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Mutamenti climatici e immobilismo politico

di Marco Cedolin - 09/10/2008

 

Secondo le conclusioni dell’ultimo rapporto degli studiosi dell’IPCC, approvato a Parigi il 2 febbraio 2007, i mutamenti climatici attualmente in corso risultano essere indotti principalmente dall’aumento delle emissioni di CO2, larga parte delle quali (fra l’80 ed il 90%) si caratterizzano per essere di origine antropica. L’aumento della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera è sostanzialmente determinato dall’incremento delle emissioni generate dalle attività umane che bruciano fonti fossili e dalla progressiva opera di deforestazione che riduce la capacità della vegetazione di assorbire parte della CO2 immessa nell’ambiente.

La realtà che già oggi si pone sotto agli occhi di tutti, racconta la sensibile riduzione tanto dei ghiacci polari quanto dei ghiacciai delle medie latitudini, il progressivo riscaldamento delle acque dei mari, l’aumento esponenziale dei fenomeni meteorologici estremi quali uragani, alluvioni, siccità, episodi anomali di freddo e di calore.

 

Secondo il rapporto degli studiosi dell’IPCC,  in mancanza di una netta inversione di tendenza nella produzione di emissioni inquinanti e  supponendo che il clima non venga sconvolto prima dall’intervento di processi non lineari (eventualità tutt’altro che remota) la temperatura media terrestre potrebbe aumentare entro la fine del secolo da 1,8 fino a 4 gradi, provocando un notevole innalzamento del livello dei mari e accentuando in maniera drammatica i mutamenti climatici già attualmente in atto, fino a determinare un inevitabile collasso che potrebbe perfino causare l’estinzione della specie umana.

Nelle conclusioni del Rapporto Stern presentato a Londra il 30 ottobre 2006 e commissionato dal governo britannico per vagliare le conseguenze economiche dei danni ambientali determinati dai mutamenti climatici, si mette in evidenza come un incremento della temperatura media superiore ai 2 gradi determinerebbe disastrose conseguenze nell’ambito dell’agricoltura, del turismo e della salute umana che sarebbero in grado di provocare una vera e propria catastrofe economica.

 

In virtù del protocollo di Kyoto l’Italia avrebbe dovuto diminuire le proprie emissioni di gas serra del 6,5% entro il 2012, mentre il nuovo pacchetto legislativo (fortemente osteggiato dal governo italiano) presentato dalla Commissione europea per ridurre le emissioni di Co2 della UE del 20% entro il 2020, presentato alla fine di gennaio e che dovrebbe essere approvato entro il 2008, chiede all’Italia di tagliare le emissioni di Co2 nei settori non inclusi nel sistema di scambio di emissioni  (rifiuti, trasporti, edilizia) del 13% rispetto ai livelli del 2005.

L’Italia oltre ad essere lontanissima dalla possibilità di raggiungere questi obiettivi, ha fino ad oggi continuato a marciare in direzione diametralmente opposta a quanto convenuto e le emissioni di Co2 nel nostro paese sono aumentate del 13% nel periodo 1990/2005, senza che nulla lasci presagire la possibilità di un’inversione di tendenza.

 

Tutto ciò sta accadendo poiché la politica italiana, pur non avendo mai messo in dubbio le conclusioni del rapporto IPCC e della commissione Stern e condividendo la necessità di procedere al più presto per porre rimedio al problema, sta continuando ad incoraggiare tanto a livello nazionale quanto a livello locale l’incremento delle emissioni inquinanti finalizzato a creare la crescita economica.

Se si eccettuano alcuni provvedimenti di carattere locale in grado di determinare effetti del tutto marginali, come la chiusura dei centri storici alla circolazione delle auto e il tardivo miglioramento di alcuni servizi di trasporto pubblico, tutta l’attività politica non tiene infatti nella minima considerazione il problema dei mutamenti climatici.

In Italia la produzione di rifiuti è aumentata negli ultimi 10 anni di oltre il 20%, attestandosi a 536 kg annui pro capite, nonostante già nel 2000 la UE richiedesse che non fossero superati i 300 kg. Per smaltire questa massa di rifiuti in continuo aumento, grazie alle politiche messe in atto inseguendo il modello della crescita e dello sviluppo, è prevista la costruzione di oltre 50 nuovi forni inceneritori, nonostante le emissioni di CO2 determinate da questo tipo d’impianti risultino essere elevatissime.

Le emissioni inquinanti derivanti dai Tir e dalle autovetture private sono fra le cause principali del riscaldamento del pianeta. Senza tenere minimamente conto di questa evidenza, nell’allegato “infrastrutture” al Dpef di giugno 2007 sono stati stanziati finanziamenti per la costruzione di oltre 1.700 km di nuove autostrade, con 10 miliardi di euro d’investimento per le sole autostrade della Lombardia. Investimenti che favoriranno la circolazione di sempre più Tir e sempre più auto che contribuiranno a peggiorare la già drammatica situazione attuale.

Anziché usare il denaro pubblico per rendere efficiente il servizio ferroviario tradizionale, notevolmente meno energivoro del trasporto delle persone e delle merci su gomma, i governi che si sono succeduti negli ultimi 15 anni hanno preferito sperperare 90 miliardi di euro nella costruzione di 1000 km di linee per i treni ad alta velocità, con impatti energetici enormi che contribuiranno ad incrementare il problema dei mutamenti climatici.

 

Appare in tutta la sua evidenza il cortocircuito logico in virtù del quale la classe politica italiana, pur condividendo l’allarme per il riscaldamento globale e identificando il problema come potenzialmente in grado di distruggere tanto l’ambiente in cui viviamo quanto la nostra economia, non si preoccupa di creare i presupposti per una diminuzione dei consumi energetici e delle emissioni inquinanti da essi prodotte, ma al contrario preferisce perseguire un sempre più problematico incremento del Pil ottenuto attraverso l’aumento di quelle stesse emissioni che ci stanno portando alla distruzione.