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La magia dell'infanzia è nello stupore di uno sguardo vergine che si apre sul mondo

di Francesco Lamendola - 12/09/2008

 

 

Alcuni credono che la magia dell'infanzia risieda semplicemente nel ricordo dell'adulto, il quale, colorandola con le tinte della nostalgia, la abbellisce fino a trasformarla in un idillico quadretto, espungendovi tutti gli elementi negativi che, pure, ne facevano parte.

C'è una parte di verità in questa interpretazione; ma solo una parte. Perché, se è vero che il rimpianto trasfigura le cose di un alone di bellezza che esse, a suo tempo, erano ben lungi dal possedere, è altrettanto vero che l'infanzia possiede realmente un fascino difficile da esprimere a parole, e che è presente non solo nella memoria dell'adulto, ma anche nel presente del bambino, benché egli - ovviamente - non lo faccia oggetto di una riflessione critica.

Del resto, se il bambino avesse la facoltà di domandarsi da dove provenga quell'alone di poesia che avvolge, come una nebbia indefinita, tutto il mondo che lo circonda, vorrebbe dire che lo ha già perduto nella sua freschezza e immediatezza. Il mistero dell'infanzia è tale solo per la riflessione dell'adulto; per il bambino, non si tratta affatto di un mistero, nel senso che la vita, per lui, è tutta incredibilmente affascinante e misteriosa. Per lui non c'è una separazione netta, come c'è per l'adulto, fra il mondo delle cose possibili e quello delle cose impossibili: infatti,  sono tutte possibili, proprio come nelle fiabe.

Il gatto con gli stivali può comparire all'improvviso dalla sponda del fiume, e mettersi a camminare su due zampe e a parlare come un uomo; si può davvero salire sul tappeto volante e lasciarsi trasportare da esso, oltre le nuvole, fino a Baghdad; e il suono dei tamburi indiani può levarsi dal boschetto, ad annunciare che i Cherokee sono sul piedi di guerra e che, probabilmente, in questo  momento stanno danzando intorno al totem, con la faccia dipinta di rosso.

Quando l'adulto gli legge o gli narra una fiaba, gli occhi del bambino si spalancano su un'altra dimensione, e il confine tra il qui e l'altrove svanisce rapidamente; non c'è alcuna ragione - storica, geografica, fisica - per cui la nave dei pirati non dovrebbe approdare da un momento all'altro, col coccodrillo che la segue come un'ombra, attratto dalla presenza di Capitan Uncino; o perché, a un certo punto, non potrebbe alzarsi in volo, sfidando le leggi della gravità e slanciandosi nel cielo nell'azzurro stellato.

Certo, il materialismo, lo scientismo e il nichilismo della società odierna hanno strappato via dall'anima dei bambini molte di queste cose, costringendoli a un distacco violento e precoce dal mondo incantato dell'infanzia. Invece di vedere nella capacità immaginativa dei bambini una immensa ricchezza per il loro mondo interiore, gli adulti hanno decretato che si tratta di inutili fantasticherie, e si sono messi d'impegno a trasformare il bambino in ciò che non è assolutamente: un adulto in formato ridotto - ossia, un piccolo idiota.

Moltissime famiglie hanno rinunciato a raccontare favole ai propri figli e hanno iniziato a far loro i regali di Natale, banalmente e consumisticamente, senza dir nulla di Babbo Natale o di Gesù Bambino che recano i doni nella Notte Santa, cavalcando una renna e un asinello per le vie del cielo. E non solo i compagni più smaliziati, ma anche le maestre si sono messe a prendere in giro i pochi bambini che ancora credono a tali fiabe, rivelando loro che è tutta una commedia inscenata dai genitori.

Gli adulti che agiscono in questo modo credono di rendere un servigio ai bambini, facendone al più presto degli «ometti»; invece, non ottengono altro risultato che di spogliarli di quanto l'infanzia ha di più prezioso e peculiare, arrecando loro un danno che non potrà mai essere rimediato.

Un bambino che sia stato privato della capacità di sognare è destinato a diventare un adulto spiritualmente e affettivamente povero, tutto testa e niente fantasia e sentimento; una persona incapace di stupirsi, di gioire e di entusiasmarsi per le piccole, grandi cose della propria vita di ogni giorno.

Del resto, al bambino basterebbe appena un piccolo spunto per sbrigliare le ali della fantasia e della creatività. Per lui, le cose sono naturalmente poetiche, perché (come diceva Leopardi) vaghe e indefinite; per lui, non hanno mai confini precisi. E questo avviene perché egli le vede per la prima volta, scoprendole a poco a poco e godendo di quella scoperta, proprio come talvolta accade a un adulto quando si trovi in un luogo completamente nuovo, tutto da esplorare, come se fosse appena uscito dalle mani del Creatore.

Dicono le antiche relazioni che qualcosa di simile dovettero provare i primi viaggiatori europei che approdarono alle isole felici della Polinesia, o che si affacciarono al limitare delle profonde foreste del Nord America: un immenso stupore, una immensa curiosità, un immenso senso di freschezza, mistero e senso dell'infinita possibilità.

L'adulto perde quella freschezza, quell'entusiasmo e quella poesia, perché ha già visto ogni cosa infinite volte (o, almeno, così crede, perché in effetti non l'ha vista, ma solo guardata); per vedere cose nuove, è costretto a spostarsi continuamente. Ma il suo sguardo non è più limpido, ha perso l'innocenza: non saprebbe ormai meravigliarsi neanche davanti agli spettacoli più commoventi della natura.

Per il bambino, è tutta un'altra cosa: nel suo caso, sono le cose stesse a venirgli incontro, sempre diverse e sempre nuove. Gli basta girare lo sguardo, e dappertutto gli si offre lo spettacolo di un mondo incantato che erompe da ogni fessura e da ogni angolo, e riempie tutta la sua visuale, trascinandolo letteralmente con sé.

Per lui, i luoghi sono pieni di mistero, e non solo quelli remoti, anche le stanze di casa; e, la notte, attraversa il corridoio di corsa, poiché il buio potrebbe celare chissà quali spaventevoli insidie. Perché tutto, anche la paura del buio, contribuisce a questo incanto del mondo; anche il suono di una parola. Per Mircea Eliade, quand'era bambino, il mistero si annidava nella camera Sambo: un nome sentito chissà come e, probabilmente, frainteso (cfr. F. Lamendola, Il mistero numinoso della camera « Sambo » nella foresta proibita di Mircea Eliade, consultabile sempre sul sito di Arianna Editrice).

Ma non solo le cose esterne accorrono in frotta verso il bambino, cariche di suggestione e di promesse (o anche, talvolta, di minaccia); a lui, basta chiudere gli occhi per essere letteralmente avvolto da misteri senza fine. Avete mai provato a farvi raccontare i sogni dei bambini? Sono vividi, intensi, felici ed esaltanti,  o anche spaventosi; ma sempre straordinariamente carichi di pathos  e, dal punto di vista dell'adulto, quanto mai «strani».

Del resto, chi non sa che, in un sogno, molto più importante di ciò che si sogna è il modo in cui lo si sogna, la tonalità affettiva, l'emozione prevalente, che può anche essere in contrasto con gli elementi «oggettivi» del sogno stesso? Per esempio, in un determinato sogno può aleggiare un angoscioso senso di minaccia, che tuttavia non risulta per niente giustificato dal suo contenuto apparente.

E questo senso interno, questa tonalità emozionale sono particolarmente sviluppati nei bambini, sia nel sonno che nella veglia. In effetti, per loro anche i confini tra il mondo del sogno e quello della veglia sono estremamente labili, sfumati. A volte è difficile dire se hanno «visto» qualcosa in sogno o da svegli.

I bambini, in un certo senso, vedono le cose del mondo come dovettero vederle Adamo ed Eva, allorché Dio aperse loro gli occhi: con una enorme meraviglia, perché le vedevano per la prima volta. Anche i bambini le vedono per la prima volta, ed è questo che li rende capaci di spingere lo sguardo molto più in là degli adulti (cfr. F. Lamendola, I bambini vedono cose che noi non vediamo, consultabile sui siti di Edicolaweb e di Arianna Editrice). Possiedono un terzo occhio che noi dovremmo invidiare loro: altro che essere impazienti di portarli a vedere il mondo come lo vediamo noi! Nel cambio, non ci guadagnano davvero.

Poeti e scrittori hanno saputo, talvolta, entrare nel mondo misterioso dell'infanzia con una capacità  di penetrazione straordinaria, e con un senso di realtà molto superiore a quello di qualunque scienziato, psicologi intesta.

Giovanni Pascoli, ad esempio, alla fine della sua vita, nel suo ultimo poemetto latino, Thallusa - con cui vinse per la tredicesima volta la medaglia d'oro al Concorso di poesia latina di Amsterdam,  nel 1912 -, ha saputo rendere con una efficacia senza pari il fascino che i ninnoli di una bottega di braccialetti e catenelle esercita su due bambini che camminano per la via, tenuti per mano dalla loro schiava domestica, di nome Thallusa.

Quell'incanto, quel rapimento, quel sentirsi proiettati fuori del tempo davanti a un negozio di giocattoli, sono una delle esperienze più intense e affascinanti dell'infanzia; e come è descritto mirabilmente tutto ciò! Un bambino che non abbia provato simili emozioni, magari perché troppo accontentato da adulti che non gli hanno mai lasciato il tempo di desiderare le cose, ha perduto una delle esperienze più significative della propria infanzia.

Oppure si veda con quanta sensibilità e delicatezza il romanziere romeno Jonel Teodoreanu (1897-1954) - moldavo come il grande poeta Eminescu - in un suo libro bellissimo, Natale a Silivestri (titolo originale: Craciunul dela Silivestri, traduzione italiana di Agnesina Silvestri-Giorgi, Baldini & Castoldi Editori, Milano, 1945, pp. 15-20), ha saputo descrivere l'alone d'indefinibile magia che avvolge il mondo di due bambini, Roro e Grigri:

 

Da quando avevan preso posto nel vagone, i bimbi Aristeanu lo aspettavano dietro il vetro, diviso in due da una riga perpendicolare tirata - dopo gravi deliberazioni contraddittorie - dal dito di Roro. Grigri aveva il sedile di sinistra e la rispettiva frazione di finestrino. Roro, il sedile di destra con il suo mezzo finestrino. Sulla parte di Grigri, tracciate col dito, apparivano le iniziali: G. A.: un G con un ghirigoro orgoglioso di promosso dalla quarta elementare. Sulla parte di Roro, incise delicatamente con la unta dell'unghia, le iniziali R. A. denunziavano nel formato delle lettere il quadernetto a righe  di un'allieva della prima elementare. La sigla C. F. R. poteva sparire: una volta entrati i bambini, il vagone non apparteneva più alle Ferrovie dello Stato.

- Mamma, che ora è?

- Mamma, quando parte il treno?

- Mamma, quanto ci manca ancora?

- Mamma, perché non viene Nelu?

- Mamma, il treno lo aspetta, Nelu?

Ernesto Aristeanu fumava la pipa nel corridoio, ispezionando i vagoni nella speranza di un'apparizione piccante, cogliendo a volo l'aperitivo ottico delle gambe femminili che salivano in treno col vestito sbattuto dal vento. Del resto Ernesto Aristeanu non poteva star fermo che allo scrittoio o al volante dell'automobile, e anche lì con vibrazioni da libellula.

Così che Mimi Aristeanu era la sola vittima delle domande dei bambini. Non rispondeva, le allontanava con la mano come mosche. Ma quelle ritornavano proprio come mosche, provocando talora nelle dita della signora ,immersa nella lettura, un nervosismo da coda di gatto.

- Chetatevi. Fatemi il piacere, chetatevi una buona volta.

E le domande continuavano, interrotte da dialoghi aggressivi.

- Eccolo - annunziò Grigri. - Ho vinto la scommessa.

- L'hai persa - rispose Roro, dopo una pausa ansiosa, spazzando la nebbia leggera del cristallo con le ciglia lunghissime.

- Come, l'ho persa? - ribatté lui, piccato, abbassando la testa come un montone.

C'era astata infatti una solenne scommessa: chi vedesse per primo Nelu vincerebbe l'altro mezzo finestrino, del quale avrebbe l'assoluta proprietà per tutto il tempo del viaggio.

- L'ha persa - proclamò Roro senza trovare ancora la formula. - Proprio - aggiunse poi coprendo la pausa con un'affermazione preannunziante l'argomento: - l'hai persa perché non l'hai vinta.

Di fronte al sofisma femminile, Grigri divenne violento e volgare.

- Questa è una porcheria. Non gioco più con scolare della prima.

- Non giochi più? Benissimo. Via dal finestrino, individuo!

La parola «individuo», sentita dal padre, con accento dispregiativo, era divenuta l'insulto più drastico di Roro.

Ma la comparsa di Nelu troncò la guerra prima che avesse avuto un inizio concreto.

- Mamma, ecco Nelu - gridò Roro, dimenticando Grigri.

E senza attendere il permesso della mamma, immersa nella lettura, saltò giù dal sedile, scappando fuori a incontrarlo sugli scalini del vagone. Grigri invece non volle abbandonare il finestrino dal quale ammirava, plaudendo, la corsa di Nelu in mezzo alla folla. Ma nello stesso tempo trovò modo di punire Roro, cancellando con la sua larga mano di cucciolo del San Bernardo le iniziali di lei e scrivendo automaticamente le proprie, al di sopra, sull'appannatura disponibile. Nelu gli fece un cenno amichevole, passando, senza attendere l'effetto dei suoi sforzi per abbassare il vetro, perché là, sull'ultimo scalino del vagone, deliziosa nel vento che le agitava le trecce nere legate con un nastro giallo, il capo rovesciato indietro, e le braccia tese come in un volo, lo aspettava Roro. La raccolse fra le braccia, e con lei stretta al collo salì la scaletta del vagone.

- Topolino! Topolino! Là! Che è successo?

Le aveva fatto urtare la testa contro l'intelaiatura dell'uscio. La bimba ebbe intorno alle labbra una contrazione di pianto, ma, sotto lo sguardo di Nelu che la guardava con manifesta preoccupazione, fece una mossa stizzosa di diniego, a occhi chiusi; il petto e il naso le vibrarono di un sospiro ricacciato indietro, e dopo una lotta accanita fra un piccolo sole e una piccola nube, la gioia tornò a splendere negli occhi fatti anche più lucenti.

Frattanto Grigri era uscito anche lui nel corridoio, dignitoso, con le mani in tasca, ma con tanta gioia nelle pupille che smentiva il suo atteggiamento volutamente flemmatico. Gettò uno sguardo di disapprovazione a Roro e sporgendo il petto in posa atletica, tese la mano.

- Qua una manata, Grigri - lo invitò Nelu tendendogli la sinistra.

La destra stringeva come un panierino di pervinche la fragilità di Roro, insieme col pacchetto delle sorprese.

Grigri batté con tutte le sue forze la palma tesa, sotto gli occhi di Roro.

- È tutta lì la tua forza?- chiese con tono di compatimento stupito la bimba dall'alto, con l'aria dell'uccelletto della favola che di cima a un albero parla col lupo

Grigri, il lupo, diventò rosso, e prendendo lo slancio, dette un colpo tremendo come se picchiasse sulle gote di Roro. Ma la palma di Nelu era molto più dura che la faccia di una bambina, così che la mano vendicativa si scosse indolenzita, ricadendo molle, e dalle labbra di Grigri sfuggì un «Ahi!» rivelatore.

- Piangi, pupetto! Perché non piangi se ne hai voglia? - risuonò dall'alto la voce di Roro.

Sentendo l'imminenza del conflitto, Nelu intervenne. Mise giù la piccina interponendosi fra lei e Grigri, sciolse il pacchetto e tese la palla a Roro e la lampadina elettrica a Grigri.

- Da nonno Natale per Topolino e per Grigri Cuor di leone.

- Bene, signor Anthoi, ma voi me li guastate! - lo sgridò la signora Aristeanu dalla soglia dello scompartimento, mentre cercava con gli occhi suo marito.

- I miei ossequi, signora; e buon Natale… - si scusò Nelu. - Vi saluto, Maestro - aggiunse poi, rivolgendosi a Ernesto Aristeanu con un inchino rispettoso.

- Fate posto, per favore - intervenne un facchino che avanzava strascicando una pesante valigia.

Nelu afferrò il manico della valigia, l'alzò con una mano e, passando sopra la testa, la posò dall'altra parte, accanto all'uscio dello scompartimento vicino.

I bambini lo guardarono con ammirazione devota. Grigri non poteva credere che un «portento» come Nelu, capitano della famosa squadra di foot-ball universitaria, potesse essere così rispettoso, proprio come uno scolaro chiamato in direzione, di fronte al suo babbo.

- Mamma - intervenne Roro, prendendo teneramente per mano la signora Aristeanu - perché non viene anche Nelu a Silivestri con noi?

Un attimo d'imbarazzo, di quelli che per un istante rendono i figlioli detestabili ai genitori.

- Smettetela, bambini - intervenne Ernesto Aristeanu, scuotendo la pipa. - Anthoi tiene il posto del babbo nello studio. A proposito, andateci ogni giorno; la signorina Nemzanu vi ha lasciato le chiavi dell'armadio degli incartamenti, no?

Abituato a vedere eseguire le disposizioni date, non aspettò neppure la risposta: erano sempre affermative. Ed evitò d'insistere su Annetta in faccia a sua moglie.

- Durante la mia assenza studiatevi l'incartamento della successione Weintranb e le frodi della R. M. S. Via, presto, ché parte il treno.

Partiva. Ma Nelu preso congedo nelle dovute forme da grandi e da piccoli, lasciando per ultima la sua preferita, Topolino, accompagnato dai consigli contraddittori dei bambini.

- Va, Nelu - lo pregava Roro, con gli occhi al finestrino attraverso il quale si vedeva il crescente sparire della stazione.

- Taci, non dire sciocchezze - protestava Grigri con una smorfia. - Nelu salta giù anche con sessanta all'ora. Resta ancora, Nelu.

Nelu saltò giù proprio all'altra estremità della banchina. Per un attimo le teste dei due bimbi, al finestrino, rimasero voltate cercando di vederlo ancora; poi Grigri, con suo grande stupore, restò padrone di tutto il finestrino, mentre Rorto, raggomitolata nell'angolo verso il corridoio, con le gambe penzoloni una vicino all'altra, troppo corte per poter appoggiare il piede a terra, come quello delle bambole posate su un mobile di persone grandi, con le trecce pendenti saggiamente,  le ciglia abbassate sulle gote e la manina delicata curva sulla superficie della palla gialla e rossa, personificava insieme la felicità della vacanza e la malinconia degli addii.

 

Alla fine del romanzo, però, l'infanzia finisce e i due bambini, diventati adulti, perdono la loro freschezza incantata, la loro beata ingenuità e il loro stupore davanti a mondo; e il lettore ne è rattristato, come lo è il lettore di Pinocchio allorché, dopo tante avventure, il burattino di legno si  trasforma in un bambino «buono» e diligente.

Sarebbe auspicabile che gli adulti non perdessero interamente quello stupore incantato davanti al mondo, che possedevano negli anni della fanciullezza; che sapessero conservare nello sguardo un po' di quella meraviglia, un po' di quell'incanto.

Perché il mondo in cui viviamo è veramente un luogo magico, ove i confini del possibile non sono mai tracciati in modo irrevocabile, una volta per tutte; e perché dentro di noi c'è un mistero ancora più grande, che merita di essere ascoltato, facendogli il silenzio tutto intorno.