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Guerra nella foresta Mau

di Marina Forti - 07/10/2008


 

Un piano d’emergenza per salvare la più grande area forestale del Kenya rischia di innescare un conflitto sociale con implicazioni etniche. Si tratta del Mau Forest Complex, 400 mila ettari di foreste nella parte occidentale del Kenya: è il più grande bacino di captazione d’acqua del paese, da cui almeno 12 fiumi scorrono verso il lago Victoria - la vita e sopravvivenza di milioni di persone ne dipende. E’ però una regione pesantemente colpita dal misto di taglio commerciale del legname, colonizzazione agricola, produzione di carbone di legna: così che un quarto della foresta è ormai scomparsa. Ed è successo tutto nell’ultimo decennio: nel corso del secolo scorso la foresta Mau è stata suddivisa in 22 «blocchi» per insediamenti umani, ma il vero e proprio «assalto» è cominciato nel 1997, quando l’allora presidente Daniel arap Moi ha fatto assegnare grandi appezzamenti in cambio di voti. Altri appezzamenti sono stati aperti in seguito, sempre in annate elettorali: secondo la stima dell’Unep (il Programma Onu per l’ambiente, che ha sede proprio in Kenya), oggi nella foresta Mau vivono 25mila «squatters», abitanti abusivi, cioè persone che coltivano, portano il bestiame al pascolo, tagliano alberi, fanno bruciare legna sotto il fango per farne carbone vegetale...
E’ qui che sorge il problema. In luglio l’attuale governo di coalizione kenyota ha istituito una task-force per fermare la distruzione della foresta Mau. L’urgenza era ormai innegabile. si pensi che il governo ha dovuto rinunciare alla solenne inaugurazione di un progetto idroelettrico, la diga di Sondu Miriu, finanziata dal giappone con 260 milioni di dollari: doveva produrre 60 megawatt di energia elettrica e contribuire a alleviare la penuria d’energia del paese. Ma il flusso d’acqua nel fiume che lo alimenta è così scarso che le turbine non possono girare. E’ un effetto della deforestazione: le fonti si disseccano, fiumi che davano da bere e da coltivare a intere popolazioni sono diventati rigagnoli o fiumi stagionali. Le acque del lago Nakuru, al centro di una riserva naturale nella Rift valley, recedono. Il fiume Mara, che traversa la famosa riserva del Masai Mara, langue. Interi villaggi di agricoltivatori o di pastori Masai faticano a sopravvivere. Anche le zone di produzione del tè sono in crisi. Un disastro per il turismo, la produzione energetica, l’agricoltura, l’approvvigionamento d’acqua nei centro urbani. Il presidente Muai Kibaki e il premier Raila Odinga, i rivali che ora condividono il potere (dopo una crisi politica sanguinosa) hanno dunque affidato a una speciale task force il compito di formulare un piano di crisi. Le raccomandazioni formulate finora vanno da promuovere la pianificazione familiare per diminuire la pressione demografica alla formazione di speciali «tribunali ambientali» per punire chi lucra sulla deforestazione illegale. Ma la misura essenziale annunciata in luglio è stato un ultimatum di tre mesi agli «abusivi»: entro il 30 ottobre devono andarsene.
Non sarà facile. Alcune popolazioni - gli Ogiek (che una volta vivevano come cacciatori-raccoglitori, ora per lo più coltivano), i Masai (pastori) - affermano che non se ne andranno. Molti coloni dicono di avere titoli per le terre che occupano; le autorità dicono che molti titoli sono falsi. La task force dirà chi avrà diritto a risarcimenti e chi a essere risistemato altrove. 250 tra guardie forestali e polizia sono state inviatea recintare la foresta. Il conflitto è pronto a scoppiare - rinfocolando anche guerre etniche.