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Neuroetica

di Andrea Lavazza - 06/02/2006

Fonte: Avvenire

I genetisti studiano le basi della mente, il rapporto fra il cervello e le scelte. Materia scottante, perché mette le mani nella parte più segreta dell’uomo. Ecco perché anche i cittadini devono essere consapevoli della sfida.

La scommessa del XXI secolo

Un business che punta sul desiderio di accrescere le proprie capacità intellettuali e rischia di creare nuove disparità fra chi è ricco e chi non può permettersi pillole «magiche». Ma c’è anche in ballo il controllo della volontà degli individui

Come comportarsi se si scopre che un volontario, sottoposto a una risonanza magnetica funzionale per un esperimento di routine, manifesta una predisposizione all'aggressività? È lecito somministrare pillole che "cancellino" parte dei ricordi, seppure strazianti? I farmaci che potenziano le prestazioni cognitive vanno equiparati a una forma di doping, per cui andranno sanzionati gli studenti "positivi" come accade per gli atleti? La conoscenze delle basi neuronali del comportamento, della personalità e della coscienza possono influenzare le nostra stessa idea della natura umana e del vivere in società? Sono quesiti che richiedono una risposta, perché tutto ciò che esprimono è già realtà o sta bussando alla porta. Quello che il filosofo Isaiah Berlin si chiedeva ipoteticamente 45 anni fa nel saggio «John Stuart Mill e gli scopi dell'esistenza» (Che fare di fronte alla pastiglia che ci faccia sentire sempre felici?), oggi è uno dei temi di riflessione della neuroetica. Un campo d'indagine più che una disciplina, come ancora preferiscono chiamarla i suoi fondatori, legato agli straordinari progressi delle scienze del cervello e al complesso delle loro implicazioni etiche, legali e sociali (Elsi nell'acronimo inglese). Il termine ha fatto la sua comparsa alla fine degli anni '80 del secolo scorso (è attestato in un articolo del neurologo R. Cranford del 1989), benché tenda ad assumersene la paternità il commentatore del «New York Times» William Safire, chairman della Dana Foundation, la quale organizzò nel maggio del 2002 a San Francisco la conferenza fondativa, i cui atti segnano la nascita ufficiale della materia e costituiscono ancora un punto di riferimento (Neuroethics: Mapping the Field, a cura di S. Marcus, Dana Press). Genetica, biologia molecolare e strumenti per analizzare in vivo l'attività del nostro sistema nervoso hanno consentito di raggiungere obiettivi che sollevano forti dilemmi. Che cosa possiamo fare e che cosa sappiamo sono le due domande che indivi duano le aree principali delle neuroetica secondo Martha Farah, direttrice del sito Neuroethics della Pennsylvania University di Philadelphia (http://www.neuroethics.upenn.edu/index.html), sede delle principali ricerche insieme al Center for Biomedical Ethics della Stanford University (http://neuroethics.stanford.edu/index.html), sotto la guida da Judy Illes. Nell'ambito di ciò che siamo in grado di fare, i fronti più caldi riguardano il neuroimaging predittivo, l'enhancement e le applicazioni giudiziarie. Al Mit di Boston Jim DiCarlo e Tomaso Poggio hanno dimostrato che, appena la tecnologia farà un piccolo progresso, saranno in grado di leggere direttamente nella testa delle scimmie quali oggetti esse stanno osservando. Per ora si sperimentano tecniche che promettono di dirci con precisione se un soggetto sta mentendo o se ha visto in passato il luogo del delitto, basandosi sulla aree che si attivano nel suo cervello o dal tipo di onde che si rilevano con l'elettroencefalogramma. Potremmo poi capire se un candidato ha davvero l'esperienza che rivendica nello svolgere un compito visualizzando quali zone cerebrali utilizza (in genere vi è uno spostamento della lateralizzazione: i neofiti usano l'emisfero destri, gli esperti il sinistro). Più rilevante il fatto che il disturbo antisociale di personalità, una sindrome diagnosticata a persone che hanno commesso ripetuti atti di violenza, sia correlata a un volume ridotto di materia grigia e a una minore attività autonoma delle aree prefrontali. Ciò non potrà non avere riflessi nelle aule di giustizia: quale sarà il confine della malattia o del deficit da considerarsi un'attenuate o una circostanza del tutto esimente della responsabilità personale? Una rapida e aggiornata panoramica è offerta dal neuroscienziato Michael S. Gazzaniga nel suo appena tradotto La mente etica (Codice edizioni), un'introduzione con qualche limite filosofico e assai discutibile nella parte legata allo statuto dell'embrione. Ha invece l'ambizi one di coprire tutto lo spettro dei problemi il volume fresco di stampa curato dalla stessa J. Illes (Neuroethics: Defining the Issues in Theory, Practise and Policy, Oxford University Press); nei 21 contributi, si toccano anche i problemi del cosiddetto potenziamento, ovvero l'intervento farmacologico che eccede la cura (ripristinare una situazione di normalità) e mira a portare sopra la media le risposte emotive o cognitive. Si parla infatti di emoticeuticals per il miglioramento dell'umore (è il caso della crescente diffusione di Prozac e consimili tra i non depressi) e di cogniceuticals per l'accrescimento delle prestazioni intellettuali (dal Ritalin usato dagli studenti senza disturbi alle pillole per potenziare la memoria che le aziende stanno sperimentando in una corsa spasmodica per accaparrarsi un mercato ricchissimo). Aumenteranno le disparità sociali se soltanto i ricchi potranno permettersi i farmaci dell'intelligenza? Avremo gruppi di individui "chimicamente spensierati" che cambieranno l'agenda delle priorità di una nazione? E non è che un piccolo esempio delle questioni sollevate. Sullo sfondo, ovviamente, l'opzione riduzionistica, secondo la quale non siamo altro che il nostro cervello (neuroessenzialismo). Una prospettiva filosofica, alimentata dalla scienza, che già di per sé promette di avere influenze rilevanti. Una posizione critica è quella del neurobiologo britannico Steven Rose, che la espone nel suo recentissimo Il cervello del ventunesimo secolo (Codice edizione). La ricerca di base, però, così come l'industria biotech, non è disposta a fermarsi. Sempre più necessario sarà quindi familiarizzare con i temi neuroetici, destinati presto a entrare anche nel dibattito politico.