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I segreti dei Tarquini

di Andrea Carandini - 08/09/2008

   
L’archeologo Andrea Carandini rilegge i racconti leggendari della tradizione romana sugli ultimi re di Roma, i Tarquini, mettendo in luce il sostrato storico di quelle narrazioni. I Tarquini, provenienti dall’Etruria, introdussero molti cambiamenti sia nell’ordinamento regio che nella religione, ma soprattutto dettero a Roma una dimensione da potenza mediterranea. Non possono essere considerati una dinastia in senso stretto, perché il potere monarchico non passò di padre in figlio, come del resto accadde anche con i primi re di Roma. L’unica eccezione, sostiene Carandini, è costituita da Servio Tullio, figlio segreto di Tarquinio Prisco, che impresse una svolta filo-popolare alla costituzione della città.

I primi re di Roma hanno trasformato un agglomerato “proto-urbano“ con poca campagna in una città-stato con territorio grande come quello di Veio. La saga di Romolo e dei successori racconta questa fondazione in forma di leggenda, ma nomi e gesta principali sembrano veri all’archeologo. I secondi re - Tarquinio Prisco, Servio Tullio, Tarquinio il Superbo - hanno trasformato Roma in potenza mediterranea, capace nel 509 a. C. di sottoscrivere un trattato con Cartagine. La loro saga racconta questa rifondazione della città, anch’essa in chiave leggendaria, ma con sostanza storica più corposa. È la storia di una dinastia? No, infatti a Roma nessun figlio è mai salito sul trono del padre, salvo forse un caso…
L’esordio è strepitoso. Siamo in Grecia, a Corinto, e vi regnavano da oltre quattro secoli i Bacchiadi, discendenti di Eracle e Zeus. Nel 657 a. C. prende il potere il tiranno Cipselo, che dei Bacchiadi fa strage. Alcuni fuggono per mare, come il ricchissimo Demarato, che su una nave carica tesoro e artigiani edili, diretto all’etrusca Tarquinia, la città con cui da anni commerciava. Qui rimane straniero e vive erigendo case e templi dai tetti in terracotta policroma per nobili abituati a capanne, diffonde saperi e sposa una nobile del luogo, da cui ha due figli. Uno di questi muore e poco dopo scompare Demarcato. Il tesoro va quindi tutto al figlio rimasto, Lucumone. Facoltoso e colto, sposa Tanaquil, signora di alto rango, che rimpingua la già grande fortuna. Mal sopportando un marito meteco, lo incoraggia a migrare a Roma, dove gli stranieri meritevoli potevano ottenere cittadinanza, onori. Con amici, servi e naturalmente il tesoro salgono su carri e giungono al Gianicolo. Qui un’aquila toglie e restituisce il copricapo a Lucumone, presagio di regalità secondo Tanaquil, educata nelle cose divine come le dame destinate a magistrati, sacerdoti e sovrani. Scendono quindi al ponte Sublicio, appena eretto sul Tevere, ed entrano nel Santuario di Vesta, dove era la casa del re, Anco Marcio.
Anco conquistava terre verso il mare, controllava le salinae, fondando Ostia... Dal mare giungevano idee nuove. [...] Affascinato dal signore cosmopolita e dai suoi mezzi, Anco ospita Lucumone in casa, gli dona poi un lotto per costruirvi una dimora, lo fa cittadino - chiamato Lucio Tarquinio - e lo promuove consigliere, comandante della cavalleria… Designazioni al trono?
Nel 617 Anco muore e Tarquinio legittimamente gli succede, ma aveva cercato consenso brigando e spendendo, abitudini per allora sorprendenti. Conquista terre latine verso la Sabina, aiutato da un “comandante”, di cui molto si diceva e poco si sapeva... Per celebrare le vittorie il re introduce dall’Etruria abiti regi e una processione trionfale che, circondato il Palatino, terminava sul Campidoglio, all’ara di un Giove oramai ottimo e massimo: pareva la salita di Eracle all’Olimpo. Tarquinio allestisce per Giove un’area sacra destinata a un tempio grande come quelli d’Asia Minore, progettato da lui ma eretto dai successori. [...]
Infine il re amplia di un terzo i consiglieri regi per soddisfare la sua fazione e raddoppia la cavalleria. La vecchia nobiltà non sopportava di essere mescolata a gente “minore”. Nel frattempo il loro ideologo, l’augure Atto Navio, era scomparso: ucciso da Tarquinio, si sospettava. Fremevano anche i figli di re Anco, che avrebbero voluto succedere a Tarquinio, com’era legittimo (Anco infatti discendeva da Numa), ma avevano davanti lo spettro del misterioso “comandante”.
Si diceva che questo “comandante” fosse nato nella casa di Tarquinio da una serva, presa alla vinta Corniculum, presso Tivoli. Un figlio di nessuno? Servius si chiamava, per l’origine, ma poi era stato amato, liberato e chiamato con gentilizio fittizio Tullius, nome forse diffuso intorno a Tivoli… Ma la corte prediligeva un’altra storia: un fallo apparso dal focolare regio, sacro ai Lari, avrebbe fecondato la madre, come quello apparso nel focolare della reggia di Alba che aveva generato Romolo. Era in vista un rifondatore di Roma? Ma presso il volgo circolava una terza storia, più plausibile, rivelata da Cicerone, che a unirsi alla donna fosse stato lo stesso re… Servio sarebbe stato allora un principe di sangue regale corinzio, un nobile di Tarquinia, un figlio di donna latina, che diventerà re, succedendo a suo padre: fatto unico a Roma, e tenuto segreto!
Tra il 581 e il 578 la fazione dei tradizionalisti entrò in azione contro Tarquinio: il re era vecchio e se Servio fosse salito al trono sarebbe stata la loro fine. Tarquinio aveva un figlio legittimo, che non poteva succedergli, di cui un affresco di Vulci rivela l’identità: Gneo Tarquinio di Roma (certo non era un fratello del re). Lo vediamo raffigurato a capo di mercenari etruschi avversari degli amici del re. Sappiamo che Tarquinio, in pericolo grave, aveva chiesto soccorso al condottiere vulcente Cele Vibenna: lo testimoniano gli eruditi di Roma e l’affresco etrusco, ma non gli storici. Si trattava di un amico di Tarquinio, probabilmente da lui scelto anni addietro per iniziare Servio alla tattica politica. [...] Nell’affresco vulcente appare, fra gli amici del re, un personaggio chiamato Macstrna - magister in etrusco - che significa “il comandante”. L’imperatore Claudio, erudito etruscologo, in un discorso al senato del 48 d. C. aveva rivelato chi era: Servio Tullio. La pittura etrusca rivela infine come era finito quello scontro fra bande: Macstarna/Servio e un suo compagno, Marco Camillio, avevano sconfitto Gneo Tarquinio e quest’ultimo stava per trafiggerlo... Il figlio del re era quindi un suo acerrimo nemico, che non è un fatto sorprendente. Che Gneo fosse stato fatto sparire, come già Atto Navio? Gli storici romani nascondono questi fatti: era diventato segreto di stato e deve essere stato lo stesso Servio, salito al trono, a cancellare le vicende più scabrose nei Commentarii: il magister aveva fatto fuori Gneo Tarquinio, come poi Aulo Vibenna (fratello di Cele), oltre a Atto Navio… Vista la vittoria di Servio, i Marci mandano sicari alla casa del re, che riescono ad ucciderlo. I senatori stanno per proporre successore un Marcio…, quando Tanaquil sbarra la casa e dominando la folla dall’alto di una finestra annuncia che il re non era morto, stava riprendendosi e aveva nominato Servio reggente. Servio, protetto da guardie e con le insegne regie, raggiungerà il Foro, esilierà i Marci e prenderà il potere come un tiranno greco. Darà alla città una costituzione nuova, filo-popolare, che avrebbe dovuto essere coronata dalla fine del potere monarchico e l’inizio di un potere collegiale. Protetto inizialmente dalla dea Fortuna [...] Servio l’avrà infine contraria. Un figlio di Gneo, Lucio Tarquinio (il Superbo) farà scannare l’uccisore del padre vicino alla sua casa sull’Oppio. Un discendente di Tarquinio Prisco, Bruto, tornerà a Servio, fondando la Repubblica.