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Il Vietnam di Bush

di R.T. - 11/02/2006

Fonte: Il Manifesto

 
«La mia amministrazione - ha garantito alcuni giorni fa George Bush presentando il budget 2007- concentra le risorse sulla più grande delle priorità: proteggere i cittadini e la nazione». Il concetto di «protezione dei cittadini» del presidente è però differente da quello che intendono milioni di americani. Le cifre fornite, infatti, indicano che su poco meno di 2.800 miliardi di dollari del budget federale per il 2007, quasi 440 sono destinati al Pentagono. Questa cifra (aumentata del 7% rispetto al 2006) non esaurisce la spesa bellica visto che occorre aggiungere i costi delle missioni in Iraq e Afganistan. Tutto compreso, i dati ci dicono che negli ultimi 6 anni la spesa militare è aumentata del 48%. Nel 2006 il bilancio federale statunitense si dovrebbe chiudere con un deficit record di 423 miliardi. Sono tanti soldi, ma in proporzione al pil non è uno scandalo: si tratta del 3,2 del prodotto. Sempre che la crescita non rallenti eccessivamente rispetto alla previsione di un incremento per quest'anno del 3,4% che molti analisti ritengono, alla luce dei più recenti dati economici, non realizzabile. La generosità del presidente nei confronti dell'industria bellica ha un contraltare nella «tirchieria» per i settori che più stanno a cuore alla gente comune. In particolare sono stati abbondantemente tagliati i fondi per la sanità e per l'assistenza ai disabili. Mentre aumenta la spesa per il pagamento degli interessi netti, visto che per finanziare il crescente indebitamento la Federal reserve da circa 2 anni è stata costretta a alzare i tassi.

L'aumento del costo del denaro rischia a, sua volta, di strangolare la domanda. Il credito al consumo sta diventando caro e la bolla immobiliare che si sta sgonfiando, priva i cittadini della risorsa finanziaria costituita dalla rinegoziazione dei mutui i cui introiti per anni hanno costituito la spenta ai consumi. Di più: dopo la forte crescita degli scorsi anni la produttività sta decrescendo e i salari crescono poco. Ma se nel brevissimo periodo questo può essere un elemento positivo per il capitale, nel medio periodo è un boomerang: significa che la gente consuma meno, perché ha meno soldi. E le cose potrebbero peggiorare ulteriormente se i costi energetici non smetteranno di crescere. E gli analisti sono concordi: quando anche le fonti dell'indebitamento si inaridiscono può accadere di tutto. Anche la crisi improvvisa.

D'altra parte i segnali non mancano: la curva dei tassi da un po' di tempo invertita. Questo significa che i tassi di lungo periodo sono più bassi (ed è una anomalia come nel 2000 alla vigilia dell'ultima recessione) di quelli a breve. E ancora: da mesi il Dow Jones si muove sotto quota 11 mila e il Nasdaq poco sopra quota 2 mila (era abbondantemente sopra quota 4 mila prima della crisi di borsa del 2001) a conferma di una sfiducia diffusa. Come al solito, l'effetto tassi potrebbe far ripiegare anche l'Europa. Anche questa non è una novità come ci ha insegnato la «sporca» guerra nel Vietnam.