Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Nuove regole economiche subito, poi gli interventi di salvataggio

Nuove regole economiche subito, poi gli interventi di salvataggio

di Mario Lettieri, Paolo Raimondi - 07/10/2008

 

  

Il Congresso americano ha votato il cosiddetto “piano di salvataggio” delle banche e delle finanziarie in crisi per 700 miliardi di dollari. Ma dobbiamo sapere che non siamo alla fine della crisi bensì si è solo all’inizio.

Lo stesso stanno facendo alcuni governi europei saldando i conti scoperti di grandi banche e assicurazioni. Mentre la stampa specializzata e le banche centrali esaltano l’effetto stabilizzante di questi provvedimenti, in realtà questi enormi contributi pubblici a fondo perduto rischiano di essere palliativi  buttati al vento.

 

Un nuovo sistema di regole per il mondo della finanza, dell’economia e del commercio internazionale, cioè una Nuova Bretton Woods, serve subito, per definire il tipo di operazioni da fare oggi e non dopo che gli interventi sono stati fatti senza criteri precisi.

 

Primo. Dobbiamo affrontare situazioni di fallimento sia individuale che sistemico e quindi occorre intervenire con i procedimenti di amministrazione controllata e fallimentare. Occorre quindi stabilire preventivamente quali sono le parti da salvare e da garantire e quali le componenti “tossiche” da eliminare. Se ad una banca in fallimento si danno delle sovvenzioni a tutto campo, si può stare certi che saranno utilizzate per cercare di coprire i buchi neri senza fondo della speculazione più selvaggia e incontrollata. E poco dopo si ripresenteranno a battere cassa con dei conti più in rosso di prima. Ha pienamente ragione Carlo Azeglio Ciampi nel suo editoriale su Il Messaggero del primo ottobre:” Più che stabilire e comunicare gli importi da erogare è importante mettere in chiaro gli strumenti di intervento, le regole, le modalità di intervento che pongono le istituzioni finanziarie nelle condizioni di operare”. Per incominciare bisogna sapere distinguere tra attività legittime e utili e attività puramente speculative. Le prime meritano sostegno, le seconde dovranno essere congelate e progressivamente eliminate. Per far questo occorre che i governi si accordino appunto su regole e comportamenti da tenere. Non si può più lasciare che a decidere siano le singole banche o il cosiddetto “mercato”. Occorre affiancare al management fallimentare una figura istituzionale, competente e fornita dei poteri necessari che svolga il compito di gestore straordinario. I derivati finanziari “tossici” hanno gli stessi diritti dei depositi dei risparmiatori? No. Le obbligazioni cosiddette strutturate contenti l’immondizia dei paradisi fiscali e i titoli senza valore creati con una leva finanziaria gigantesca devono essere messi sullo stesso piano di crediti per investimenti reali e produttivi nei settori delle PMI? No.

 

Secondo. Il peggio deve ancora venire. La “madre di tutte le bolle” che ha innescato una reazione di esplosioni a catena si chiama “bolla dei derivati finanziari”, cioè scommesse, che qualche incompetente o prezzolato “esperto” osa ancora chiamare “assicurazioni”, senza più rapporti con la sottostante economia reale. Basta un confronto di poche impressionati cifre per indicare la dimensione del problema: a fronte di un PIL mondiale di 55.000 miliardi di dollari, il valore nozionale dei derivati OTC, cioè quelli che non figurano sui bilanci delle banche e non sono negoziati sui mercati ufficiali, è arrivato a 700.000 miliardi di dollari con un tasso di aumento negli anni passati di circa il 25%. E progressivamente questi contratti speculativi sono penetrati come dei virus nei titoli cosiddetti strutturati, cioè i titoli salsiccia contenenti un po’ di tutto e di più.

In America le banche e finanziarie fallite sono state spesso inglobate dalle tre gigantesche banche come la Jp Morgan Chase, la Citgourp e la Bank of America. E’ stato un goffo tentativo di coprire le responsabilità delle tre grandi, che vantano ben 150.000 miliardi di dollari in derivati finanziari. Attenzione a questi nomi nelle prossime fasi di crisi. Anche le banche italiane più esposte sono quelle che si sono avventurate su questi campi minati, spesso sulla scia delle grandi.

Già nel 2004 noi avevamo iniziato un dibattito parlamentare proprio su queste questioni, presentando alla Camera dei Deputati la mozione Lettieri per sollecitare un percorso internazionale di analisi e proposte verso la formulazione di un nuovo sistema monetario e finanziario internazionale imperniato su nuove regole economiche razionali e condivise. Recentemente abbiamo stilato con economisti e politici russi e italiani una “Dichiarazione di Modena” dove, affrontando le stesse emergenze finanziarie, si sosteneva la necessità di trasformare il prossimo G8 programmato nel 2009 sull’isola della Maddalena in una nuova “conferenza di Bretton Woods”, come quella tenuta nel 1944 dai capi di stato e di governo per stabilire allora l’ordine monetario e commerciale per la ricostruzione economica del dopoguerra. E come allora, la priorità è quella di far ripartire lo sviluppo e la crescita economica e sociale anche con una politica di crediti produttivi. Anche il ministro dell’Economia Giulio Tremonti é fautore di un simile programma e pensiamo che su questi temi di portata strategica si debbano trovare delle sinergie e degli accordi al di là delle differenze di schieramento politico.

 

Terzo. Per il momento le popolazioni sono spaventate e frastornate dalle crisi, ma si  è sull’orlo di un vulcano sociale che può attivarsi molto presto. Lentamente la gente si sta rendendo conto che le centinaia di miliardi di euro a fondo perduto per salvare le banche che hanno speculato e pagato premi e stock options ai loro dirigenti e agli speculatori, vengono dalle loro tasche. Per sborsarli i governi hanno poche alternative: tagliare i bilanci e i servizi sociali, aumentare il debito pubblico,  scatenare l’inflazione. Mentre speculavano, loro dicevano che lo stato era corrotto e doveva stare lontano dal mercato. Adesso che falliscono, lo stato li deve salvare, altrimenti “muore Sansone e tutti i filistei”. Privatizzare i guadagni, socializzare le perdite. Ma se oggi ci sono decine e centinaia di miliardi di euro per le banche, perché non c’erano gli spiccioli per il rinnovo dei contratti salariali, per i precari, per le pensioni? E poi, solamente in Italia, i tassi di interesse variabili hanno messo in gravi difficoltà 3,5 milioni di famiglie che avevano acceso un mutuo per la casa, le truffe in derivati hanno fatto perdere più di 5 miliardi di euro alle PMI e adesso hanno investito gli enti locali con perdite in decine di miliardi (si parla di 35 miliardi di esposizione per circa 600 enti locali ma in realtà nessuno conosce il buco in quanto la maggioranza di questi contratti è stata stipulata con banche straniere).

 

Ecco alcune delle ragioni per cui serve definire nuove regole economiche subito, prima e non dopo gli interventi di salvataggio.