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«Bisogna abolire le Olimpiadi» intervista a Massimo Fini

di carlo passera - 09/02/2006

Fonte: lapadania.com

BARACCONI PRIVI DI VALORI: CONTA SOLO IL BUSINESS
Massimo Fini, mancano ormai poche ore all’inaugurazione delle Olimpiadi invernali di Torino. Ti iscrivi al partito degli entusiasti, oppure a quello degli scettici?
«Penso che un Paese serio dovrebbe aver rinunciato da tempo a organizzare Olimpiadi».
Perché mai?
«Perché non hanno più alcun senso, sono un puro stress che sarebbe meglio evitare. Sono solo un business, ma in realtà baracconi spesso nemmeno convenienti per i Paesi che le organizzano. Inoltre, sono un grande palcoscenico, quindi diventano anche l’obiettivo prediletto di ogni estremismo, di ogni terrorismo».
A tuo giudizio non rimane proprio nulla, né dello spirito olimpico, né almeno del valore della prestazione sportiva?
«Dello spirito olimpico non è rimasta neppure una pur vaga traccia. La causa? Proprio il gigantismo dei Giochi. L’ultima Olimpiade a dimensione realmente umana è stata quella di Roma del 1960, dove non a caso a vincere la maratona fu un etiope a piedi scalzi. Oggi invece tutto è esasperato: la preparazione degli atleti, la dimensione economica, la concentrazione dei media, la competizione... Ripeto: ormai sono più una occasione di stress, che di reale divertimento. Allora io dico: torniamo ai fuochi d’artificio!».
Ai fuochi d’artificio?
«Davvero. L’uomo è una creatura... ...abbastanza semplice, è bello quando al mare, d’estate, sparano i fuochi d’artificio; tutti noi adulti stiamo a guardarli insieme ai bambini, non c’è bisogno d’altro. Ecco: sto usando un paradosso, ma io sono contrario al gigantismo in ogni sua forma e le Olimpiadi ormai sono un po’ come il ponte di Messina».
Morto lo spirito olimpico, non resta nemmeno il valore in sé della prestazione sportiva? Dell’uomo che tenta di superare sé stesso. Mi dirai: c’è il doping...
«Certo, c’è il doping. Che ha una ragione: se si esaspera tutto, è ovvio che entra in gioco la chimica. Mi ricordo quando Patrick O’Brien, americano, partecipò alle gare di lancio del peso (in quattro Olimpiadi, negli anni Cinquanta, ndr), vinse due ori e un argento ed era un ragazzo poco più alto di 1,80 metri, si allenava qualche giorno prima delle competizioni... Conduceva una vita normale, faceva l’amore, andava al cinema, aveva le fidanzate, poi lanciava il peso. Era, insomma, un uomo. Quelli di oggi sono macchine, sono atleti costretti a essere tali fin da età giovanissima, non possono vivere la loro infanzia: mi pare un fenomeno mostruoso sotto tutti gli aspetti».
Il Comitato olimpico internazionale considera il doping illecito sportivo, mentre per l’Italia è, per legge, reato penale. Così il governo ha dovuto sospendere la nostra norma, durante le Olimpiadi, poiché altrimenti molti atleti avrebbero dato forfait...
«Già questo dice tutto. La vera ammirazione va per l’uomo che, da atleta, è più bravo di noi: ma deve restare un uomo. In fondo il calcio un po’ riesce ancora a mantenere questa dimensione “umana”, non so fino a quando. Nell’Olimpiade, invece, tutto è venuto meno. Eppoi, diciamo la verità: non se ne può più di eventi. Ci sono i campionati di calcio, i mondiali, gli europei, le olimpiadi invernali, miss Italia, Sanremo, è un continuo: è stressante che l’annata sia scandita da tali scadenze. Se c’è sempre l’evento, non c’è più nessun evento: è Carnevale tutto l’anno, significa che non esiste più un momento di vera festa. L’overdose uccide il piacere».
Prima mettevi in dubbio anche la valenza economica dell’evento. Ma penso ad Atene, che ha organizzato le ultime olimpiadi estive: il bilancio è finito parecchio in rosso, ma la città si è rilanciata. Penso, soprattutto, a Barcellona: agli inizi degli anni Novanta, con le Olimpiadi, ha messo le ali a uno sviluppo che è proseguito impetuoso e continua tuttora...
«Tu citi Barcellona. Ma quanto il suo sviluppo è dovuto all’evento in sé, e quanto al fatto che tutta la Spagna era ed è da tempo in fase fortemente propulsiva? In un Paese che ha grossi problemi come il nostro, invece... C’è anche il precedente di Italia ’90, i campionati del mondo di calcio: non ci hanno portato nulla e hanno rovinato quasi tutti gli stadi. Penso all’Olimpico di Roma, che era un meraviglioso impianto immerso nel verde, dove andavano anche le famiglie: ora è circondato di cemento e ci trovi solo gli assassini».
Io penso anche a San Siro, a Milano.
«È un altro caso emblematico. Aveva un terreno perfetto, come il Prater di Vienna, o anche Wembley: oggi devono sostituirlo ogni tre mesi. Solo un idiota poteva ignorare che, costruendo l’inutile terzo anello, la luce non sarebbe più filtrata, l’erba non sarebbe più cresciuta e d’estate si sarebbe soffocati dal caldo! Insomma, un disastro, tutti gli stadi sono stati una rovina, a parte il bellissimo impianto di Bari, progettato da Renzo Piano».
Che però è una classica cattedrale nel deserto.
«Esatto. Ha ospitato una finale di Coppa Campioni tra Stella Rossa e Olympique Marsiglia, io c’ero, ma per il resto rimane inutilizzato. Negli altri casi, invece, hanno proprio rovinato tutto. Temo che più o meno la stessa cosa si ripeterà con Torino 2006».
Provo a riassumere: la Barcellona degli anni Novanta aveva l’autonomia e uno Jordi Pujol pronto a sfruttare l’evento per farne il volano di uno sviluppo complessivo. Italia ’90 non ha avuto tutto questo, e forse non l’ha nemmeno Torino 2006.
«Infatti. È un fenomeno drogato anche per queste ragioni».
A prescindere dalle considerazioni generali sui Giochi, cosa ne pensi dei continui “assalti” alla fiaccola olimpica, messi in atto dai centri sociali?
«I centri sociali non mi sono affatto simpatici, non ne ho alcuna stima perché li ritengo residui di un marxismo morto molti anni fa. Ciò detto, è vera anche un’altra cosa: la mancanza di senso dell’olimpiade, la sua “falsità” (teoricamente è animata dai valori decoubertiniani novecenteschi, in realtà solo dal business), si percepiscono chiaramente, fanno contrasto, danno davvero fastidio a chi ha sviluppato una minima sensibilità».
Questo giustifica gli atti di boicottaggio di questi giorni?
«Assolutamente no. I contestatori, anche quando sono ragazzi, sono in realtà vecchi arnesi di una vecchia cultura. Ossia la cultura antagonista, che non è affatto tale».
Il torinese Gianni Vattimo ha annunciato: «Scappo dalla città, per i Giochi me ne vado, figurarsi se rimango in tutto quel caos». Sei d’accordo?
«Farei la stessa cosa e non per questioni snobistiche. C’è un sovraffollamento che non è per nulla gioioso: poiché i valori sono taroccati, come si può pretendere di percepirli e esaltarli?».
Ci saranno sei agenti per ogni atleta, è necessaria la massima attenzione rispetto al rischio terroristico, visto anche quanto sta accadendo in questi giorni. Temi un attacco? Eventi di questo tipo sono il palcoscenico ideale per cose del genere, eppoi l’Italia è ancora “impunita” rispetto alla propria partecipazione alla “coalizione dei volenterosi”...
«Certo, è un’occasione molto ghiotta per il terrorismo internazionale. Però penso e spero che l’Italia non subirà alcun attacco, per una ragione molto semplice: siamo il crocevia di tutti i traffici illeciti, armi, denaro sporco, droga. Da qui passano anche i terroristi. Siamo, insomma, una sorta di zona franca, che è meglio non toccare per non attirare i riflettori. Nel bar della malavita non si spara, altrimenti interviene la polizia».
È l’attuale strategia della mafia, contrapposta a quella della “stagione delle stragi”.
«Proprio così».
Speriamo che tu abbia ragione, ma l’inquietudine rimane, anche perché le notizie dal mondo contribuiscono ad alimentarla. Tu ti sei più volte espresso sulle colpe dell’Occidente nell’aver aizzato il fondamentalismo islamico. Non pensi però che, nella vicenda delle vignette, ci sia anche altro? Che vi siano “imprenditori dell’odio”, magari immigrati in Europa, che soffiano sul fuoco del radicalismo nel nome di Allah?
«Due premesse. Primo: la satira non ha più diritti delle altre espressione dell’opinione. Secondo: in un Paese democratico la libertà d’opinione ha due soli limiti, non si può ricorrere alla violenza e non si può diffamare il prossimo. Punto. Dovremmo essere attestati in difesa di questi principi. Invece l’Occidente sta reagendo in modo titubante e così dimostra di avere due volte la coda di paglia».
Ovvero?
«Innanzi tutto, abbiamo anche noi leggi liberticide. Mi spiego: a Roma due ragazzotti sono nei guai per uno striscione allo stadio, “Lazio e Livorno, stesse iniziali stesso forno”. Ma che cos’era questa, se non una “forma di satira”, diciamo così? Eppure vengono perseguiti in base alla legge Mancino, che considera reato le espressioni xenofobe, razziste, antisemite e l’istigazione all’odio razziale. Dunque, rispetto ai principi liberali, questa legge fa un’eccezione per combattere fantasmi del passato, ormai innoqui. Ma perché il razzismo antiebraico va dunque punito, e quello anti-islamico no? O sono illeciti entrambi oppure - e io la penso così - nessuno dei due. Questa è la prima contraddizione. Poi, ho sentito dire che episodi come quello delle vignette offendono la sensibilità di milioni di persone. Ma se si inizia così, è finita la libertà di espressione! Negli anni Cinquanta anche una caricatura di Stalin offendeva milioni di persone: bisognava censurare per questo? La religione non può godere di uno statuto diverso. L’Occidente si sta stracciando le vesti per le vignette, si scusa, si cosparge il capo di cenere perché offenderebbero gli islamici, e nello stesso tempo bombarda, occupa, pretende che quelle genti assumano la nostra cultura, eccetera, cosa ben più grave di quattro disegni blasfemi. Infatti credo che la reazione dei popoli islamici, in parte spontanea, in parte strumentalizzata, derivi da un’esasperazione che nasce prima, altrimenti tutto sarebbe passato inosservato».
Insomma, l’Occidente avrebbe dovuto difendere meglio, in questo caso, i propri principi liberali...
«...peccato che avendo la coscienza sporca non se la senta di farlo».
Resta un fatto: la vicenda conferma la presenza di “imprenditori dell’odio”, islamici, che fanno di tutto per gettare benzina sul fuoco.
«Questo è indubbio. Teniamo conto che l’islamismo è una cultura intollerante, come tutti i monoteismi, come il cristianesimo e l’ebraismo».
Il cristianesimo oggi è ben poco intollerante...
«Oggi. Dipende dai periodi. Ed è ugualmente intollerante l’idolatria che l’Occidente ha di sé stesso e dei propri valori, una sorta di monoteismo laico. Purtroppo si sta affermando una cultura dell’odio tra due integralismi: da una parte quello islamico, dall’altra quello laico occidentale al posto di quello cristiano, poiché di cristiano in Europa è rimasto ben poco».
Quando parli di “integralismo islamico” pensi all’intero Islam, o sei tra coloro che ancora sperano o credono in un Islam moderato?
«Esiste il terrorismo, che è una cosa. Poi esiste l’Islam, che ho qualche dubbio sia una religione moderata. Le leggi del Corano sono terrificanti, anche se temperate poi da un certo pragmatismo: in quei Paesi ci si trova a che fare con queste norme molto dure, ma anche con una concezione “sicula” in base alla quale se sei amico dell’amico la fai franca ugualmente. Islam e cristianesimo sono religioni aggressive perché vogliono convertire l’altro; e con questo non voglio certo salvare l’ebraismo, in base al quale c’è un popolo eletto e poi, più in basso, tutti gli altri, il che è alle fondamenta del razzismo. Le tre grandi religioni monoteiste hanno fatto le cose più spaventose, le guerre più sanguinose nelle quali il nemico non è un uomo, ma un cane infedele. Noi stiamo ripetendo lo stesso copione: per noi il mondo islamico è il male, e viceversa».
Questo scontro di diversi estremismi, Dio Denaro contro Allah, rischia di portarci di nuovo a guerre sanguinose?
«Rischiamo uno scontro all’ultimo sangue. Verranno stritolati coloro che non ritengono il male tutto da una parte o dall’altra. La Ragione viene sempre uccisa dagli opposti estremismi, che a un certo punto prevalgono. Dilagano certe “epidemie emotive”, alla Fallaci, e sorgono questi fenomeni che stiamo osservando».
Siamo già a questo punto? Alla morte della Ragione?
«Sì, siamo già alle opposte intolleranze. Io critico di più la nostra, perché abbiamo una tradizione liberale e vederla calpestata mi fa senso. Così si arriva ai nazismi».
La via di salvezza, per noi liberali, sarà solo fuggire nelle mitiche isole Andamane!
«Già. Perché in Africa non si può più andare, l’hanno distrutta...».