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L'amore è un dono irrevocabile che, una volta offerto, non potrà mai più essere ripreso

di Francesco Lamendola - 08/09/2008

 

 

Una mattina della tarda estate, presso la riva del fiume.

L'acqua scorre rapida nel suo letto incassato fra le alte sponde, limpida ma bruna per l'ombra perenne con cui l'avvolge la volta delle  chiome; e la sua voce è una musica gioiosa e ininterrotta,  che si sparge fra i tronchi muschiosi.

Un fitto bosco misto di pioppi, di salici, di acacie e di noccioli, avvolti nelle spire dell'edera selvatica, lascia filtrare solo di quando in quando la luce del sole, e si alterna alle macchie ancor più fitte e quasi nere del bambù; mentre migliaia d'insetti volano e ronzano in quel loro regno verde e nascosto.

Ogni tanto, una vecchia casa abbandonata, dalle finestre sbarrate; un cadente ponticello di pietra, che nessuno più attraversa; e un antico mulino, le cui pale si sono fermate da chissà quanto tempo: tutto parla di una presenza che se n'è andata - quella degli uomini -, lasciando piante ed animali padroni incontrastati di quel piccolo reame.

Scendiamo in riva all'acqua, dove la sponda è meno ripida.

Anche il corso del fiume, in quel tratto, si è fatto un po' più lento, pur restando tutt'altro che pigro; siamo ormai a valle della cascatella, e anche la vegetazione sulle rive si apre parzialmente, mostrando alcune macchie di verde tenero dell'erba, sotto un cielo azzurro e senza nubi che ha ancora la misteriosa profondità dei lunghi giorni caldi dell'estate.

Il tronco di un salice piangente si china obliquamente, e spinge la sua cima fin quasi sopra la sponda opposta, gettandosi come una sorta di ponticello sospeso, che sfiora l'acqua con l'estremità delle fronde.

Là dove le lunghe foglie pendule toccano la superficie, le increspature della corrente si confondono con quelle prodotte dai cerchi che quelle dita sottili, per quanto lievi, allargano tutto intorno a sé; e quel duplice gioco di minuscole onde, che brillano nella chiara luce del mattino sul mobile specchio d'acqua, crea infiniti riflessi, rendendo il fiume che scorre tra le alte rive una cosa viva, che  respira e sussurra in una lingua inaccessibile.

 

Eraclito sosteneva che non ci si può mai bagnare per due volte nella stessa acqua, perché tutto scorre senza posa e nulla permane identico a se stesso.

Vien fatto di immaginare il filosofo greco sulle rive di un fiume come questo, nel gioco di ombre e luci in cui la corrente entra ed esce continuamente, come se fosse inghiottita e liberata, senza posa, dal chiaroscuro di cento e cento piccoli ponti.

Certo, se ci chiniamo a raccogliere un'urna d'acqua viva con le mani, non sarà la stessa acqua che è passata veloce qualche istante fa, né quella che passerà fra un momento; e questo pensiero produce in noi un senso di transitorietà, che fa quasi venire le vertigini.

Ma è proprio vero che questa è la grande legge delle cose: che tutto scorre sempre, senza fermarsi mai e senza mai tornare indietro; e che nulla permane?

Non potrebbe essere questo un errore di prospettiva, dovuto alla nostra piccolezza e alla sua inseparabile compagna, la presunzione? Il giudizio dei sensi, è noto, ci inganna anche nelle esperienze quotidiane che sembrano più evidenti di per se stesse, come il moto apparente del sole di giorno, e quello della luna e degli astri, la notte.

Perché, dunque, non potremmo ingannarci anche su questo punto: credere che lo scorrere delle cose sia una legge universale e immutabile, estesa - per di più - dall'ambito della natura a quello della vita spirituale?

In realtà, se si guarda un po' più a fondo, non si tarda ad accorgersi che le cose, probabilmente,  stanno altrimenti, sia nell'uno che nell'altro ambito.

L'acqua in cui bagno la mano adesso, forse è proprio la stessa in cui l'ho bagnata la settimana scorsa, restituita al fiume dalla pioggia.

Tutte le cose permangono, diceva Parmenide; tutte le cose ritornano, diceva Nietzsche, attingendo a una concezione antichissima, propria non solo della cultura greca.

Dire che tutto scorre, equivale a sostenere che tutto va perduto, incessantemente; che l'universo è un perpetuo meccanismo di dissipazione.

Eppure noi sentiamo, lo sentiamo nel più profondo del nostro essere, che esiste - dietro la superficie del movimento - una unità profonda, una armonia che tutto abbraccia, una forza centripeta che non disperde nulla, che non spreca nulla, che non si dimentica di nulla: né di un filo d'erba, né di un sorriso, né di un sospiro.

Quando i cerchi sull'acqua si allargano al massimo, improvvisamente scompaiono, e la superficie torna liscia e tranquilla.

Il movimento, la dispersione, il non ritorno sono la contingenza; l'unità, la quiete, la permanenza, sono la fonte limpida dell'Essere.

 

Fra tutte le cose che permangono immutabili, pur nell'apparenza del cambiamento, quella che più rimane fedele a se stessa è l'amore: anche a dispetto della volontà.

Amare qualcosa o qualcuno, significa offrire un dono che non potrà mai essere revocato, perché è il dono totale di se stessi.

Certo, molte circostanze possono cambiare, nel corso del tempo; gli amori - si dice - finiscono, e ad essi ne subentrano di nuovi.

Ciò sarebbe vero, se amare fosse la stessa cosa che infilarsi o togliersi un vestito; ma non è così: tutt'altro. Amare veramente qualcosa o qualcuno, vuol dire sigillare un impegno che dura per sempre, e che niente e nessuno potranno mai sciogliere.

Eppure, molte persone sono pronte a giurare il contrario: non sulla base di astratte teorie, ma su quella della propria esperienza vissuta.

Ci guardiamo bene dal voler discutere con l'esperienza; l'esperienza è un fatto, e coi fatti non si discute.

Bisogna essere certi, però, di averli saputi interpretare rettamente. Anche il moto del sole nel cielo è un fatto: ma è un fatto dei nostri sensi, non della realtà in se stessa.

 

Prendiamo il caso dell'amore di una persona nei confronti di un'altra, che è finito perché la persona amata si è rivelata non meritevole di esso.

A un certo punto, dopo enormi sofferenze, la persona amante si rende conto che l'oggetto del proprio amore era un prodotto della sua mente, che aveva rivestito degli attributi più belli, ma immaginari. Allora, quella persona «ritira» - se così ci possiamo esprimere - il sentimento d'amore che aveva nutrito per l'altro, dicendo a se stessa che è stata ingannata; e cerca, con tutte le sue forze,  di voltare pagina.

È una situazione piuttosto frequente, perfino banale, se fosse lecito considerare tale una esperienza così delicata, come quella che coinvolge l'intero mondo affettivo di un essere umano.

Ma, in realtà, che cosa è avvenuto, esattamente?

Noi non crediamo che l'amante abbia davvero cessato di amare. Piuttosto, la sua volontà ha «deciso» che il suo amore era stato mal riposto e, quindi - al prezzo di un intenso sforzo - ha «espulso» l'amato dal suo mondo affettivo, giudicandolo indegno di rimanervi.

Lasciamo perdere la questione se sia possibile smettere di amare una persona che si è amata con tutto se stesso, oppure no; anche se poi, insieme alla delusione, sono sopravvenute l'avversione e, magari, l'odio nei suoi confronti. Alcuni lo affermano, altri lo negano; altri ancora tengono una via di mezzo, sostenendo che quella persona sarà oggetto perpetuo di odio e amore, inestricabilmente legati insieme, con mille fili misteriosi che nessuno potrà dipanare.

Lasciamo perdere tale questione, perché riguarda la psicologia individuale; e, in tale ambito, sono possibili risposte diverse a seconda del soggetto.

E non diremo neanche che quanti affermano di poter smettere di amare la cosa o la persona che hanno amato, in realtà non l'hanno amata veramente.Sarebbe un modo di procedere un po' sleale, perché nessuno ha il diritto di giudicare, dall'esterno, l'autenticità o l'intensità di un sentimento così intimo, come l'amore.

No, la questione che ci interessa è di carattere generale ed è piuttosto filosofica che psicologica, poiché attiene alla natura umana in quanto tale.

La domanda che ci poniamo, pertanto, non è se l'amante possa, realmente, cessare di amare l'amato; ma se il sentimento dell'amore possa essere negato, ritirato e cancellato a  proprio piacere dalla vita della coscienza.

Non bisognerebbe dimenticare, infatti, che l'amore non è mai un rapporto a due, ma (almeno: e su questo almeno torneremo in altra occasione) a tre: l'amante, l'amato e la creatura nata dal loro incontro: il sentimento stesso dell'amore.

Qualcuno potrebbe obiettare che l'amore non è amore in generale, ma amore per una certa persona (o una certa cosa); e che, quindi, l'amore e l'amato si identificano agli occhi dell'amante. Noi non lo crediamo. Ci sembra, piuttosto, che l'amore per la persona amata e l'amore in quanto tale si sovrappongano e, apparentemente, si identifichino; restando però, in effetti, distinti.

A sostegno di ciò, consideriamo quello che accade quando un amore, secondo il linguaggio comune, «finisce» (ma lo mettiamo tra virgolette, perché questa è appunto la tesi che aspetta di essere dimostrata). In quel momento, la persona che era amata, smette di esserlo; ma l'amore che si era acceso nell'amante, quello no, non cessa di esistere: sussiste a dispetto di tutto, anche se, a livello della ragione e della volontà, l'ex amante si impone di tirarvi un rigo sopra.

È allora che emerge come l'amore per l'amato e l'amore in se stesso fossero rimasti due realtà distinte, anche nel «tempo felice»: perché, se fossero stati, o se fossero divenuti, una cosa sola, insieme dovrebbero scomparire. Invece un amante deluso può smettere di amare la persona amata, ma non potrà mai più recidere da sé l'amore che ha provato e che, in se stesso, continuerà ad appartenergli, per sempre.

Non stiamo parlando, semplicemente, del ricordo. Quello, è chiaro che rimarrà per sempre: e tanto più forte e vivo, quanto lo è stato il sentimento che ha pervaso quell'amore. No, stiamo parlando dell'amore in se stesso, dell'amore che era diretto verso quella persona (o quella cosa), ma era da lei distinto; amore che è irrevocabile e indistruttibile, anche se la persona (o la cosa) che ne era l'oggetto, ha smesso di ispirarlo nel cuore dell'amante.

Nessuna forza al mondo sarà mai in grado di «togliere», e tanto meno di cancellare, il sentimento dell'amore che è stato nutrito per qualcuno o per qualcosa. Esso continuerà a vivere nella parte più profonda dell'amante, a dispetto del fatto che la persona (o la cosa) amata non sia più tale; e, quanto al passare del tempo, esso non conta affatto, perché l'amore conosce un solo e unico tempo: il presente.

Non si può parlare dell'amore al passato o al futuro; l'amore è, semplicemente; e, se è, allora è sottratto allo scorrere del tempo, e accompagnerà fedelmente l'amante fino all'ultimo istante della sua vita - e oltre.

 

Si potrebbe osservare che, se le cose stanno così, l'amore è un sentimento profondamente «ingiusto», perché ci lega anche a nostro dispetto, anche nostro malgrado; anche a colui o colei che si rivelano immeritevoli di una tale «fedeltà».

Ma l'amore, come qualunque altro sentimento, non è una idea, bensì un fatto: e coi fatti, lo abbiamo già visto, non si discute.

Piuttosto, a quanti si sentissero defraudati, in qualche misura, del loro libero arbitrio, davanti al pensiero della permanenza assoluta dell'amore, si potrebbe far notare che l'amore, quando nasce, diviene parte del nostro essere; e che non ha senso vergognarsene o risentirsene, anche a distanza di tempo, più di quanto ne abbia vergognarsi o risentirsi delle proprie rughe o dei propri capelli che s'imbiancano.

Certo, vi sono molti che lo fanno.

Sono gli analfabeti dell'anima; e, come tali, analfabeti anche dell'amore.

Vergognarsi di aver amato è un sentimento meschino; anche se è perfettamente lecito ritenere non più degno di amore qualcuno (o qualcosa) che ci era sembrato tale.

La persona che desidera perfezionarsi spiritualmente non arriverà mai a maledire il momento in cui si è innamorata: mai, anche se - poi - si è resa conto di avere mal diretto la propria capacità di offrire l'amore, cioè se stessa.

Al contrario, essa saprà far tesoro della esperienza vissuta e continuerà ad essere fiera di aver amato intensamente, senza riserve e senza secondi fini.

Il vero amore è sempre bello, anche se può rivelarsi non bello l'oggetto verso cui era diretto. Ma perché ci si dovrebbe dolere di aver creduto in qualcuno?

Una persona capace di amare veramente, sarà sempre una bella persona; e il sentimento che l'ha riscaldata e illuminata, non smetterà mai di essere una parte preziosa della sua vita.