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La crisi sistemica: il punto sul dibattito in corso

di Carlo Gambescia - 09/10/2008




1) Tra coloro che ho chiamato a intervenire, molti si sono tirati indietro. Ovviamente non mi riferisco a chi ne ha dichiarato in privato le ragioni. Ma a coloro che, nonostante il mio invito, non intervenendo, hanno mostrato di non credere nella forza del dibattito in Rete. Peccato.
Pertanto ringrazio in particolare Miguel Martinez, perché pur non essendo un “economista” o un “sociologo” non ci ha privati, tutti, di un suo libero e interessante contributo.
2) Sulle quattro questioni specifiche da me poste - a) Natura della crisi; b) Rapporti tra politico ed economico, c) Rimedi infrasistemici (fattibili); d) Rimedi antisistemici (futuribili) - si è verificata una concordanza di massima sulla natura sistemica della crisi (Valter Binaghi, Corto Maltese mi pare, Roberto, Alfredo, Marco Cedolin, Carlo Bertani, Claudio Ughetto, Antonio Saccoccio, Michele Antonelli). Ma nessuno si è pronunciato decisamente sulla sua "definitività" o meno.
3) Vanno segnalate alcune posizioni interessanti sulla natura infrasistemica della crisi (Biz, e se ho capito bene, il coraggioso Stefano Borselli, unico, mi pare, difensore di certo capitalismo moralmente motivato, che pur è esistito...). Ma vanno anche ricordati alcuni suggerimenti sui rimedi di tipo infrasistemico (Corto Maltese, Roberto, Truman).
4) Si è verificata però un’unità di vedute sui rimedi antisistemici, nel senso dell'indicazione di misure rivolte, in teoria, a favorire la fuoriuscita dal capitalismo: in particolar modo ricorrendo ai due “randelli” della decrescita e del recupero della sovranità monetaria. Ma qui, purtroppo, credo abbia giocato un ruolo decisivo una certa idea del politico, visto sì come superiore all’economico, ma al tempo stesso sottoposto alle leggi del sociale. Nel senso, credo, della superiorità della partecipazione sulla decisione. Nonché una certa diffidenza sul ruolo dello stato, come supremo decisore, in ambito economico. Che può anche essere condivisa, ma a patto di indicare, e in modo concreto, come “fare a meno dello stato”. Soprattutto in certi frangenti.
Ora due indicazioni di tipo metodologico.
5) Consiglierei di respingere qualsiasi visione “eccezionalistica” del capitalismo (in particolare, mi pare, penso alle tesi di Paolo, Alfredo, Marco Cedolin, Carlo Bertani, Truman). Per farla breve: è un sistema storico, come tanti altri, e dunque mortale. E soprattutto risponde a determinate costanti sociologiche. Può essere studiato e combattuto teoricamente sulla base del nostro "normale" sapere sociologico.
6) Consiglierei, una volta formulata, di rapportare qualsiasi proposta di fuoriuscita sistemica alla reale esistenza, anche in divenire, di una classe dirigente in grado di comprendere l'importanza della posta in gioco e, conseguentemente, di portare a termine, o comunque avviare, una missione così ambiziosa. Sarò più chiaro: se già in Rete si comunica intellettualmente con difficoltà, perché si preferisce coltivare il proprio orticello, figurarsi, “fuori”, nella vita politica reale... Insomma, passare dalla teoria alla pratica, anche se importante, spesso richiede tempi lunghi. Dal momento che la "transizione" da un sistema all'altro, di regola, implica un' élite motivata e coesa, nonché gente comune disposta ad ascoltare e mettere in pratica.