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Gli Ogm sono serviti

di Gianni Del Vecchio e Stefano Pitrelli - 08/09/2008

 

 
I produttori di sementi transgeniche sono convinti di sbarcare in Italia dal prossimo febbraio. Grazie al sostegno di Berlusconi e di una lobby potente e trasversale. Mentre l'Europa vuole aprire ai mangimi biotech
Ci sono due fronti, l'un contro l'altro armati, e c'è il pomo della discordia: un pomo geneticamente modificato. Il partito degli Ogm in Italia è sempre stato una minoranza, ma il vento sta cambiando. E dall'8 maggio, data di nascita del Berlusconi IV, i manager delle aziende biotech hanno messo lo champagne in frigo. Come dargli torto? Grazie all'amichevole partecipazione dell'attuale governo, già dal febbraio 2009 i semi transgenici potrebbero attecchire nei nostri campi. Semi di mais, o semi di soia, tanto per cominciare, per un affare che, solo nei primi due anni, varrà più di 700 milioni di euro. Gli scaffali e le tavole si riempiranno con il tempo di biscotti e salatini con un nuovo retrogusto, le massaie friggeranno patatine in olio Ogm, e il latte di soia avrà una marcia (e pure un paio di geni) in più. Senza contare che, come spiega Greenpeace, già oggi il pennuto o il bovino che cuciniamo per cena aveva probabilmente pranzato con soia o mais Ogm.

La lobby trans Siamo alla vigilia di una rivoluzione. I piani biotech del centrodestra hanno alleati forti anche a Bruxelles, dove la Commissione europea si prepara ad aprire le porte ai mangimi transgenici, sfruttando una scorciatoia per evitare di affrontare una nuova legge (vedi box a pag. 49). Sono proprio i mangimi a rappresentare il cuore di questo business. Secondo Nomisma, in Italia il 90 per cento di mais e soia finisce ruminato o beccato. E i due, insieme al cotone e alla meno nota colza (da cui si ricava olio per frittura), rappresentano le quattro piante Ogm più diffuse nel mondo. Da noi, però, a far gola alle aziende biotech è solo questa accoppiata transgenica, visto che in Italia si coltivano più di un milione di ettari di granturco e circa 200 mila di soia. Un vero terreno di conquista per quelli di Assobiotec, fronte comune delle società di biotecnologia nel nostro Paese: "Mi auguro che il nuovo clima politico favorevole ci permetta, già dalla prossima stagione della semina, di avere in campo prodotti sperimentali, per poi procedere con la commercializzazione", rivela il direttore Leonardo Vingiani. Un affare d'oro, dato che - spiega - in soli due anni dall'ingresso nel mercato "potremmo assicurarci una fetta del 30 per cento". Il che, stando a conti de 'L'espresso', vorrebbe dire 600 milioni di euro in mais e più di cento milioni in soia. Un bel piattone di polenta, ma neanche una cucchiaiata per le imprese nazionali. Perché, sostiene Viggiani con l'ottica dell'imprenditore, "nello scorso decennio è stata cavalcata un'isteria anti-Ogm che ha impedito la nascita di protagonisti italiani". Assobiotec rappresenta quindi i soliti noti e i soliti sospetti dell'Ogm multinazionale: Monsanto, Bayer, Syngenta e la Pioneer del gruppo Dupont. In pratica, uno fra i più potenti pacchetti di mischia del lobbismo mondiale.


Risale agli inizi di quest'anno uno dei loro ultimi affondi, un sondaggio commissionato a Demoskopea fra i maiscoltori lombardi. Dove si legge che il 67 per cento degli intervistati sarebbe disposto a coltivare Ogm 'se nel prossimo futuro la legge lo consentisse', e che la percentuale sale (al 74) sulla propensione alla sperimentazione. Più è grande il terreno che hanno da coltivare, più tendono a essere d'accordo. Ma questo non sorprende, visto che il mais, come la soia (in gergo, colture 'estensive'), vuole grandi spazi.

Largo alla scienza Si spiega così quel solco che vede Confagricoltura da una parte, sempre più apertamente schierata in favore degli Ogm, e Coldiretti e Cia dall'altra. Una differenza di vedute, e di necessità, fra i relativamente pochi grandi coltivatori (come i maiscoltori del nord-est di Futuragra) che lamentano una produzione in calo e sognano i benefici della genetica, e i tantissimi piccini che curano il proprio orticello di nicchia e temono di vedere la proficua diversità dei prodotti italiani schiacciata da un'omologazione targata Ogm (vedi intervista a fianco).

Ecco allora che lo scontro si trasferisce sul piano della ricerca. Dove tanti scienziati ingrossano le fila del partito filo-Ogm. Molti di questi si trovano riuniti sotto le insegne del Sagri (Salute, Agricoltura, Ricerca): dall'Accademia delle Scienze alla Società di genetica agraria, dalla Società italiana di tossicologia all'associazione Galileo 2001, passando per la Fondazione Umberto Veronesi, l'associazione Luca Coscioni e la stessa Futuragra. Capitano della squadra è Roberto Defez, ricercatore del Cnr di Napoli. Che si chiede: "Cosa succederà quando nutrire gli animali con mais non Ogm diventerà improduttivo? E quando il mais non Ogm scomparirà del tutto?". Per Defez il punto è che "le istituzioni hanno paura", e quel che ne risulta è "una legislazione ostile all'Europa", dove invece, spiega, è lecito coltivare per ragioni commerciali almeno una singola pianta Ogm, la famosa Mon810 ('figlia' della Monsanto). E mentre c'è chi progetta riso, grano e patate geneticamente modificate (e non solo un paio di geni per volta), c'è anche chi attribuisce al transgenico una funzione 'salvifica' nei confronti dei prodotti a rischio estinzione. Come Francesco Sala, docente di botanica a Milano e membro di Galileo 2001, che ribalta le paure sul rapporto fra Ogm e biodiversità: "L'Italia ha grande bisogno di Ogm proprio per salvaguardare i suoi prodotti tipici. Basti fare l'esempio del pomodoro San Marzano. Sta scomparendo per colpa dei nuovi parassiti che lo assalgono, e lo salveremo solo modificandolo geneticamente".