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Michel Maffesoli: la comunità nella post-modernità

di Francesco Bevilacqua - 10/10/2008

 

 

Sociologo francese, professore di Scienze Umane presso l’università Sorbona di Parigi, Maffesoli è un pensatore estremamente particolare, si potrebbe dire quasi alternativo, nell’ambito della sociologia accademica. Egli infatti rifiuta spesso il modus operandi scolastico e artificioso degli ambienti ufficiali, si pone in aperto contrasto con concezioni ed istanze fondanti di molte scuole filosofiche e sociologiche (dai freudiani ai positivisti) e quasi malvolentieri accetta di istituire una terminologia descrittiva dei suoi studi e delle sue conclusioni, preferendo sicuramente l’attività pratica a quella teorica - e in fondo fine a sé stessa - che caratterizza molti suoi colleghi.

 

Il pensiero di Maffesoli è riconducibile alla scuola comunitarista, vista anche la particolare valenza che egli attribuisce proprio al recupero della dimensione comunitaria della società, anche se è portatore di posizioni e autore di intuizioni decisamente peculiari.

In particolare l’attenzione di Maffesoli si concentra sul processo di evoluzione della società occidentale, che in questi anni sta attraversando una fase critica in occasione della quale si prospettano decisi stravolgimenti. A questo proposito, è opportuno rilevare come il sociologo francese rifiuti la concezione lineare del tempo ed in particolare della storia, per recuperare un’archetipale rappresentazione ciclica del divenire, anche se lui sostituisce all’idea del circolo quella della spirale; questo cambiamento è necessario per chiarire il suo concetto di cicli storici che si ripetono senza tuttavia essere mai uguali: le istanze che questi cicli contengono vengono rielaborate, variate, modificate e ricollocate nel contesto attuale e perciò, pur essendo sostanzialmente analoghe a quelle originarie, alla fine si differenziano da esse.

La cose ritornano senza mai essere identiche a se stesse”, ecco la frase che meglio racchiude l’essenza della concezione a spirale del tempo e della storia.

 

Proprio a questa concezione si rifà un’idea cardine del pensiero di Maffesoli: la post-modernità. Essa non è quindi, come hanno detto alcuni, una mera reazione alla modernità costituita dal rifiuto delle sue istanze, che caldeggia un semplice ritorno al passato.

Maffesoli ha accettato di buon grado di utilizzare questo termine, “istituzionalizzando” il suo concetto, poiché esso rende ottimamente l’idea di un superamento della modernità; modernità che si basa – anzi, si basava – sui tre pilastri fondamentali della ragione strumentale, della fede nel futuro (il quale oggi è visto più che mai fosco ed ineluttabile) e della certezza di un progresso evolutivo (anch’esso oggi al centro di forti dubbi). Essendo palese lo stato collabente di questi tre pilastri è altrettanto evidente che si sta compiendo una transizione epocale; ma verso cosa? Viste l’incertezza e la diffidenza verso il futuro non certo verso un’epoca frutto di un progresso positivo della modernità stessa. Neanche verso una pre-modernità, dal momento che come abbiamo detto non avviene mai la riproposizione tout-court di una situazione già verificatasi in passato. Ecco che appare dunque calzante il concetto di post-modernità, mutuato da istanze provenienti da un’epoca – se vogliamo – pre-moderna ma caratterizzata da forze nuove ed attuali.

 

Una di queste forze è proprio il senso di comunità, che secondo Maffesoli deve essere recuperato; egli arricchisce questo concetto legandolo all’idea di emozionalità; la comunità si contraddistingue infatti per via dei suoi membri che rispondono a pulsioni emozionali, non emotive – cioè frutto di impulsi psicologici – ma legate piuttosto al contesto a cui i membri stessi appartengono, il contesto territoriale, ambientale, naturale che contribuisce a forgiarne lo spirito comunitario.

Fornendo un’ulteriore chiarificazione in merito all’avvicendamento modernità/post-modernità, Maffesoli si sofferma sui tipi urbanistici che appartengono a ciascuna delle due categorie: rispettivamente la metropoli – opprimente forma di raggruppamento umano che non a caso ricorda molto l’ambiente tipico della società (contrapposta alla comunità) di Tonnies – e la megalopoli – “jungla” di cemento che però si caratterizza per essere “multicentrica” e quindi funzionale alla nascita di piccole comunità, “tribù” (pur con qualche titubanza Maffesoli utilizza anche questo termine) urbane che necessitano sia del legame le une con le altre e sia di quello intestino dei loro membri per resistere alle pressioni esterne.

 

Da buon estimatore di Nietzsche inoltre, Maffesoli è sostenitore della dimensione dionisiaca dell’animo umano, che lui ritiene debba soddisfarsi in una sorta di carpe diem, godere di ciò che la vita offre senza proiezioni od obiettivi a lungo termine; il paragone con Nietzsche regge nel momento in cui Maffesoli accetta la collocazione dell’autore tedesco in un contesto sostanzialmente individualistico e ravvisa le stesse origini nella felicità – costruita in questo modo – dell’individuo nietzschano  e in quella della comunità che sta nascendo in questo nuovo contesto post-moderno. Fra l’altro questo ragionamento contiene un’intrinseca critica al materialismo moderno, che contempla esclusivamente decisioni finalizzate alla programmazione, al progresso e al raggiungimento dell’utile, oscurando completamente la visione estetica che è invece considerata dal sociologo francese positiva, in quanto costituisce una semplice e serena accettazione di ciò che è.

Partendo dall’idea del carpe diem infine, Maffesoli fornisce qualche “indicazione pratica” per affrontare la vita quotidiana secondo la prospettiva da lui abbracciata: bisogna tornare alle cose semplici, valorizzare i piccoli gesti quotidiani che stanno – a ben vedere – alla base della vita comunitaria, calarsi appieno nella realtà della comunità stessa. Insomma: saper parlare col proprio vicino di casa, ascoltare quello che si dice al bar la mattina , leggere le notizie sul quotidiano locale…