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Può una madre trentaseienne perdere la testa per un dodicenne? Il caso di Mary Kay Letourneau

di Francesco Lamendola - 09/09/2008

 

 

Una decina di anni fa gli Stati Uniti furono scioccati da una vicenda sessuale bollente, dalle pesanti implicazioni penali. Una insegnante trentaseienne residente nella città di Kent, stato di Washington, sposata e madre di quattro bambini fra i due e gli undici anni, Maty Kay Letourneau, fu accusata di aver avuto rapporti intimi con un suo allievo dodicenne, un ragazzino di origine samoana, Vili Fualaau.

La relazione era incominciata nella primavera del 1996 e, divenuta di dominio pubblico, aveva portato a un primo arresto della donna, con l'accusa di stupro: per la legge, il reato di stupro si configura in tutti i casi di rapporto sessuale fra un soggetto maggiorenne e uno minorenne, indipendentemente dal fatto che il secondo sia stato, o meno, consenziente. L'insegnante era rimasta incinta e, nel maggio 1997, aveva messo alla luce una bambina, figlia del suo alunno, allora quasi quattordicenne.

Processata nel mese di agosto, Letourneau si dichiarò colpevole e si vide ridurre la pena iniziale di sette anni e mezzo di prigione a soli sei mesi, con l'obbligo, però, di sottoporsi a terapia per curare i suoi «disturbi» psicologici e di non rivedere più il ragazzo; la bambina venne data in affido alla madre di lui, che, a quanto pare, aveva «perdonato» la non desiderata nuora. La «cura»consisteva nella frequenza di un corso di rieducazione per molestatori sessuali, che la donna frequentò con scarsa convinzione: non si sentiva una stupratrice, ma una persona perdutamente innamorata, che non provava vergogna dei propri sentimenti. Doveva anche assumere dei farmaci dai pesanti effetti collaterali, tra i quali la caduta dei capelli.

Circa un mese dopo essere stata rimessa in libertà (suo marito se n'era andato, chiedendo il divorzio e ottenendo l'affido dei quattro figli), nel febbraio del 1998, Letourneau si incontrò con il minorenne ed ebbe nuovamente dei rapporti sessuali con lui. Sorpresa dalla polizia in flagranza di reato, venne immediatamente arrestata e riportata in prigione.

Mentre ormai il suo caso stava imperversando sui media, le leggi di tutela sui minori rendevano ancora ignoti il nome e il volto della «vittima»; ma la madre di questi, adducendo le proprie difficoltà economiche, decise di vendere alla televisione l'uno e l'altra e, da quel momento,  al pubblico americano furono date in pasto, in dosi sempre più massicce, le immagini dei due protagonisti della scabrosa vicenda.

La situazione era paradossale: attraverso le interviste televisive, i due amanti avevano la possibilità di aggirare il divieto della legge a comunicare fra loro, inviandosi messaggi sotto gli occhi di milioni di telespettatori. Fualaau rilasciava ai giornali romantiche dichiarazioni d'amore per la sua donna, sostenendo che lui e lei erano anime gemelle e che, in qualche vita precedente, dovevano già essersi conosciuti e amati. L'ex marito tradito non fu da meno e decise di sfruttare il morboso interesse mediatico per scrivere un libro sulle sue disavventure coniugali.

Letourneau, intanto, era rimasta nuovamente incinta del suo amante minorenne e, nell'ottobre del 1998, aveva messo alla luce una seconda bambina, tra le mura del carcere.

Dopo aver scontato la sua pena, la donna è stata  rimessa in libertà, ormai quarantaduenne, il 4 agosto del 2004. Fualaau, che aveva promesso di aspettarla, ha mantenuto la parola; i due si sono sposati nel maggio del 2005, nei pressi di Seattle, con le loro due creature (e la figlia maggiore del primo matrimonio di lei) a fare da damigelle d'onore.

 

Questi, i fatti.

Sono molte le considerazioni che si potrebbero fare su questa vicenda, che di certo avrebbe potuto verificarsi in qualsiasi Paese del mondo - e che, probabilmente, è già accaduta chissà quante volte - ma che negli Stati Uniti ha assunto una connotazione spiccatamente scandalistica, grazie alla tendenza di quella società a trasformare in business qualunque fatto, anche il più sacro e privato, purché vi sia la possibilità di trasformarlo in una fonte di guadagno economico.E, in effetti, non è senza qualche esitazione che abbiamo deciso di rievocarla, dato che già in troppi ne hanno parlato, sfruttando quel sottinteso di malsana curiosità cui, indubbiamente, si presta una storia di questo genere.

D'altra parte, la questione centrale che essa pone sul tappeto - quale sia il confine tra l'amore e lo stupro, in un rapporto sessuale tra due persone che la legge colloca in due categorie nettamente separate, quella dei maggiorenni e quella dei minorenni - è tale da renderlo idoneo ad aprire una pacata riflessione in proposito, che possa contribuire a chiarire, almeno in parte, una tematica così ardua e delicata.

La prima considerazione che ci sembra di poter fare è che, in casi come quello di cui abbiamo parlato, risulta particolarmente evidente la discrepanza che esiste sempre, anche in circostanze più ordinarie, tra la lettera e lo spirito della legge. Non esistono, né mai sono esistite, leggi perfette, neppure nella Repubblica di Platone, perché non esistono leggi che si attaglino in tutto e per tutto ai casi concreti che configurano un reato. La complessità e, sovente, l'ambiguità della vita concreta,  eccedono per forza di cose, anche nella migliore delle legislazioni possibili, la lettera del codice penale e di quello civile.

Le leggi, quando sono ispirate a un equo senso di giustizia, pongono dei limiti tra ciò che deve considerarsi lecito e ciò che non lo è; al giudice e alla corte, poi, tocca il compito di tradurle in pratica, ispirandosi a criteri che ne rendano possibile una applicazione quanto più possibile ragionevole, imparziale e proporzionata. Ma, inevitabilmente, si tratterà sempre di criteri approssimati e suscettibili di margini di opinabilità; e ciò, ovviamente, a prescindere dalla possibilità, tutt'altro che aleatoria, che si verifichino dei veri e propri errori giudiziari.

Dunque, il principio che la legge cerca di fissare, in casi come quello in questione, è che le persone più giovani, e non ancora sufficientemente mature per fare delle scelte responsabili, devono essere tutelate nei confronti dell'approccio sessuale degli adulti. È un principio ineccepibile, che nasce dalla volontà di tutelare il sacrosanto diritto che hanno i bambini di essere protetti da ogni forma di molestia e di non venire strumentalizzati da adulti senza scrupoli, il cui unico scopo è quello di perseguire il proprio piacere, abusando della loro debolezza e inesperienza.

Nel caso specifico di Mary Kay Letourneau, tuttavia, si ha l'impressione che qualcosa non quadri rispetto a tali premesse. Da una parte, infatti, vediamo una donna adulta, già sposata (peraltro infelicemente) e madre di quattro creature, che si innamora perdutamente di un ragazzino - con l'aggravante, se vogliamo, che era un suo allievo - e che, pur di non essere separata da lui, affronta ripetutamente il carcere, la gogna mediatica e l'ostracismo sociale, decisa a far valere le ragioni del proprio sentimento, pagando duramente di persona le conseguenze della propria scelta. Dall'altro, vediamo una «vittima» che non solo è consenziente, ma che è stata lei stessa a chiedere l'intimità sessuale; che ha sempre proclamato a gran voce l'innocenza  della sua «violentatrice»; che, dopo averla messa incinta per ben due volte, ha atteso che ella scontasse la sua pena per poi sposarla, una volta raggiunta la maggiore età.

A dispetto di tutto quello che gli psichiatri possono dire sui disturbi della personalità di un soggetto come Letourneau, resta il fatto che sia la donna, sia il ragazzo hanno mostrato una salda fermezza di propositi e una notevole profondità di sentimenti, affrontando uniti la tempesta che si è scatenata su di loro e superando la prova del tempo che, diversamente, avrebbe fatto sbollire la loro passione. Per cui, anche se molto squilibrato sul piano anagrafico, quello che appare chiaro è che il loro rapporto non era il capriccio di un momento, ma qualcosa di molto più solido.

 

La seconda considerazione è che tale squilibrio anagrafico non è tanto di tipo diacronico, quanto sincronico; aggravato, se così si può dire, dal fatto che lo squilibrio era a favore del maschio e non della femmina.

All'inizio della loro relazione, i due protagonisti della vicenda avevano, rispettivamente, trentasei e dodici anni, dunque una differenza di ventiquattro anni. Si tratta di una differenza notevole, ma che assume una connotazione ben diversa allorché si verifica tra persone adulte e, magari, già avanti negli anni. Crediamo che non sarebbero stati in molti a scandalizzarsi, neppure nella puritana (e ipocrita) società americana, se si fosse trattato della storia fra un uomo di sessant'anni e una donna di trentasei.

Ma, oltre alla grande differenza sincronica, ha giocato contro Letourneau e Fualaau il fatto che il soggetto più grande della coppia non era l'uomo, bensì la donna. Nella società occidentale moderna, ci si aspetta che, in una coppia, la donna sia sempre più giovane dell'uomo; anche una differenza di sei o sette anni a sfavore della donna, di solito, viene valutata negativamente, e ciò per una serie di ragioni che non è questa la sede per discutere. Si tratta di una mentalità che, da qualche tempo a questa parte, comincia a mostrare qualche segno di incrinatura, ma che si può dire, nel complesso, ancora largamente prevalente.

Qui entra il ballo l'idea - questa sì, maschilista - che, essendo l'uomo il soggetto «forte» della coppia, esso deve essere, per forza, più ricco di esperienza e, quindi, anche di anni, rispetto alla sua compagna. Se è la donna, invece, ad essere più matura di età, istintivamente si pensa che l'uomo è venuto a trovarsi in una condizione di dipendenza psicologica e affettiva; che, nella sua compagna, ha cercato un sostituto della figura materna; che, quindi, in definitiva, è stato in qualche misura suggestionato, se non proprio plagiato. E, di lei, si pensa che ha sfruttato l'ingenuità o la fragilità del suo compagno per imporsi, in maniera innaturale, fino a divenirgli indispensabile, sfruttando tutte le sue arti più consumate di seduttrice.

Naturalmente sono tutte sciocchezze, perché, in una normalissima relazione fra uomo e donna, entrambi svolgono sia il ruolo di seduttore che quello di sedotto; e, ovviamente, l'età anagrafica non ha niente a che fare con l'età psicologica, sia in una relazione sessuale che in qualunque altra circostanza della vita. Però il pregiudizio è questo, piaccia o non piaccia; e ciò fa parte di quella realtà concreta, complessa e, a volte, ambigua, di cui parlavamo prima e rispetto alla quale non esiste legge, per quanto bene intenzionata, che non sia sostanzialmente inadeguata.

 

La terza e ultima considerazione (benché se ne potrebbero fare molte altre, ma meno importanti) è che, in una vicenda del genere, bisogna ricordarsi sempre che l'eccezione è, appunto, l'eccezione; e che essa, evidentemente, non può sostituirsi polemicamente alla regola ma, semmai, tende a confermarla.

E la regola è che, se un maggiorenne intrattiene rapporti sessuali con un minorenne, esercita una forma di violenza, se non fisica (come, verosimilmente, nel caso di una maggiorenne di sesso femminile e di un minorenne di sesso maschile), certamente psicologica; e che tale dimensione di violenza è tanto più certa, quanto maggiore è la differenza di età fra i due soggetti. Può essere minima, o quasi inesistente, fra un soggetto neo-maggiorenne e uno minorenne, cui manchino pochi giorni per divenire maggiorenne a sua volta; ma è innegabile quando si parla di un soggetto trentenne o quarantenne e di uno che frequenta ancora le scuole medie inferiori.

Questa è la regola; e gli avvocati ben pagati delle persone processate per pedofilia, non possono farsi scudo di eventuali eccezioni per rendere meno odiosi i crimini dei loro assistiti, magari invocando l'esempio dell'arte o della letteratura (la protagonista del celeberrimo romanzo Paul et Virginie di Bernardin de Saint Pierre, sul quale hanno versato lacrime di commozione generazioni di lettori dai sentimenti ultra romantici, non aveva che quattordici anni).

Il caso Letourneau è, almeno a quel che è dato di capire dall'esterno, l'eccezione: in esso, cioè, non vi sarebbe stata violenza; e, quindi, non si dovrebbe parlare nemmeno di stupro.

 

Resta da capire, naturalmente, quali meccanismi psicologici abbiano spinto una donna di trentasei anni, che aveva un marito (per quanto mediocre) e ben quattro figli, un lavoro, una casa, una posizione rispettata nella società, a gettarsi dietro le spalle tutto questo e a sfidare il carcere, oltre al linciaggio mediatico, per amore di un ragazzino di dodici anni, ossia quasi della stessa età del suo figlio più grandicello.

Ma qui, davvero, ci sembra doveroso fare un passo indietro, e non oltrepassare la soglia di un terreno che è, per sua stessa natura, talmente intimo e delicato, che solo i diretti interessati - e, forse, neppure loro - potrebbero tentare di rispondere al più difficile dei «perché».

Perché ci si innamora? E che cosa è, propriamente, l'amore?

Non esistono, probabilmente, misteri più grandi di questi. È più facile stabilire l'inizio del Big Bang che rispondere a domande del genere.

Una sola cosa ci sentiamo di dire, e la diciamo sommessamente.

Sbagliano coloro i quali si raffigurano l'amore fra uomo e donna come una sorta di Paradiso terrestre, ove scorrono ininterrottamente il latte e il miele e dove una dolcissima, eterna brezza tempera gli ardori della passione (come nel giardino di Armida immaginato dalla fantasia di  Torquato Tasso per la Gerusalemme Liberata).

L'amore sessuale fra uomo e donna non è l'Amore con la «A» maiuscola, come vorrebbero i poeti, ma una delle forme possibili dell'amore; e, molto probabilmente, tra è quelle meno «pure»; di certo è meno «pura» della vera amicizia. Nell'ambito dell'amore tra uomo e donna, molte cose sono ambigue, specie nella dimensione sessuale; il confine tra ciò che di solito viene considerato normale (e socialmente accettabile) e quello che non lo è, non  sempre appare così chiaro ed evidente, come da parte di molti si vorrebbe far credere.

Vi può essere, in esso, anche una sfumatura di violenza; che, però, per il fatto di essere voluta e condivisa da entrambi i soggetti della coppia, finisce per diventare qualche cosa di diverso e di più nobile; a condizione, naturalmente, che entrambi siano perfettamente maturi e responsabili, e che uno dei due non si trovi in stato di soggezione psicologica rispetto all'altro.

Ma - e questa è la domanda scomoda, cui non è certo facile rispondere onestamente -: qual è la relazione fra uomo e donna, per quanto equilibrata ed armoniosa, in cui non vi sia un certo grado di dipendenza psicologica di un soggetto rispetto all'altro, o anche di entrambi reciprocamente? Non è forse l'amore fra uomo e donna, in se stesso, una forma di dipendenza psicologica, che compromette  irrimediabilmente, anche se nella più varia misura, la capacità di «intendere e di volere», per usare un linguaggio giuridico?

E, d'altra parte, che razza di amore è quello in cui ciascun soggetto rimane interamente e freddamente padrone di se stesso?

Anche per questo abbiamo detto che l'amore sessuale non è un sentimento «puro»: troppe ombre, troppe ambiguità lo contraddistinguono; troppo fragile e aleatorio è, ad esempio, il confine fra sentimenti disinteressati e interessati, fra autonomia e dipendenza, fra gioco erotico e violenza pura e semplice.

Forse, bisognerebbe avere il coraggio di ammettere che l'amore sessuale è una faccenda molto più complessa di quel che generalmente si pensa e, per certi aspetti (basta leggere le pagine di cronaca nera dei giornali), perfino potenzialmente pericolosa. Perché è un incontro totale e, per giunta, basato sull'idea del possesso (a differenza, ripetiamo, dell'amicizia); per cui solo le persone veramente autonome e mature potrebbero concedersene il lusso.

Ma, a questo punto, è facile vedere il paradosso che si annida nell'amore sessuale. Da un lato, esso esige una straordinaria autonomia e maturità affettiva, cioè, in pratica, la capacità di saper stare soli; dall'altro, generalmente, esso esprime la relazione di due esseri umani che non sopportano la solitudine, e che hanno deciso di combatterla, mettendo insieme le loro paure e le loro debolezze. Per cui, ironicamente, si potrebbe dire che l'amore sessuale è quella forma di relazione umana cui sono chiamati quegli individui che hanno raggiunto la capacità di farne a meno. Mentre la realtà dei fatti è che, novantanove volte su cento, si gettano nell'amore sessuale proprio coloro che meno sono capaci di viverlo.

E tutto ciò avviene anche a causa di un equivoco, cui la letteratura, il cinema e la televisione hanno dato, e continuano a dare, un incessante contributo: che l'amore fra uomo e donna, cioè, sia una cosa talmente ovvia e naturale, da essere aperta a tutti, ma proprio a tutti, indipendentemente dalla loro maturità, autonomia e senso di responsabilità; e la stessa cosa vale per il fatto di generare dei figli, di procreare.

Siamo in tempi di demagogia trionfante, quale «diritto» parrebbe più sacro di questi: amare un uomo (o una donna) e mettere su famiglia?

Solo che ci si è dimenticati che, ad ogni diritto, corrisponde un dovere, sempre. E che ogni relazione, per il fatto di coinvolgere l'altro (nel caso dei figli, coinvolgendo anticipatamente delle creature che devono ancora nascere, e che si è liberi di mettere al mondo, oppure no) implica delle notevoli  responsabilità verso di lui, oltre che verso se stessi.

Se si ritiene di non avere i requisiti per imbarcarsi in una avventura così impegnativa, forse si farebbe  meglio a non salire a bordo: per il bene di tutti.