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Economia (di mercato) canaglia

di Alessandro Farulli - 05/09/2008

Sfogli il Sole24Ore alla ricerca di qualche buona notizia. Un segnale incoraggiante, anche piccolo, che ti illuda che le tensioni sui mercati e la crisi economica mondiale almeno scalfisca qualche convinzione sul fatto che il nostro modello di sviluppo se non è proprio da cambiare almeno è da riorientare verso una maggiore sostenibilità sociale e ambientale. Ma così non è. Il rapporto Stern prima e le relazioni finali dell’Ipcc dopo, premiate tra l’altro con il Nobel, sembrano lontani e polverosi ricordi.

Eppure l’eccessiva finanziarizzazione dell’economia, per dirne una, continua a creare danni. Di oggi la notizia degli indici in forte calo ieri a Wall Street, scrive il Sole a pagina 2, «con gli scambi schiacciati dalla congiuntura economica e dalle aspettative di crescita dell’economia». Si parla di 12 delle 14 più importanti catene distributive Usa che hanno marcato i target e del 170 miliardi di capitalizzazione andati in fumo in Europa.

Curioso poi che Ken Perkins, direttore generale della società di ricerca Retail Metrics, individui una delle cause della situazione, nel fatto che «I consumatori si concentrano sui beni di prima necessità e cercano, con maggiore attenzione, i prodotti con i prezzi più bassi. Con inevitabili conseguenze sul business». Davvero una disdetta, non c’è che dire! Difficile (?) tra l’altro mettere in relazione quanto sostiene Perkins con il fatto che in America la disoccupazione è andata oltre le previsioni di circa 15mila unità…

Vogliamo poi parlare del petrolio? Quando volava verso quota 200 dollari sembrava l’apocalisse, ora che è sceso a 107 non risolve, pare, i problemi della borsa Usa e si scopre che le compagnie potrebbero avere manipolato i dati sulle riserve petrolifere – c’è un’inchiesta in corso – in quanto «avrebbero avuto interesse a comunicare riserve inferiori alla realtà per poi beneficiare dei conseguenti aumenti del prezzo del barile».

Se qualcuno pensa però che gli Usa siano in ginocchio, basta voltare pagina fino alla 5 sempre del Sole per scoprire che la crescita negli Stati Uniti ha sorpassato quella dell’Europa. Per Galimberti e Paolazzi «come accade anche ai più violenti uragani tropicali, la tempesta perfetta che ha frenato l’economia mondiale sta perdendo forza» non solo «Lo sgonfiamento della bolla americana volge al termine, con prezzi che scendono meno velocemente e vendite che si stabilizzano: negli Usa si chiude così l buco nero che toglieva un punto di tasso di crescita. E si allontana il rischio di avvitamento tra finanza ed economia reale». «La crisi finanziaria – proseguono – non è passata ancora. Ma fa meno paura nelle conseguenze reali. L’erogazione di credito non è più parca per minor voglia di erogare fondi da parte delle banche ma per il minor desiderio di famiglie e imprenditori di domandarne».

Insomma, il quadro è ben delineato. Passata (o non passata) la paura si cerca di imparare una lezione tutta giocata sui tecnicismi che permetteranno in futuro di far fronte ad ogni tipo di catastrofe (finanziare come ambientale) senza cambiare una virgola del modello di sviluppo occidentale e del suo mercato reale e finanziario. Si è cercato di cambiare tutto per non cambiare nulla e se qualcuno, come timidamente Mario Monti, parla di economia sociale, arriva Salvatore Carruba – oggi lui, ma gli esempi sono molteplici – a bacchettarlo e a parlare di equivoci da chiarire quando si parla di un ruolo dello Stato «che essi vorrebbero trasformare da garante delle regole a giocatore». Non sia mai infatti che lo Stato cerchi di riorientare l’economia, esso serve solo per tappare i buchi e salvare le aziende che falliscono o le banche che crollano…

Il democratico mercato, dunque, ci salverà perché in grado di trovare la formula magica per far star bene sempre più persone nel mondo e farle diventare perfetti consumatori di domani, tanto se anche non consuma, non è che la cosa sposti più di tanto: si taglia un po’ di personale qui, si chiude qualche negozio là, si alza qualche prezzo e oggi si viene a scoprire (sempre il Sole) che per le grandi catene di supermarket italiani la crescita è pari al 6,6% grazie ai rincari.

Ma se qualcuno ancora crede nella teoria del trickle down, ovvero nelle briciole di chi sta in cima che sfamano a catena anche quelli che stanno in fondo, potrebbe domandare se funziona agli angolani dove (sempre il Sole…) ci ricorda oggi che nonostante il Pil cresca a ritmi del 20% (attenzione alle percentuali… non significa che l’economia voli, ma che cresce del 20% rispetto al suo Pil dell’anno precedente) grazie alle commodities petrolifere e minerarie e agli investimenti cinesi, il miracolo economico non sconfigge affatto la povertà: il 70% delle popolazione vive con meno di due dollari al giorno e un bambino su quattro muore prima dei cinque anni. In Angola, per la cronaca, abbondano le materie prime tra le quali diamanti e petrolio… ma i poveri si sono praticamente mangiati tutti gli animali selvatici perché il petrolio e i diamanti non sfamano loro ma l´elite politica che esporta capitali nelle banche svizzere e nei paradisi fiscali offshore.