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Politici, popolo eletto

di Carlo Gambescia - 07/02/2006

Fonte: lineaquotidiano.it

 

Una volta c’era l’aristocrazia, il “governo dei migliori”. Oggi c’è una massa di carrieristi in cerca di poltrone

Quando, come di recente, scoppia qualche
scandalo politico e finanziario, si riscopre
regolarmente la questione morale e il ruolo
guida della classe politica. Si sostiene, e
non a torto, che la politica è, soprattutto,
senso delle regole e onesta condotta di vita da
parte dei politici. Governanti e governati,
come si diceva nell’Ottocento liberale,
sarebbero legati da un patto di protezione e
obbedienza, che trae costante alimento dal richiamo ai grandi
ideali morali di giustizia e bene comune, che chi governa
deve rispettare e perseguire.
Il patto richiede però un clima
di costante fiducia e stima
reciproca tra chi protegge (il
governante) e chi obbedisce (i
governati). Per usare una
metafora “matrimoniale”, ai
due sposi non è richiesto di
amarsi ardentemente e per
sempre, ma come accade nei
matrimoni riusciti, solo di consolidare
e sublimare la passione
nell’affetto costante, frutto
di stima reciproca e fiducia in
un progetto condiviso. Sono
questi, in breve, i sentimenti
che cementano i patti privati,
pubblici e politici.
Purtroppo, e per uscire di
metafora, il problema delle attuali democrazie liberali, compresa
la nostra, è che il rapporto fiduciario tra cittadini e
classe politica si è incrinato. Senza farla troppo lunga, si
può dire che il periodo della “passione” risale alle grandi
rivoluzioni liberal-nazionali ottocentesche.
Quello dell’ “affetto”, o del primo consolidamento, al periodo
che precede la Prima guerra mondiale (segnato dal progresso
sociale). Mentre quello del secondo consolidamento,
va dal 1945 al crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. Dopo
di che si è aperta, e non solo in Italia con Tangentopoli, una
fase contraddistinta da scandali politici, finanziari, e dal
conseguente “disamore” dei cittadini verso la classe politica:
una reazione che i politologi hanno definito “antipolitica”.
Dal momento che in Italia, ma anche altrove, ha premiato
movimenti politici “populisti”, assai critici verso le
istituzioni politiche liberali, così fredde e burocratiche. Del
resto già tra le due guerre mondiali, si era avuta una prima
crisi di fiducia nei riguardi della democrazia formale e dell’economia
liberale. Che sfociò nella democrazia totalitaria,
sostanziale, gerarchica e carismatica, poi spazzata via dalla
guerra mondiale. E che oggi molti studiosi assimilano sbrigativamente
alla democrazia diretta per cui si battono i
movimenti populisti contemporanei.
Ma perché la fiducia si è di nuovo incrinata?
In primo luogo, perché è mancato un ricambio sociale effettivo.
Le classi politiche continuano tuttora a esprimere una
classe dominante o di tipo partitocratico (che proviene dai
partiti), o manager-cratico (che proviene dall’impresa privata
e pubblica). La società civile - o comunque, chi non ha
rapporti con la politica e l’economia - è automaticamente
esclusa dal potere. E la mancanza di ricambio favorisce corruzione,
scandali, e di riflesso quel crescente discredito che
rischia di travolgere prima o poi l’intera classe dominante.
In secondo luogo, la caduta dell’Unione Sovietica, ha reso
inutile il patto welfarista, che, proteggendo e trasformando
le classi inferiori in ceti medi, doveva impedire il temuto
contagio rivoluzionario. Tuttavia le politiche liberiste, che
sono seguite, stanno provocando, proprio nelle nuove classi
medie occidentali, crescente disagio e scontento verso partiti
e istituzioni, anche di sinistra, sempre meno attenti verso i
bisogni collettivi.
E quanto più si diffondono insicurezza, scontento sociale, e
un senso di impotenza individuale, alimentato da scandali di
ogni tipo, tanto più cresce tra la gente la tentazione collettiva
dell’antipolitica. Che non è come affermano i politologi
liberali una negazione della politica: l’agire politico ha
migliaia di anni di vita, e non può nascere e finire con le
istituzioni liberali, che hanno appena due secoli di vita.
L’antipolitica è volontà di partecipazione, cambiamento e
bisogno di purezza. È un ritorno al momento collettivo della
passione e dei grandi ideali. O meglio, rappresenta la
domanda di un nuovo genuino patto politico che sappia
interpretare il bene comune. E sta ai partiti, mutare rotta e
intercettarla.
Altrimenti si rischia tutti, che prima o poi, spunti il solito
buon tiranno.