Suscita timori il ritorno della paura. Quella per i risparmi, i piccoli o grandi beni, le entrate. Si teme che quello che è stato chiamato benessere economico possa finire, o indebolirsi ancora di più.
Come sempre accade, la paura per il benessere si accompagna ad altri timori, di varia natura: gli stranieri e il terrorismo; oppure l’autoritarismo, i disordini di piazza. Le paure, se collettive, creano un clima sgradevole. Eppure hanno una loro ragione, e perfino una funzione positiva.
La paura, infatti, ci possiede quando prima se ne è avuta troppo poca. Il bimbo troppo audace, e sbadato, quando finisce in pericolo prende paura. Non è piacevole, e occorre vigilare che non si trasformi in nevrosi, o fobia. Tuttavia è istruttiva, e utile a sviluppare una relazione positiva con la realtà.
Il pericolo, infatti, è fastidioso, come tutto ciò che ci costringe a fare i conti con l’esistenza del male. Per questo tutti, bambini e adulti, preferiamo non vederlo, voltare la faccia, credere che non esista. Questo atteggiamento, però, comprensibile nei bambini le cui esperienze sono ancora frammentate e parziali, negli adulti non è affatto sano, perché copre malamente il tentativo, destinato all’insuccesso, di negare il lato difficile della realtà: la fatica della crescita (non solo quella economica, ma anche quella affettiva), il rischio presente in ogni attività, la necessità dell’attenzione e della prudenza. Tutti questi aspetti «difficili», ma molto autentici della realtà, vengono rimossi quando trionfa una visione euforica della vita. E naturalmente anche (ma non solo) dell’economia.
È stato detto che il «pensiero positivo», come direzione e obbligo di non considerare le possibilità che le cose vadano male, è una delle principali caratteristiche del capitalismo: ma non è affatto vero. Il capitalista è qualcuno che riconosce perfettamente l’esistenza del rischio, e a certe condizioni accetta di correrlo. È certamente un tipo umano che ama l’avventura, e anche l’invenzione, più del funzionario statale, che non è interessato a correrla; ma non è affatto un irresponsabile. Le sue fortune, anzi, sono legate a un’accorta valutazione del rischio, che lo mettono in grado di profittare con spregiudicata tempestività degli errori di chi si è esposto incautamente mentre lui studiava la situazione.
Il rappresentante più significativo del capitalismo non è chi fa scorrere fiumi di champagne in feste miliardarie e molto fotografate, ma un tipo come Warren Buffet, che dopo essere rimasto in disparte, in provincia, nei tempi dell’euforia generalizzata generata dalle «mille luci di New York», ora investe miliardi di dollari per comprare aziende industriali e finanziarie che si sono svenate nei momenti dello show dell’arricchimento facile e infinito.
La paura corrisponde dunque al momento della rottura dell’incantesimo euforizzante, alla scoperta che le cose, complesse, vanno affrontate con responsabilità (nei tempi di euforia considerata noiosa).
La paura accompagna una fondamentale esperienza della crescita umana: il senso del limite. Non siamo onnipotenti. Una constatazione, questa, che nella modernità è continuamente dimenticata e rimossa, anche sotto la spinta di grandiose scoperte scientifiche e tecniche economiche. Che tuttavia non tolgono il limite: ogni sviluppo produce poi una contrazione, ogni scoperta scientifica porta con sé anche effetti negativi. I disinfettanti uccidono i batteri, ma diminuiscono anche la nostra capacità di fronteggiarli.
La paura serve a riconoscere il limite, evitando guai peggiori. Buongiorno paura.