa e identificare se si tratti di origine organica, oppure nervosa, del male; egli può intuire il tipo di disfunzione morale che ne è alla base, epperò quale specifica azione venga richiesta all'Io, dall'eccesso di correnti distruttive o di correnti edificanti. (…)

Nella direzione dell'accennato tipo di terapia, va indicati un sentimento umano, che reca un essenziale impulso di liberazione del pensiero dall'influenza luciferica. Tale sentimento è la gratitudine. L'assenza di questo sentimento è alla base di tute le malattie del sistema nervoso. La gratitudine è, infatti, in sé sostanzialmente pensiero puro, che reca l'accordo del pensare con le forze profonde del sentore e del volere.

Il riesaminare la storia della propria vita e il rendersi conto di quanto si deve agli altri per ciò che si vale ora, il rievocare determinati esseri da cui si è ricevuto aiuto morale o pratico, il ristabilire mediante il ricordo il rapporto di riconoscenza con coloro che sono all'origine di mutamenti decisivi nella nostra vita:  significa ristabilire una condizione di verità dell'anima che si era necessariamente deteriorata. Significa connettere l'anima con le proprie forze originarie: cioè congiungersi con il contenuto benefico del karma, e sollecitarne la continuità.

Il sentimento della gratitudine reca virtù terapeutica, perché risveglia mediante il ricordo le forze estrasoggettive dell'anima: che sono le forze di profondità dell'Io, normalmente operanti mediante il karma. L'esercizio della gratitudine, come meditazione, libera l'anima dai vincoli sottili della malvagità, in quanto realizza la connessione con l'elemento di perennità delle altrui anime: in realtà il Divino cerca il Divino da anima a anima.

Scoprire il celato elemento della ingratitudine verso chi ci ha aiutati o illuminati , significa aprire il varco alla più intima potenza di Luce. L'ingratitudine è in effetto la celata avversione dell'ente ahrimanico verso chi ha cooperato al risveglio della vita interiore. Sbloccare il sentimento della gratitudine è un'operazione essenzialmente logica, perché ristabilisce la connessione interrotta tra la coscienza e il suo fondamento sovrasensibile. La connessione ristabilita è la forza della guarigione.

L'esercizio della gratitudine diviene particolarmente rigeneratore della vita dell'anima, quando, in riferimento alla medesima persona, deve lottare contro sentimenti di accusa o di rancore. Questi sentimenti vanno eliminati come non rispondenti alla verace natura dell'anima, ma soprattutto non rispondenti alla realtà interiore della persona in questione: realtà verso la quale unico veicolo dell'anima è la gratitudine. Ciò che di buono ci è venuto da un altro essere, ci congiunge con la sua verità: non si verifica l'opposto. Occorre in tal senso rivedere i rapporti umani trascorsi, per scoprire stati di menzogna che ci impediscono di trovare la connessione di verità con gli altri: la vera socialità, il germe della guarigione. Non v'è individuo incontrato nell'esistenza, a cui non si debba gratitudine per un dono, sia pure minimo, ricevuto. Il vero rapporto con l'altro è questo. Il problema sociale ha, alla base delle sue soluzioni tecniche, questo sentimento.

Ma, oltre a creature umane verso cui restaurare la gratitudine, esistono avvenimenti o occasioni di destino, cui si debbono i mutamenti benefici della propria vita: rispetto ai quali è suscettibile il più efficace sentimento di gratitudine: quello che essenzialmente postula nell'umano il Superumano.  Qui s'incontra la fonte stessa delle forze guaritrici, perché sollecita La connessione dell'Io con l'Io superiore. In tale direzione il sentimento di gratitudine può essere esteso a tutto ciò che quotidianamente ci viene incontro a facilitarci il compito dell'esistenza: a tutti i mezzi necessari allo scorrimento della vita, che troviamo a nostra disposizione e a cui ha operato l'umanità precedente. Di tutto quello di cui fruiamo durante il giorno per continuare l'esperienza umana, dobbiamo essere grati a coloro che hanno operato prima di noi, così come a coloro che nel presente quotidianamente operano. L'assenza di un sentimento di gratitudine sia verso gli uomini sia verso il creato- il mondi minerale, il vegetale, l'animale - che è a nostra disposizione, è in effetto uno stato di menzogna, di cui è essenziale guarire.

La gratitudine riguarda soprattutto il passato, cioè la connessione karmica. Non v'è connessione karmica che non s svolga per il nostro cammino interiore, cioè secondo il sacrificio altrui per noi e il sacrificio nostro per gli altri soltanto la conoscenza però dà modo di penetrare nel segreto di tale connessione. La conoscenza diviene riconoscenza. La riconoscenza, come gratitudine, è una scaturigine di guarigione, perché è il sentimento della verità: la condizione in cui il sentimento si libera dall'influsso soggettivo che gli è inevitabile e che è all'origine della sordità del corpo eterico rispetto alla propria funzione ritmizzatrice. Il sentimento della gratitudine, come riconoscimento del sacrificio in funzione della fraternità umana, non solo rianima di vita ritmica il corpo eterico, ma irradia nel Macrocosmo, da cui viene assunto e rinviato come forza modificatrice del destino umano, secondo il suo segreto nucleo divino.

Contrastare, nei confronti dell'altro, il proprio sentimento di condanna o di accusa, trovare giustificazioni concrete,  originarie, del suo operato, scoprire motivi di gratitudine nei suoi riguardi, significa operare secondo l'attitudine reale dell'Io: aprire il varco alle forze di verità edificatrici della vita. Naturalmente qui ci si riferisce a un livello puramente interiore, indipendente da quello necessario alle leggi umane per la salvaguardia giuridicamente convenuta della relazione sociale, rispetto a coloro che contravvengono ad essa: questi livelli non vanno confusi.

Divengono terapeuti mistici, capaci di operare guarigioni prodigiose in nome del Logos, coloro che giungono a tale trasparenza interiore, da avvertire la segreta gratitudine verso tutto e da poter rispondere con un atto di conoscenza, e perciò di amore, agli attacchi dello spirito di malvagità, come a qualsiasi forma di insidia dello Spirito della Menzogna.

 

Ora, è chiaro che per giungere a un riconoscimento dei motivi di gratitudine i quali ci legano, da un lato, a delle persone ben precise incontrate nel cammino della vita e, dall'altro, alla manifestazione complessiva del tutto (l'aria, la terra, le stagioni, il lavoro, i beni e i servizi a nostra disposizione), occorre realizzare innanzitutto una operazione di verità nei confronti del nostro stesso io, strappandoci impietosamente le maschere del nascondimento e del desiderio di dominio (cfr. il nostro articolo Per poter scegliere se stessi occorre prima sapersi riconoscere, sempre sul sito di Arianna Editrice).

Da qui, infatti, partiva la filosofia di Socrate, e da qui è sempre partita e sempre partirà ogni autentica ricerca di saggezza: conosci te stesso.

Si tratta di un'operazione tutt'altro che semplice, che presuppone un lungo tirocinio e che non può essere la premessa, ma semmai il risultato di una diuturna ricerca interiore; né si tratta di una condizione sufficiente per la riscoperta e la piena valorizzazione del benefico sentimento della gratitudine, grazie al quale si ristabilisce il ciclo virtuoso fra noi e noi stessi, e fra noi e l'universo intero.

Infatti, essere grati a qualcuno (o a qualcosa) significa essere grati per un bene ricevuto: il che presuppone che si sappia che cosa è veramente il bene, e che cosa non lo è, pur avendone - magari - tutte le apparenze.

Prima di dire: «Quella persona mi ha fatto del bene, e perciò le sono grato», è necessario,  evidentemente, essere in grado di capire che cosa sia il bene in generale e che cosa sia il nostro bene: che sono, poi, due facce di un'unica realtà (in quanto è impossibile che il mio vero bene non coincida con il bene in generale).

Il drogato in crisi di astinenza, ma a corto di denaro, che supplica lo spacciatore di fornirgli a credito la sua dose di eroina, potrà anche pensare, se accontentato, nella concitazione del momento, di aver ricevuto del bene, e che l'altro abbia fatto per lui una cosa buona. Ma così non è, e non occorre spendere parole per darne la dimostrazione.

Viceversa, un uomo che si offre agli aguzzini per andare alla morte al posto di un altro uomo, più di lui bisognoso di vivere (perché più fragile e spaventato, o perché ha una famiglia da mantenere), può sembrare che non realizzi il proprio bene, pur se dona il bene all'altro. Tuttavia, se si riflette  che bene e male sono sempre interconnessi, e che noi viviamo in una realtà in cui nessun essere umano può farsi «parte per se stesso», allora diviene possibile capire - pur se, da un punto di vista esclusivamente umano, ciò risulta faticoso - che andare volontariamente incontro a un male fisico per proteggere un'altra vita, più debole e bisognosa, è una elevatissima forma di bene anche per chi compie, in piena libertà e autonomia, una simile scelta di abnegazione.

Ecco, dunque, che abbiamo intravisto un criterio semplice ed empirico, ma estremamente efficace, per riconoscere il bene e per potere, sulla base di questa conoscenza, coltivare e sviluppare il doveroso e salutare sentimento della gratitudine. Il criterio, infatti, è in sostanza questo: bene è tutto ciò che amplia e arricchisce la sfera della vita dello spirito e, al tempo stesso, rende consapevoli della connessione con il bene (e con il male) dell'altro; male è tutto ciò che impoverisce e rimpicciolisce la vita dello spirito, e che ottunde la nostra sensibilità nei confronti del bene (e del male) dell'altro, al quale siamo legati per mille e mille fili.

E non c'è altro da dire.