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Plato’s Natural Philosophy. A study of the Timaeus-Critias

di Francesco Verde - 07/10/2008

Thomas Kjeller Johansen, Plato’s Natural Philosophy. A study of the Timaeus-Critias

 

 

 

 

 

T.K. Johansen, già noto al pubblico degli specialisti per il volume Aristotle on the Sense-Organs (Cambridge 1998), è University Reader in Philosophy (Oxford University), e ha dedicato il suo Plato’s Natural Philosophy all’analisi dettagliata e puntuale del Timeo e del Crizia. Si tratta, anzitutto, di un libro importante che condiziona tutt’oggi l’interpretazione dei due dialoghi. Il lavoro è organizzato in nove capitoli dei quali mi interessa mettere in luce, seppure in estrema sintesi, gli elementi più originali.

I primi tre capitoli (What is the Timaeus-Critias about?; The status of the Atlantis story; The status of Timaeus account) si interessano della vexatissima quaestio dell’interpretazione della prima parte del Timeo e del raccordo fra il racconto di Crizia e l’eikos mythos di Timeo. In effetti si tratta davvero di una questione complessa; numerose e varie sono state le proposte degli studiosi su tale aspetto del Timeo. In questa sede vorrei ricordare due contributi importanti in lingua italiana: il primo è il lungo articolo di P.L. Donini, Il Timeo: unità del dialogo, verosimiglianza del discorso, pubblicato su Elenchos nel 1988 (pp. 5-52); il secondo è il saggio di C. Natali, Antropologia, politica e la struttura del Timeo, presente nel volume miscellaneo curato dallo stesso C. Natali insieme a S. Maso, Plato physicus. Cosmologia e antropologia nel Timeo (Amsterdam 2003, pp. 225-241). La lettura di Donini della struttura compositiva del dialogo si oppone fondamentalmente a quella famosa di Cornford secondo la quale il racconto di Timeo non sarebbe altro che la giustificazione al livello cosmologico delle proposte etiche della Repubblica; d'altro canto, è noto che all'inizio del dialogo è possibile leggere un riassunto, davvero sintetico, dei nuclei concettuali centrali della Repubblica, il che ha fatto pensare a un'ideale continuità fra i due dialoghi. Cornford, dunque, riprendendo almeno in parte un suggerimento già di Fraccaroli, mette in luce, a livello interpretativo, la sostanziale continuità dei due dialoghi: Platone, insomma, si rende conto che la costruzione sociale e politica della Repubblica verrebbe meno se privata di un'adeguata fondazione cosmologica. Ma è pur vero che il lungo discorso di Timeo non può ridursi esclusivamente al tentativo di fondare la kallipolis platonica; a tal riguardo Donini interpreta l'eikos mythos di Timeo sulla base di una sorta di logica interna al dialogo, confrontando, quindi, il racconto di Crizia sull'antichissima sapienza degli Egizi e sul mito di Atlantide con le parole di Timeo. Secondo Donini, Platone avrebbe costruito il dialogo opponendo i contenuti della sapienza egizia riferiti da Crizia con quelli narrati da Timeo; il discorso di Timeo, dunque, "invererebbe" e correggerebbe il racconto di Crizia considerato troppo superficiale e, per certi versi, inesatto. Ciò significa, quindi, che il valore del discorso cosmologico di Timeo è autonomo rispetto alla Repubblica ma va letto in relazione alla narrazione di Crizia. Nel suo studio Natali, pur ammettendo la plausibilità della lettura di Donini, sottolinea un carattere importante che, a suo avviso, renderebbe maggiormente comprensibile la struttura complessiva del dialogo, l'antropologia. Natali, d'altronde, afferma che la critica mossa da Donini a Fraccaroli-Cornford potrebbe essere rivolta anche a lui: davvero il lungo discorso di Timeo, così attento e dettagliato (si tenga a mente che Timeo viene presentato come colui che ha raggiunto le vette della filosofia), deve essere considerato esclusivamente in opposizione al breve racconto di Crizia? Natali, a tal proposito, ammette che alcune sezioni dell'eikos mythos narrato da Timeo devono essere considerate in se stesse e non esclusivamente in relazione alla Repubblica, al racconto di Crizia o allo stesso Crizia. Ed è proprio il dato antropologico a mediare fra il livello fisico e quello politico, come in parte aveva già notato Brisson; da questo punto di vista, pertanto, l'antropologia diviene una presenza costante che rimane sempre sullo sfondo, contribuendo così, a fornire una prospettiva complessiva piuttosto esaustiva dell'intero dialogo. Già Brisson, rilevava come il discorso di Timeo non potesse non leggersi in relazione al contesto storico-politico di Atene; Johansen, partendo da alcune pagine di Tucidide - in particolare il celebre dialogo con i Meli -, pone in rilievo come il Timeo debba essere letto in relazione non solo alla Repubblica e alle sue proposte, ma anche al Gorgia; il lungo discorso cosmologico di Timeo, insomma, sarebbe finalizzato a escludere che la costituzione della natura sia l'intrinseca giustificazione, da un lato, dei vizi propri della natura umana, dall'altro, dell'impossibilità (tutta umana) di raggiungere una vita morale soddisfacente. In breve, «The Timaeus reads then as a refutation of the view that pleonexia is kata phusin» (p. 22); secondo l'interpretazione di Johansen, Atlantide, secondo quanto raccontato da Crizia, non sarebbe altro che il simbolo della pleonexia che Atene, per l'appunto, riesce a dominare. Atlandide, quindi, è l'"anti-Atene", è la città-simbolo della pleonexia rispetto ad Atene; la differenza fra le due città viene motivata anche al livello, per così dire, mitologico ed "elementare": mentre Poseidone (acqua) è il nume tutelare di Atlantide, Atena (terra) è la divinità eponima di Atene. Ma Johansen va ancora più nel profondo, chiarendo come le strutture sociali di Atene e Atlantide non fanno che riflettere gli stessi principi di ordine e disordine che Timeo - non senza chiare influenze ippocratiche - descrive in relazione al corpo sano e a quello malato: ritorna ancora l'importanza del dato antropologico nell'economia complessiva del dialogo.

Una delle questioni che più di tutte ha condizionato l'attività esegetica degli studiosi è stata la comprensione della caratterizzazione della tipologia del mythos del Timeo; è assai noto che Platone nella Repubblica critichi con toni piuttosto aspri quei miti del tutto diseducativi e distruttivi rispetto alla politeia della kallipolis. Questo potrebbe essere un'indicazione importante per rilevare la ancora più profonda divergenza fra il Timeo e la Repubblica, nonostante si debba sempre tenere a mente che si tratta di un eikos mythos e non di un semplice mythos. A ogni modo, Johansen è - a ragione - convinto che il mito di Timeo sia imitativo, nel pieno rispetto delle "norme" dettate in resp. X 607a 3-5: la poesia che loda gli dei e gli uomini grandi, ovvero gli eroi, è ben accetta nella kallipolis. Il racconto di Atlantide, invece, non è un mythos ma un logos che, infatti, rispetta i "canoni" stabiliti da resp. III e X, in analogia con le storie che elogiano e venerano gli dèi e i grandi uomini. Certamente la questione si complica quando si tenta di esaminare i motivi che spingono Timeo a raccontare un eikos mythos, termine dove l'accento cade su eikos più che su mythos. La lettura fornita da Johansen è molto interessante, oltre che condivisibile, soprattutto perchè mostra un grado di plausibilità elevato. La verosimiglianza del discorso di Timeo può essere compresa, tenendo a mente due punti: (a) la verosimiglianza è un carattere proprio dei racconti e dei mythoi; (b) la verosimiglianza del mythos è dovuta al fatto che esso si "modella" su un paradigma intelligibile, quindi, eterno. A tal proposito Johansen chiarisce in termini davvero esaustivi la nozione di verosimiglianza; il rapporto di verosimiglianza può essere schematizzato in questo modo: X è come Y rispetto a Z perchè Y è Z (p. 58). Il cosmo plasmato dal Demiurgo (X) è come il suo paradigma eterno e intelligibile (Y) rispetto ad alcuni caratteri come, ad esempio, all'eternità (Z) in quanto questi appartengono al modello eterno. Si tratta di un punto cruciale che fornisce una lente davvero privilegiata per comprendere correttamente la relazione di verosimiglianza instaurata da Timeo; prima di esaminare questo punto, è necessario capire quanti "tipi" di eternità esistono nel Timeo. Per fare questo occorre ritornare ancora una volta sulla trattazione della nozione di tempo, considerandone, però, l'interpretazione tradizionale, senza tener conto, dunque, della costruzione sintattica, a mio modo di vedere condivisibile, di R. Brague (Pour en finir avec «le temps, image mobile de l’éternité», in Id., Du temps chez Platon et Aristote, Paris 1982, pp. 11-71) che, ovviamente, condiziona - e non poco - l'esegesi complessiva del passo. A ogni modo, la distinzione che Timeo traccia fra il cosmo e il paradigma intelligibile è, si potrebbe dire, sub specie aeternitatis, ossia sfrutta una nozione diversa di eternità, come appare palese dalla definizione del tempo. Mentre l'eternità dell'universo plasmato procede secondo il numero, quella del paradigma è un'eternità che rimane nell'unità; in ultima analisi, il fatto che esistano almeno due concetti diversi di eternità chiarisce il rapporto di verosimiglianza fra l'universo e il paradigma. L'universo (X) è come il paradigma (Y) non in toto ma solo rispetto ad alcuni caratteri come, ad esempio, l'eternità (Z) proprio perchè il modello (Y) è eterno (Z). L'universo plasmato e il cosmo sono entrambi eterni ma non allo stesso modo; il rapporto di verosimiglianza, quindi, sussiste in virtù delle differenti nozioni di eternità che legano l'universo e il paradigma i quali, a loro volta, appartengono a due "categorie" ontologicamente differenti, 'ciò che viene all'essere' e l''essere'. Per questo il mythos di Timeo non potrebbe che essere verosimile, eppure, secondo l'Autore (p. 61), questo «is the account that is the most likely account available to human beings»: il dato antropologico, evidente per via dell'"adeguamento" del mythos all'uomo, rimane un punto decisivo nell'economia dell'intero dialogo. Tanto è vero che Johansen giustamente crede, a differenza di molti autorevoli interpreti, che le espressioni eikos logos ed eikos mythos non vadano intese come sinonimi, semplicemente perchè possiedono un significato profondamente diverso: mentre il primo riguarda le realtà appartenenti alla categoria di "ciò che viene all'essere", l'eikos mythos è il mythos "adeguato", "idoneo" alla prospettiva umana (p. 64).

I successivi due capitoli (Teleology and craftmanship; Necessity and teleology) si interessano della contestualizzazione della questione della teleologia nel Timeo. Uno dei punti importanti subito chiariti da Johansen riguarda il confronto con la posizione aristotelica; mentre nel caso di Aristotele si assisterebbe a una forma di teleologia inintenzionale, nel caso di Platone la teleologia sarebbe completamente intenzionale. Il Demiurgo "vuole" che l'universo plasmato sia bello e ordinato; il Demiurgo stesso, infatti, è la diretta causa di ordine e di bellezza (p. 73). Tutto diverso il caso di Aristotele per cui è la physis a essere di per sè causa (p. 76), causa interna di ordine (p. 77) laddove il Demiurgo è causa esterna della bellezza e dell'armonia dell'universo; al di là della della distinzione fra causalità esterna e interna, Johansen è fermamente convinto che, in fondo, la prospettiva aristotelica non è così distante da quella platonica: «Plato's divine demiurge is in this respect at least not unlike Aristotle's master craftsman, nature» (p. 86). Come è noto, un'altra vexatissima quaestio del problema della funzione della teleologia nel Timeo è il ruolo della necessità e della causa errante; l'A. ritiene che la causa errante di cui parla Platone è cosa assai differente dalla causa intelligente che è l'attività razionale dello stesso Demiurgo (p. 93). La causa errante è una causa non teleologica ma, si potrebbe aggiungere, non deliberatamente/consapevolmente teleologica; una volta distinte le "competenze" della causa errante dalla necessità, Johansen sottolinea molto chiaramente le tipologia di necessità presenti nel dialogo (p. 95): la prima è la necessità che la ragione, la causa intelligente, usa per il raggiungimento dei suoi scopi, mentre la seconda è quella che non è 'persuasa' dalla ragione. La differenziazione fra le due tipologie di necessità consegue direttamente da due "fasi cosmogoniche" cronologicamente distinte: la necessità precosmica appartiene alla fase, per l'appunto, precosmica quando le immagini degli elementi si riflettono nella chora, mentre alla fase cosmica concerne l'altra tipologia di necessità strettamente legata alla natura dei quattro elementi. Un punto su cui l'A. richiama l'attenzione è che, al di là della distinzione fra le due tipologie, la necessità deve essere considerata il prodotto, la conseguenza della plasmazione dell'universo e, di certo, non la sua precondizione (pp. 97 e 104).

Una lettura corriva e superficiale del Timeo potrebbe indurre a pensare che la teleologia sia quasi un "accessorio" che dall'esterno va ad aggiungersi agli enti e ai corpi che costituiscono l'universo; se così fosse il contenuto dell'eikos mythos di Timeo non si differenzierebbe molto dalla posizione anassagorea criticata da Socrate/Platone nel Fedone. Per questo motivo, Johansen rileva che, considerando attentamente il particolare significato assunto qui dalla nozione di teleologia, ciò che non è causa nel Fedone lo diviene nel Timeo; ciò si comprende bene prendendo come esempio la composizione dell'occhio (p. 116). Nell'ottica del Timeo ciò che compone l'occhio è causa a tutti gli effetti, proprio perchè è la stessa composizione dell'occhio che permette la vista; di conseguenza ciò che nel Fedone non veniva considerato causa ma solo un qualcosa di meramente meramente meccanico - di qui la critica nei riguardi di Anassagora - nel Timeo assume un valore importantissimo. Nel caso dell'occhio, ciò che compone l'organo visivo e che, quindi, permette la visione è, per l'appunto, causa a tutti gli effetti; di conseguenza, la dimensione teleologica, nel caso dell'occhio, non è qualcosa di altro o di esterno all'occhio stesso ma ne è un carattere proprio e, soprattutto, interno.

Johansen dedica una lunga sezione del volume (Space and motion) all'analisi della chora; naturalmente si tratta di un tema molto ampio, dunque, in questa sede, mi limito ancora a rilevare gli aspetti più significativi al livello di originalità. Riprendendo almeno parzialmente l'indicazione di Brisson, la chora viene interpretata come ciò 'di cui' i corpi sono costituiti e ciò 'in cui' i corpi si costituiscono; per questo motivo i termini luogo/spazio/sede sono nomi del tutto interscambiabili (p. 127), ciò che viene all'essere, infatti, deve avere un luogo (topos), uno spazio (chora) e una sede (hedra). Eppure la caratterizzazione spaziale della chora non deve porre in secondo piano la sua identificazione come ricettacolo: in tal senso Johansen condivide la posizione aristotelica sulla choraplatonica (p. 135). Un elemento davvero originale dell'interpretazione di Johansen del ricettacolo riguarda la sua interna strutturazione; si tratta a mio avviso di un punto di estremo interesse. Timeo afferma che alla chora appartiene il movimento; a livello precosmico, la chora ospita in sè il movimento disordinato degli elementi o, meglio, delle loro tracce (53a 9), moto disordinato dovuto all'"assenza della matematica" (p. 124) ossia della struttura ordinata offerta dai triangoli originari. La choramutua il movimento dall'ingresso dei corpi in essa (p. 131); ciò significa che il movimento non appartiene di per sè al ricettacolo ma è, appunto, una conseguenza dell'ingresso dei corpi. Se i corpi entrano all'interno della chora, è chiaro che si andranno a situare in diversi luoghi del ricettacolo; nel Timeosi legge, ad esempio, che «Fire comes into being at different places at different times» (p. 129) il che indica la presenza di luoghi o parti differenti all'interno della chora. Secondo Johansen, insomma, la chora avrebbe una struttura interna articolata, parti e luoghi precisi entro i quali i corpi si posizionano, si muovono e, dunque, si trasformano, nonostante il ricettacolo rimanga immutato.

Il settimo capitolo (Body, soul, and tripartition) si occupa della dottrina dell'anima e del confronto fra la tripartizione psichica del Timeo rispetto alla psicologia del Fedone e della Repubblica; un nodo concettuale importante, che segna la lontananza del Timeo dal Fedone, risiede nella considerazione del corpo. Mentre, come è assai noto, nel Fedone il corpo è tomba (sema) dell'anima, nel Timeo il corpo e l'anima - spazialmente estesi - sono teleologicamente orientati e strutturati; per questo «The dialogue forces us to rethink the image of Plato as enemy of the body» (p. 159), infatti il corpo non è più «a prison» per l'anima ma «a confortable hotel» (p. 157). In sostanza, la razionalità non è legata alla differenza onto-assiologica fra anima e corpo (Fedone), ma essa si esibisce nella composizione di entrambi (Timeo). Nonostante molti interpreti abbiano individuato parecchie affinità fra la tripartizione dell'anima del Timeo con quella della Repubblica, Johansen è maggiormente intenzionato a rilevarne le differenze; nella Repubblica, infatti, la tripartizione dell'anima si giustifica sulla base di tre differenti oggetti di desiderio, mentre nel Timeo tutte e tre le parti dell'anima sono teleologicamente orientate verso un solo e unico fine razionale (p. 153). In effetti anche nella Repubblica Platone pone l'accento sull'armonizzazione delle tre parti, tuttavia, a Johansen sembra innegabile che nel Timeo vi sia maggiore enfasi sul fatto che anche le parti inferiori dell'anima cooperino direttamente al fine (p. 154).

Il penultimo capitolo (Perception and cosmology) si occupa dello strettissimo nesso fra la percezione e la cosmologia; partendo dal presupposto che la nostra anima è composta esattamente come l'anima del mondo «our souls actually knew about the planetary motions before we were born» (p. 173), il che significa che la composizione dell'anima possiede un'innata propensione alla conoscenza astronomica: «Astronomy is the teleological fulfilment of our soul's rational nature». La stessa percezione sensibile stimola la ricerca astronomica, l'astronomo, infatti osserva la luce, l'oscurità degli astri, il moto dei pianeti e solo in un secondo momento, grazie alla ragione, calcola il loro movimento, anche in virtù di strumenti astronomici appositi (come sembrerebbe dal passo 40d 2-3).

L'ultimo capitolo (Dialogue and dialectic) si interroga sul carattere dialettico del Timeo; l'eikos mythos di Timeo di certo non è un dialogo, non ha una forma dialogica ma è un monologo, una lunga e dettagliata narrazione. Secondo Johansen Platone, in questo modo, avrebbe voluto indicare una sorta di proporzione fra il contenuto e la forma linguistico-discorsiva usata da Timeo (p. 193); la forma dialogica, insomma, non sarebbe stata adeguata ai contenuti cosmo-antropologici offerti da Timeo, infatti, dato che la bellezza è un carattere proprio di ciò che è intero, il monologo è la forma espressiva più adatta al caso, in quanto conserva quell'integrità e unitarietà propria di un discorso teleologicamente orientato (p. 194). Siamo, quindi, piuttosto lontani dal Platone che considerava il dialogo fra due o più interlocutori il luogo privilegiato e, per certi aspetti, unico della verità sempre momentanea e rivedibile.

In conclusione, il volume di Johansen offre una lettura innovativa e originale del Timeo, per tale motivo questo libro è davvero benvenuto tra gli studi di filosofia antica soprattutto perchè, a mio parere, costituisce un punto di riferimento allo stesso tempo esaustivo e inaggirabile per chi intenda orientarsi fra le righe di uno dei dialoghi più complessi e articolati della filosofia di Platone.

 

Johansen, Thomas Kjeller, Plato’s Natural Philosophy. A study of the Timaeus-Critias, Cambridge University Press, Cambridge 2004, pp. VI-218, £ 48 (Hardback)