Ma cos'è un mercato?
di Roberto Pinton - 13/02/2006
Fonte: greenplanet.net
In Martedì scorso l'Organizzazione mondiale del commercio ha inviato alle parti interessate il rapporto preliminare sulla disputa tra Stati Uniti (55% della produzione OGM mondiale), Argentina (19%) e Canada (6%) da un lato e l'Unione Europea dall'altra in materia di organismi geneticamente modificati.
Il rapporto prende il via dalla denuncia presentata il 13 maggio 2003 dai tre paesi biotech contro la moratoria de facto dell'UE sull’importazione di OGM e sui bandi nazionali introdotti da sei Paesi comunitari (originariamente aveva sottoscritto la denuncia anche l’Egitto che, riconoscendo "la necessità di conservare una sufficiente protezione al consumatore e all’ambiente”, ha fatto marcia indietro meno di un mese dopo, ritirandosi dalla contesa).
La tesi degli Stati Uniti è che la moratoria UE era "illegale e ingiustificata" e che si trattava di una misura protezionistica per chiudere -scorrettamente- il mercato alle loro produzioni.
A quanto si dice, il rapporto del WTO (che è confidenziale) dà torto all'Ue.
Ma la moratoria de facto non esiste più dall'aprile del 2004, con l'entrata in vigore della direttiva Cee 2001/18 e dei regolamenti sull'obbligo di etichettatura e tracciabilità degli OGM.
L'Unione europea (meglio: la Commissione, visto che il Consiglio dei ministri dell'agricoltura prevalentemente ha bocciato le domande o non ha raggiunto la maggioranza qualificata per l'autorizzazione) finora ha dato l'ok a 30 OGM (diconsi 30 OGM) per alimentazione umana e zootecnica, ed è senza ombra di dubbio tra i maggiori importatori di mais e soia OGM.
Gli esseri umani europei, in gran maggioranza, sanno leggere, e quando vedono indicato in etichetta "prodotto con soia geneticamente modificata" o "prodotto con mais geneticamente modificato" lasciano il prodotto sullo scaffale, così le imprese cercano di evitare ingredienti OGM, che finiscono quindi, prevalentemente, nei mangimi animali (per prima cosa le vacche non sanno leggere e per seconda una norma comunitaria esenta dall'indicazione dell'uso di mangimi OGM nelle etichette di prodotti lattiero-caseari e di carne).
In realtà l'azione degli Stati Uniti di fronte al WTO non mira a colpire l'Unione Europea (accidenti: l'Europa ha autorizzato trenta OGM trenta, non c'è nessun bando, si importano navi su navi di mais e soia OGM, i consumatori europei che non si rivolgono esclusivamente ai prodotti biologici mangiano già da qualche anno alimenti nella cui produzione si sono usati massicciamente prodotti OGM. Cosa vogliono, che con gli OGM ci facciamo pure il bagno?).
Mira, piuttosto, a scoraggiare i paesi in via di sviluppo dall'applicazione del protocollo di Cartagena sulla biosicurezza. Entrato in vigore nel settembre 2003 quello di Cartagena è un accordo globale legalmente vincolante sul diritto sovrano di un Paese di rifiutare gli OGM sulla base del principio di precauzione. Come il protocollo di Kyoto, gli Usa non l’hanno sottoscritto e non ne accettano il contenuto.
È finita qui? Magari.
Nel 2004, le imprese biotech statunitensi hanno incaricato uno dei loro studi legali di elaborare un altro reclamo al WTO, questa volta contro i regolamenti europei che impongono l'etichettatura e la tracciabilità dei prodotti OGM.
Dato che i consumatori del vecchio continente non vogliono mangiare OGM -è la tesi- l'avviso in etichetta si tradurrebbe, de facto, in una (ci risiamo) misura protezionistica e in una barriera commerciale contraria agli impegni internazionali dell'Europa sul libero mercato.
Lo scenario ideale delle imprese biotech vede consumatori contrari ad alimentarsi con prodotti OGM costretti a farlo, impossibilitati a esercitare la loro scelta per l'assenza di ogni avviso sulle confezioni.
Ma che razza di concezione del mercato è quella che vuole tener nascoste ai consumatori le caratteristiche dei prodotti che gli si propongono?
Perché a me sembra molto simile all’allevamento delle oche da foie gras, in cui si ingozzano a forza dei pennuti di cui non ci si è preoccupati di indagare il consenso?