Ripasso delle cause della crisi alimentare mondiale
di Damien Millet e Eric Toussaint - 05/09/2008
L’articolo 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo prevede che «Tutte le persone hanno diritto a un livello di vita sufficiente per garantire la propria salute, il proprio benessere e quelli della propria famiglia, specialmente per l’alimentazione, l’abbigliamento, l’alloggio, la sanità e i servizi sociali di base». Il forte aumento del prezzo degli alimenti di base, specialmente importante nel primo semestre del 2008, minaccia direttamente la sopravvivenza di milioni di persone. Il diritto all’alimentazione, già seriamente maltrattato da vari decenni di ricette neoliberali, è minacciato ancora di più.
Dopo una discesa molto importante dei prezzi dei beni primari (materie prime e alimenti) durante più di vent’anni, nel secondo semestre del 2001 la tendenza si è invertita. In primo luogo nel settore energetico e dei metalli, quindi la crescita dei prezzi ha attaccato i prodotti alimentari. Le crescite furono esorbitanti. Tra il 2007 e il 2008, in un anno, il prezzo del riso e del frumento sono raddoppiati e quello del mais è cresciuto di più di un terzo. Di colpo, il 27 marzo 2008, il prezzo del riso, che è l’alimento base della metà della popolazione mondiale, è cresciuto del 31%. Nel 2008, il costo dei cereali aumenterà del 56%, dopo una crescita del 37% nel 2007. Il barile di petrolio è arrivato a 146 dollari nel luglio 2008, l’oncia d’oro a 1.000 dollari nel marzo 2008 e il celemín (unità di misura della capacità dei cereali, pari a 4,625 dm³ - n.d.t.) di mais a 7,5 dollari nel giugno 2008, segni che illustrano la tendenza di quasi tutte le materie prime. Subito dopo le prestazioni simultanee delle multinazionali dei prodotti agricoli, dei governi adepti al neoliberalismo e del duo BM/FMI (Banca Mondiale/Fondo Monetario Internazionale), gli stock di cereali arrivarono al livello più basso dell’ultimo quarto di secolo. Nel 2008, di fronte al rischio di perdere le proprie rimanenze, alcuni Paesi produttori limitarono o addirittura arrestarono le proprie esportazioni, come la Russia coi cereali o la Tailandia con il riso, in modo che la produzione rimanesse nel mercato nazionale. Il prezzo di un pasto crebbe scandalosamente. In più di trenta Paesi, dalle Filippine all’Egitto e Burkina Faso, da Haiti allo Yemen e al Senegal, passando per il Messico, le popolazioni si riversarono sulle strade per gridare la propria collera e gli scioperi generali si moltiplicarono.
Le spiegazioni che vengono date, spesso si presentano in maniera efficace: disordini climatici che riducono la produzione di cereali in Australia e Ucraina, aumento brutale del prezzo del petrolio che si ripercuote sui trasporti e di conseguenza sulle merci, o anche la crescente domanda di Cina e India (il che spiega perché i prodotti poco richiesti da questi due Paesi, come il cacao, non hanno sperimentato la stessa crescita di prezzo). Però molti commentatori hanno rifiutato di porre questioni sul contesto economico in cui si producono questi fenomeni. Così, Louis Michel, Commissario europeo responsabile dello sviluppo e dell’assistenza umanitaria, temeva, soprattutto «un autentico terremoto economico e umanitario» in Africa. L’espressione è ambigua giacché l’immagine del terremoto si riferisce a una catastrofe naturale che ci supera e redime troppo facilmente una serie di responsabili. Inoltre, troppo spesso, si sottostimano altre tre spiegazioni al riguardo:
Prima. Di fronte a un prezzo dei cereali storicamente basso sino al 2005, le grandi imprese private del mercato agrario ottennero che i governi di Stati Uniti e Unione Europea sovvenzionassero l’industria degli «agrocarburanti». Queste grandi imprese volevano vincere su due fronti: vendendo i loro cereali e guadagnando dalla produzione di biocombustibili.
L’hanno ottenuto.
Come hanno fatto? Si sono basati sulla seguente ipotesi: ciò che il petrolio impedirà di fare entro alcuni decenni (dovuto alla riduzione delle riserve disponibili) la soia, la barbabietola (convertita in biodiesel) i cereali o la canna da zucchero (trasformati in etanolo) dovranno essere in condizione di permetterlo. Pertanto chiesero alle autorità pubbliche di assegnare sovvenzioni perché l’onerosa produzione di biocombustibili divenisse redditizia. Washington, la Commissione Europea a Bruxelles e altre capitali europee accettarono con il pretesto di garantire la sicurezza energetica dei proprio Paesi o Regioni (1).
Questa politica di sovvenzioni dirottò verso l’industria degli agrocombustibili grandi quantità di prodotti agricoli essenziali per l’alimentazione. Per esempio, 100 milioni di tonnellate di cereali, vennero escluse dal settore alimentare nel 2007. L’offerta diminuì in forma importante e i prezzi ebbero un forte rialzo. Allo stesso modo, alcune terre destinate alla produzione di alimenti vennero convertite in terre di coltivazioni per biocombustibili. Anche ciò diminuì l’offerta di prodotti alimentari e fece sì che crescessero i prezzi. In sintesi, per soddisfare gli interessi delle grandi società private che vogliono sviluppare la produzione di biocombustibili si decise di accaparrare certe produzioni agricole che il mondo necessitava per alimentarsi.
Persino le istituzioni internazionali si allarmarono per la situazione. Un rapporto della Banca Mondiale considerava che i disordini climatici e la crescente domanda dell’Asia avevano avuto minore impatto. Viceversa, secondo lo stesso rapporto, lo sviluppo degli agrocombustibili determinò un rialzo dei prezzi degli alimenti del 75% tra il 2002 e il febbraio 2008 (oltre il 140% della crescita globale, mentre la crescita dei prezzi dell’energia e dei fertilizzanti è responsabile di solo il 15%).
Questa stima è molto più elevata del 3% annunciato dall’amministrazione statunitense. Secondo la Banca Mondiale , questa esplosione dei prezzi sarebbe costata già 324.000 milioni di dollari ai consumatori dei Paesi poveri e potrebbe affondare altre 105 milioni di persone nella povertà (2). Questo rapporto afferma che «la produzione di biocarburanti creò disordine nel mercato dei prodotti alimentari principalmente in tre modi: in primo luogo, [la domanda di biocarburanti] orienta la produzione di frumento verso l’etanolo e non verso l’alimentazione. In secondo luogo, attualmente, quasi un terzo del mais che si produce negli Stati Uniti si utilizza per la produzione di etanolo e circa la metà degli oli vegetali (colza, girasole e altri) per il biodiesel. E infine, questa dinamica rialzista attrasse la speculazione sui cereali». Per non contrariare il presidente Bush, la Banca Mondiale non pubblicò questo rapporto. Un’infiltrazione della stampa permise che fosse conosciuto (3).
«È un crimine contro l’umanità la conversione delle coltivazioni alimentari in coltivazioni energetiche destinate ad ardere in forma di biocarburanti» (Jean Ziegler, allora Relatore dell’ONU sul diritto all’alimentazione, ottobre 2007)
Alcuni giorni dopo, l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) pubblicava a sua volta una relazione (4) che proponeva una moratoria sugli agrocombustibili e una ristrutturazione totale della politica in materia, nello stesso tempo in cui stigmatizzava l’alto costo dei biocombustibili di origine vegetale e il loro dubbioso beneficio per l’ambiente. L’OCSE segnalava inoltre che «le nuove iniziative politiche non fanno altro che aggravare i problemi esistenti», posto che i prezzi agricoli aumentano e accrescono il rischio di fame per le popolazioni più povere dei Paesi in via di sviluppo. Ciò nonostante, le previsioni segnalano una duplicazione della produzione di agrocombustibili nei prossimi dieci anni.
«Lo sviluppo e l’espansione del settore dei biocarburanti contribuirà all’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari a medio termine e all’aumento dell’insicurezza alimentare dei settori della popolazione più sfavoriti dei Paesi in via di Sviluppo» (OCSE)
Seconda. La speculazione sui prodotti agricoli è stata molto forte nel 2007 e nel 2008, accentuando un fenomeno cominciato al principio dell’anno 2000, dopo l’esplosione della bolla di Internet. Dopo la crisi dei subprimes, espolsa negli Stati Uniti durante l’estate del 2007, gli investitori istituzionali (soprannominati in francese zinzins) si ritirarono progressivamente dal mercato dei debiti costruito in forma speculativa a partire dal settore dei beni immobili statunitensi e si concentrarono nel settore dei prodotti agricoli e idrocarburi come probabile fornitore di interessanti benefici. Così, comprano i futuri raccolti di prodotti agricoli nella borsa di Chicago e Kansas City, che sono le principali borse mondiali dove si specula sui cereali. Allo stesso modo, in altre borse di materie prime comprano le future produzioni di petrolio e gas speculando al rialzo. Cioè, gli stessi che provocarono la crisi negli Stati Uniti con la loro avarizia, approfittando specialmente della credulità delle famiglie poco solventi degli Stati Uniti che volevano diventare proprietari di casa (il mercato dei subprimes), giocarono un ruolo molto attivo nella forte crescita dei prezzi degli idrocarburi e dei prodotti agricoli. Di qui l’estrema importanza di discutere l’onnipotenza dei mercati finanziari.
Terza. I Paesi in via di sviluppo sono particolarmente esposti alla crisi alimentare, giacché le politiche imposte dal FMI (Fondo Monetario Internazionale) e dalla Banca Mondiale dalla crisi del debito li hanno privati dell’imprescindibile protezione. Riduzione delle superfici destinate alle coltivazioni alimentari e specializzate in uno o due prodotti per l’esportazione, sparizione dei sistemi di stabilizzazione dei prezzi, abbandono dell’autosufficienza dei cereali, riduzione delle riserve di cereali, debilitazione delle economie per una estrema dipendenza dalle evoluzioni dei mercati mondiali, forte riduzione degli stanziamenti per finalità sociali, soppressione delle sovvenzioni ai prodotti di base, apertura dei mercati e apertura alla concorrenza sleale dei piccoli produttori locali contro le società multinazionali… Maestre nell’arte dello scacco, le istituzioni in questione riconoscono alcuni errori per rimanere meglio al centro del gioco internazionale. Però un timido mea culpa in un rapporto semiconfidenziale non può essere sufficiente, giacché commisero il crimine di imporre un modello economico che, in forma deliberata, privò le povere popolazioni delle protezioni imprescindibili e le lasciò alla mercé dell’avidità degli speculatori più selvaggi. Lontano dal preoccuparsi della miseria galoppante che contribuisce ad estendere, la Banca Mondiale sembra preoccupata, soprattutto, del disordine sociale che potrebbe minacciare la globalizzazione neoliberale che, per la propria struttura, genera povertà, disuguaglianze e corruzione, e impedisce qualsiasi forma di sovranità alimentare.
L’orientamento proposto da vari anni da «Vía Campesina», organizzazione internazionale dei movimenti contadini, costituisce una risposta alla crisi: «Per garantire l’indipendenza e la sovranità alimentare di tutti i popoli del mondo, è fondamentale che gli alimenti si producano nell’ambito di sistemi di produzione diversificati, a base contadina. La sovranità alimentare è il diritto di tutti i popoli a definire le proprie politiche agricole e, riguardo all’alimentazione, a proteggere e regolare la produzione agricola nazionale e il mercato interno con il fine di raggiungere obiettivi sostenibili, decidere in che misura cercare l’autosufficienza senza disfarsi delle proprie eccedenze presso Paesi terzi praticando il dumping. […] Non si deve anteporre il commercio internazionale ai criteri sociali, ambientali, culturali e di sviluppo» (Vía Campesina) (7)
Note:
(1) Segnaliamo, ancora una volta, la «politica dei due pesi e due misure»: per garantire la sicurezza energetica, i governi del nord non indugiano a sovvenzionare l’industria privata, mentre mediante la Banca Mondiale, il FMI e il WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio), negano il diritto dei governi del sud a sovvenzionare i propri produttori locali, sia nell’agricoltura che nell’industria.
(2) Vedasi www.cadtm.org/spip.php?article3518
(3) « Secret report: biofuel caused food crisis» (Rapporto segreto: il biocombustibile responsabile della crisi alimentare) The Guardian, 4 luglio 2008, www.guardian.co.uk/environment/2008/jul/03/biofuels.renewableenergy
(4) OCSE, «Évaluation économique des politiques de soutien aux biocarburants» (Valutazione economica delle politiche di sostegno ai biocarburanti), 16 luglio 2008, www.oecd.org/dataoecd/20/14/41008804.pdf
(5) «L’OCSE, molto critica sui biocarburanti, promuove una moratoria», dispaccio AFP, 16 luglio 2008.
(6) I principali investitori istituzionali sono i fondi pensione, le società di assicurazione e le banche; dispongono di 60 miliardi di dollari che collocano dove è più redditizio. Sono molto attivi anche gli hedge funds (fondi speculativi liberi), che possono muovere 1,5 miliardi di dollari.
(7) Vía Campesina, in Rafael Diaz-Salazar, Justicia Global. Las alternativas de los movimientos del Foro de Porto Alegre (Giustizia globale. Le alternative dei movimenti del Forum di Porto Alegre), Icaria editorial e Intermón Oxfam, 2002, p.87 y 90.
Traducido por Caty R. Caty R. pertenece a los colectivos de Rebelión, Cubadebate y Tlaxcala. Esta traducción se puede reproducir libremente a condición de respetar su integridad y mencionar a los autores, a la traductora y la fuente. [Tradotto da Caty R. Caty R. appartiene ai collettivi di Rebelión, Cubadebate y Tlaxcala. Questa traduzione può essere riprodotta liberamente a condizione di rispettare la sua integrità e di menzionare gli autori, la traduttrice e la fonte].
Damien Millet e Eric Toussaint
Fonte: www.cadtm.org
Link: http://www.cadtm.org/spip.php?article3624
Fonte: www.cadtm.org
24.08.08
Tradotto per comedonchisciotte.org da RICCARDO (http://www.alol.it)