L'attualità di Enrico Mattei, l'imprenditore eretico
di Claudio Moffa - 27/10/2008
Fonte: mastermatteimedioriente

E’ questa collocazione e figura imprenditoriale di Mattei che spiega comunque il silenzio e i travisamenti che coprono la sua opera e memoria ancora oggi. Mattei imbarazza: a destra perché, pur difensore dell’industria privata, fu e partigiano e capitalista di stato orgoglioso di questo suo ruolo, in anni in cui il mondo politico era rigidamente diviso fra partiti dell’arco costituzionale e MSI, e lo “statalismo” era considerato dai conservatori un “demone” ispirato dal PCI e dall’Unione sovietica: e a sinistra perché la sinistra di oggi – comprese le sue appendici “radicali” – non ha nulla più dei partiti di Togliatti e Nenni, ed è alla fin fine “centrosinistra finanziario” egemonizzato dalla grande stampa “progressista” legata agli eredi infedeli della filosofia d’impresa di Adriano Olivetti e alla tradizione elitaristica di Enrico Cuccia. Basti guardare a tutte le “riforme” del centrosinistra negli anni Settanta, dalle privatizzazioni messe in atto con un golpe notturno agli inizi degli anni Novanta all’aggressione al mondo del lavoro con la legalizzazione del precariato, alla guerra di Jugoslavia.Leggete alcuni articoli della stampa “progressista” in occasione del centenario della nascita del fondatore dell’ENI (2006): sul versante estremistico potrete trovare la lettura di Mattei in chiave tutta antiamericana (ma Mattei, fra i fondatori di Gladio, ebbe buoni rapporti con gran parte dell’establishment USA, ben diverso da quello odierno), e sulla “grande stampa” troverete quasi sempre un lavorìo ai fianchi del primo presidente e fondatore dell’ENI, dove i presunti aspetti negativi della sua opera sono più sottolineati di quelli positivi: o dove tutto si risolve nel mistero della sua morte, da lasciare perennemente tale, senza alcuno sforzo per mettere assieme i diversi tasselli, incastonarli nel fenomeno più generale del terrorismo di cui l’attentato di Bascapé, secondo una battuta di Fanfani [13], potrebbe essere stato proprio il primo capitolo, un’anticipazione della “strategia della tensione” dilagata qualche anno dopo, dopo il ‘68. Aprite poi – per passare a Internet - Wikipedia alla voce Mattei: troverete la sottile diffamazione di questa intelligente enciclopedia mediatica, opera di personaggi che non possono che avere in odio un politico-manager come il fondatore dell’ENI, amico dei paesi arabi e di Nasser. I luoghi comuni sulla sua presunta “corruzione”, sui suoi presunti difetti e mancanze di imprenditore, sul suo presunto “cinismo”, sul suo carattere “avventuriero”: tutti aspetti in realtà da vagliare – nessun politico è mai un puro - e comunque smentiti da chi lo ha conosciuto direttamente, oltre che da una vasta saggistica non adeguatamente valorizzata e dalla documentazione di archivio. La natura di “imprenditore eretico” di Enrico Mattei, cristiano, sviluppista, alieno dalla filosofia del “profitto per il profitto”, nemico del mitico Cuccia - a sua volta in buoni rapporti con il suo successore Cefis - è il primo fattore che spiega, certo assieme ad altri, il suo obnubilamento da parte del giornalismo e dell’editoria di regime: che sono quelli, essenzialmente, che costituiscono la “forza” del centrosinistra postbipolare, un raggruppamento eterogeneo e diviso ma senza quasi più alcuno spazio di autonomia dalla catena editoriale che lo controlla e soffoca.
Ma queste stesse caratteristiche di Mattei possono probabilmente proporne anche la straordinaria attualità: su questi aspetti della sua figura di imprenditore – che avrebbe detto Mattei della crisi dell’Alitalia? La risposta è per chi scrive, molto semplice: si sarebbe schierato dalla parte dell’italianità dell’azienda – e su altre questioni assolutamente fondamentali, a cominciare dalla politica mediorientale dell’ENI. Una politica che venne bruscamente interrotta dopo il 1962 con l’ascesa ai vertici del palazzo dell’EUR di Eugenio Cefis, l’ex partigiano legato ai servizi segreti inglesi dai tempi della Resistenza, firmatario dell’accordo “al ribasso” con Israele nel dicembre del 1957 [14], e che, all’oscuro del suo Presidente, aveva intessuto attraverso l’ANIC rapporti commerciali con lo Stato ebraico, suscitando gli attacchi di tutti i paesi arabi contro l’azienda di cui era vicepresidente: e per questo probabilmente, avendo messo a repentaglio l’intera strategia di amicizia e collaborazione con i paesi produttori di petrolio del Medio Oriente elaborata in dieci intensissimi anni dall’ENI, espulso da Mattei nel gennaio 1962, otto mesi prima l’attentato di Bascapé. LA POLITICA ESTERA DELL’ENI DI MATTEI: UNA POLITICA DI PACE, DI AMICIZIA E DI COOPERAZIONE PARITARIA CON I PAESI ARABI E ISLAMICI.La principale eredità positiva tramandataci da Enrico Mattei è la costruzione intelligente, perseguita con grande tenacia e determinazione, di una vera politica di pace nel Mediterraneo e nel Vicino-Medio Oriente grazie ad una politica di cooperazione paritaria fra l’Italia, paese privo di risorse energetiche, e i paesi arabi e islamici della regione produttori di greggio. Il volano economico di questa strategia alla fine anche culturale e politico-diplomatica fu la famosa “formula” ENI, con cui Enrico Mattei riuscì ad incrinare il cartello delle mitiche Sette sorelle insidiandone il monopolio petrolifero: una formula fondata sulla compartecipazione attiva e non solo renditaria dei paesi produttori, e che finiva peraltro per combinare - in modo geniale e “anticonformista” per un’epoca in cui la “patria” sembrava dovesse essere solo appannaggio delle destre - la difesa degli interessi nazionali italiani e quella dei popoli ex coloniali: la grande stagione cioè della decolonizzazione, sostenuta apertamente dai partiti e dall’intellighentzia di sinistra. Ecco dunque che Mattei, sostenitore attivo come Nasser del FLN algerino – non a caso un anno prima di morire, il presidente dell’ENI aveva ricevuto una lettera minatoria firmata “OAS” francese - si ritrovò nei fatti a fianco di un’altra grande personalità del mondo ebraico italiano dell’epoca, il regista comunista Gillo Pontecorvo, l’ autore de La battaglia di Algeri, cultmovie di una contestazione giovanile degli anni Sessanta e Settanta spesso incline ad un astratto e antinazionale “internazionalismo”.
Ed ecco che Mattei fu nel decennio ENI da lui guidato, alfiere della bandiera italiana in tutti i paesi arabi e islamici del Vicino e Medio Oriente: una bandiera sorretta però non da soldati in divisa e armati di mitra, ma da tecnici in tuta della SNAM e dell’AGIP, invitati dai suoi discorsi e dai filmati che egli faceva produrre a collaborare fraternamente con i colleghi arabi e iraniani. Mattei patriota convinto, e convinto amico dei paesi produttori di greggio al di là del Mediterraneo: un aspetto questo che – certo assumendo fino in fondo la diversità fra le due epoche storiche, non ultima la crisi della centralità del Vicino-Medio Oriente come regione petrolifera per eccellenza – dovrebbe o potrebbe far riflettere su quali siano, anche oggi, i veri interessi nazionali dell’Italia. L’assassinio di Calipari ad opera dell’ “americano” Lozano potrebbe essere per noi italiani la cartina di tornasole di una verità scomoda: che le guerre posbipolari che hanno visto coinvolto il nostro esercito sono state e sono tutte “per procura”, a difesa di interessi che peraltro – stando al monito del democratico Jim Moran a Bush Junior pochi giorni prima dell’attacco all’Iraq del 2003 - potrebbero essere neppure “americani”.Quanto appena detto, a proposito della “lezione” di Mattei per l’oggi, è sicuramente solo un accenno generale per approfondire il quale occorrerebbero più convegni, capaci di filtrare la sua esperienza umana politica e economica nella realtà internazionale attuale, diversa in tanti cruciali aspetti, dalla fine del bipolarismo alla scomparsa della DC e dei partiti di massa italiani a seguito di Tangentopoli; dall’emergere di un islamismo estremista fino al terrorismo transnazionale stragista di “Bin Laden”, all’accresciuto potere, dopo la scomparsa del blocco sovietico, del lobbismo filoisraeliano in Europa, negli Stati Uniti e più in generale nel mondo.
Ma, per continuare nella descrizione comunque di quella che è l’eredità storica di Mattei, almeno due considerazioni vanno aggiunte.
La prima è che nel perseguire la sua politica di amicizia e collaborazione con i paesi arabi, Mattei finì per scontrarsi con l’allora ancora giovane Stato ebraico: questa è verità comprovata da fatti e documenti, e come al solito è taciuta, obnubilata, nascosta volontariamente o ingenuamente dalla stragrande maggioranza della saggistica e pubblicistica che si sono occupate del “caso Mattei”. Per un motivo molto chiaro, che è quello sinteticamente ma con grande efficacia accennato nella prima pagina della Prefazione dell’ultimo libro di Ariel Toaff, Ebraismo virtuale, lo storico ebreo già fustigato in patria per il suo Riti di sangue. Gli risponde un collega a cui aveva domandato perché tante “aspre reazioni” al suo libro: perché ti sei “impelagato” nella Shoa? La Shoah? fa Toaff, e che c’entra in un saggio che tratta di una vicenda di sei secoli fa? “In un modo o nell’altro, la Shoah c’entra sempre”, conclude il suo interlocutore.
E’ la sacralizzazione integralista della storia degli ebrei e di Israele – che solo oggi comincia ad essere incrinata grazie ai coraggiosi studi di alcuni revisionisti israeliani, come Pappe – che produce un occultamento di fatto di Israele e degli Ebrei in ogni pagina negativa della storia recente, contemporanea o passata: come il dossier Mitrokhin ridotto alla dialettica Est/Ovest, nonostante Scaramella e la comparsa nella lista ricattatoria di un giornalista assolutamente liberal e puro, tutto fuorché un “agente del KGB”, ma sicuramente “colpevole” di aver criticato duramente nel lontano 1982, l’invasione israeliana del Libano; come tutta la strategia della tensione in Italia, ridotta sempre ai binomi CIA/KGB, estrema destra/estrema sinistra, nonostante l’anarco kibbutzista Bartoli, il caso Argo, le pur vagliande dichiarazioni sulla strage di Bologna del terrorista Carlos; e il sequestro Alfa Romeo con stella “a sei punte” del “compagno Moretti”, il sequestratore del filoarabo Moro, Curcio e Franceschini rinchiusi in carcere.
Anche per Mattei il meccanismo narcotizzante – capace di lobotomizzare persino studiosi e giornalisti eccellenti – è consimile: Mattei si era scontrato frontalmente con Israele nella crisi di Suez, fino a ipotizzare nel 1957 una campagna di stampa contro lo Stato ebraico che non voleva risarcire adeguatamente – questa almeno la sua opinione - quanto razziato nei campi di Abu Rudeis l’anno precedente [15]; era grande amico di Nasser, l’ “Hitler” del mondo arabo secondo le accuse reiterate di Israele finchè il leader egiziano fu vivo; sosteneva attivamente una guerriglia algerina che aveva finito per scontrarsi duramente, durante la guerra di liberazione – e questo spiega peraltro perché l’OAS fosse guidata da un Soustelle nettamente filoisraeliano – con la antica comunità ebraica della colonia francese [16]. Come possono perciò la sua vicenda e il suo caso non essere vagliati anche alla luce del cruciale conflitto arabo-israeliano, che vedeva l’ENI sicuramente sbilanciata dalla parte dei paesi arabi, non fosse altro che perché era in quei paesi che si trovava il petrolio di cui necessitava l’Italia?
Del resto, alcune carte d’archivio dimostrano chiaramente che quella che potrebbe essere definita “l’ultima battaglia di Mattei” fu rivolta contro una “campagna di diffamazione” che accusava la sua ENI di intessere rapporti commerciali con Israele. Non è vero, risponde con tanto di certificazione autenticata dall’ambasciata della RAU a Roma, il presidente dell’ENI, e aggiunge: “tali voci sono di natura tendenziosa e … l’ENI non ha rapporti con Israele e non intende averne sotto alcun aspetto”. Ben “forte” la smentita. Invece era vero: nel dicembre 1961 Mattei fa un’inchiesta interna all’ormai mastodontica e ramificata ENI e scopre che l’ANIC guidata da Cefis aveva effettivamente alcuni suoi rappresentanti nello Stato ebraico. Nel gennaio 1962 Cefis viene espulso dall’ENI, una pagina clamorosa nella storia del Palazzo dell’EUR, ma ancora oggi – a quasi mezzo secolo dal suo accadimento!! – sottaciuta, dimenticata, al amssimo mormorata a bassa voce dagli ex collaboratori ENI ancora vivi e sulla breccia. A giugno Montanelli, l’innamorato respinto di Golda Meir secondo sua tardiva confessione nella rubrica delle Lettere del Corriere della Sera, spara i suoi servizi anti-Mattei sul quotidiano di via Solferino, pieni di dati di prima mano fonte ENI. Il 27 ottobre successivo Bascapé: un attentato, secondo la conclusione dell’inchiesta del pubblico ministero Calia del 2005.La seconda considerazione – insieme di fatti che di nuovo, per diventare esempio e “lezione”, deve essere vagliato con attenzione, e filtrato nella diversità radicale fra il Medio Oriente degli anni Cinquanta e Sessanta, proiettato nel processo di modernizzazione di una ancora giovane decolonizzazione, e quello attuale, imbarbarito dallo “scontro di civiltà” e dalle guerre dell’Occidente contro i suoi veri o presunti nemici – riguarda la percezione assolutamente opposta del mondo islamico e arabo da parte di Mattei, rispetto a quella oggi egemone nel centrodestra come nel centrosinistra (si pensi all’impatto del Corriere con la sua indicazione di voto nelle penultime elezioni).
A parte la categoria “terrorismo” in cui oggi i soliti “grandi opinionisti” pretendono di accomunare sia lo stragismo di Al Qaeda, sia gli atti di violenza armata compiuti da movimenti di liberazione nazionale ancorati a territori ben circoscritti (come avrebbe potuto l’ex partigiano Mattei accettare una simile lettura del FLN algerino, che non faceva che seguire l’esempio, eccessi inclusi, della Resistenza europea contro il nazismo e fascismo?), il caso principe che in qualche modo tutto comprende della “revisione” dell’Islam degli ultimi dieci-ventanni in Occidente è costituito – in Italia - dal libello di Oriana Fallaci diffuso in 2 milioni di copie dal Corriere della Sera. Un libello – La rabbia e l’orgoglio - non solo infarcito di insulti gratuiti, non solo animato dalla convinzione che l’Islam è il “nazifascismo” della nostra epoca, ma che a monte – scritto poco dopo il criminale attentato delle Torri Gemelle – parte da un apriori che qualsiasi serio professionista dell’informazione avrebbe dovuto porsi dopo l’11 settembre: tanto più la Fallaci, attiva giornalista nell’epoca di Ho chi minh e della contestazione degli anni Settanta, già compagna di Panagoulis, formatasi dunque in un’epoca in cui era assolutamente normale e professionale allo stesso tempo, interrogarsi sui veri autori e mandanti degli attentati stragisti della strategia della tensione italiana e europea. Nel caso delle Twin Towers, dunque, chi è il mandante, o il co-mandante dell’attentato che ha cambiato la storia del mondo, scatenando lo scontro di civiltà e producendo sconfitte a ripetizione per il mondo arabo e islamico, a cominciare dal rovesciamento del laico Saddam Hussein, l’unico a ben sopravvivere proprio e solo “Bin Laden” e Al Qaeda?
Questa domanda banale, la Fallaci non se la pone, accetta la versione ufficiale della stampa americana e mondiale: preferisce rivolgere immediatamente la sua “rabbia” tutta contro i musulmani, un odio antico, di vecchia data, probabilmente incrudito dalla terribile malattia che l’aveva colpita, come sottolineato da Giulio Andreotti all’inaugurazione del master Enrico Mattei all’Università di Teramo il 6 febbraio 2006: stupisce perciò che il suo libello venga riproposto come un esempio di alta professionalità, così come stupisce che ella venga assunta dalla destra a simbolo di un Occidente ferito nella sua identità, minacciata di certo non solo e non tanto dall’integralismo islamico. MATTEI SVILUPPISTAInfine, due altri aspetti importanti da prendere in considerazione quando si parla di eredità di Mattei: il primo è la questione immigrazione, solo per ricordare che – parlando all’epoca ovviamente dell’emigrazione italiana – Mattei collegava i flussi migratori ai grandi processi strutturali dell’economia, rifuggendo dunque da ogni approccio immediatistico e “caritatevole”: il suo appello augurio agli emigranti siciliani a tornare in patria, fatto in un comizio poco prima di morire, aveva alle spalle la forza strutturale del progetto di Gela, fonte di ricchezza e di occupazione per l’intera isola. Questo aneddoto va a ricongiungersi alla sua strategia generale nei confronti dei paesi emergenti: il problema di fondo per colpire alla radice il fenomeno immigratorio in Italia oggi, è quello tracciato da Mattei 40 anni fa. Da una parte cioè lo sviluppo di una cooperazione internazionale con i paesi emergenti in grado di favorirne la crescita economica, e dall’altra una politica di pace. Due banali considerazioni che sembrano di difficile acquisizione oggi da parte del ceto politico italiano alle prese con il drammatico fenomeno immigratorio, diviso, il ceto politico, fra un buonismo irrazionale e autolesionista e un non rifiuto netto delle guerre che hanno fra le altre cose aggravato e incentivato – dai Balcani e dal Curdistan – i flussi immigratori verso l’Italia negli ultimi 15 anni.Il secondo aspetto è l’opzione e intuizione nucleare di Mattei: una pagina tutta da vagliare, ma che ancora una volta pone all’avanguardia il presidente dell’ENI nella lotta per lo sviluppo del nostro paese. I problemi di cui si discute oggi, con una Francia che dispone da tempo di centrali nucleari capaci di esportare nel nostro paese energia elettrica, erano già stati avviati a potenziale soluzione con la centrale di Latina agli inizi degli anni Sessanta. Claudio Moffawww.mastermatteimedioriente.it
[1] Giancarlo Galli, Il Padrone dei Padroni. Enrico Cuccia, il potere di Mediobanca e il capitalismo italiano, Garzanti, Milano 1995, pag. 80
[4] Claudio Moffa, Dalla guerra di Suez all’attentato di Bascapé: l’ombra di Israele sul “caso Mattei”, in AA.VV: Enrico Mattei. Il coraggio e la storia, a cura di Claudio Moffa, Roma 2007.
[6] «L'indebitamento dello Stato era, al contrario, l'interesse diretto della frazione della borghesia che governava e legiferava per mezzo delle Camere. Il disavanzo dello Stato era infatti il vero e proprio oggetto della sua speculazione e la principale fonte del suo arricchimento. Ogni anno un nuovo disavanzo. Dopo quattro o cinque anni un nuovo prestito offriva all'aristocrazia finanziaria una nuova occasione di truffare lo Stato che, mantenuto artificiosamente sull'orlo della bancarotta, era costretto a contrattare coi banchieri alle condizioni più sfavorevoli. Ogni nuovo prestito era una nuova occasione di svaligiare il pubblico …». Carlo Marx, Le Lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850, prefazione di F. Engels, Uffici della Critica Sociale, 1896 – Milano, Feltrinelli Reprint, s.d., p. 25-26.
[7] Così Repubblica in un suo articolo di cronaca sul modo di vestire degli studenti in rivolta di qualche giorno fa: non è la prima volta che il quotidiano di via Colombo descrive o per meglio dire diffonde le “regole” del modo di vestire dei movimenti di protesta: anni fa fu la volta dei “girotondini” di Nanni Moretti.
[8]Giancarlo Galli, Il Padrone dei Padroni. Enrico Cuccia, il potere di Mediobanca e il capitalismo italiano, Garzanti, Milano 1995, p. 41: «gestire una grande banca... è un’incombenza faticosa e persino ingrata. Per lui, legato alla cultura classica, il denaro è semplicemente un mezzo (e nemmeno troppo nobile) per realizzare delle cose».
[9] Ibidem.
[10] Ivi, pp. 60-61, tondo in evidenza, mio.
[11] Mattioli muore nel luglio 1973. Ne L’Espresso del 5 agosto dello stesso anno Eugenio Scalfari scriveva: «Niente di più lontano da lui [Mattioli] di un Cuccia, di un Rockefeller o d’un Abs [il ministro delle Finanze di Hitler] (...). Questi uomini hanno portato nel loro mestiere un che di puritano e d’esclusivo, ...relegando al margine della loro giornata quanto non fosse banca. Il contrario di Mattioli.. » (citato in http://www.doncurzionitoglia.com/mattiolcuccia.htm).
Cfr. anche E. Scalfari-G. Turani, Razza padrona, Feltrinelli, Milano, 1974, pp. 159 e segg..[12] Giancarlo Galli, Il Padrone dei Padroni. Enrico Cuccia, il potere di Mediobanca e il capitalismo italiano, Garzanti, Milano 1995, pp. 125-126.
[13] «Chissà, forse l’abbattimento dell’aereo di Mattei, più di vent’anni fa, è stato il primo gesto terroristico nel nostro Paese, il primo atto della piaga che ci perseguita »: discorso di Fanfani al Congresso dei Partigiani Cattolici, Salsomaggiore 1986: citato in Giorgio Galli, Enrico Mattei: petrolio e complotto italiano, Baldini Castoldi Dalai 2005.
[14] Claudio Moffa, Dalla guerra di Suez all’attentato di Bascapé: l’ombra di Israele sul “caso Mattei”, in AA.VV: Enrico Mattei. Il coraggio e la storia, a cura di Claudio Moffa, Roma 2007.
[15] Claudio Moffa, Dalla guerra di Suez all’attentato di Bascapé: l’ombra di Israele sul “caso Mattei”, in AA.VV: Enrico Mattei. Il coraggio e la storia, a cura di Claudio Moffa, Roma 2007.
[16] Claudio Moffa, Il caso Mattei e il conflitto arabo-israeliano, “Eurasia”, 4, 2007, pp. 255-269.