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Gli italiani hanno il cuore verde

di Francesco Ramella - 12/11/2008

 

Secondo le prime indiscrezioni, tra i provvedimenti che il nuovo presidente degli Stati Uniti intende assumere immediatamente, una volta insediato, alcuni riguardano i temi ambientali. Si sa ad esempio che vuole rimuovere il veto di Bush contro il piano della California per la riduzione del 30% dei gas di scarico delle auto. Obama, del resto, ha più volte confermato che tra le sue priorità, subito dopo la crisi economica, vi è la questione energetica.

Durante la campagna elettorale ha dichiarato che allocherà 150 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni per promuovere le fonti rinnovabili, il risparmio energetico e la produzione di auto elettriche e a basso consumo. Questa strategia, secondo il neopresidente, fa bene non solo all’ecosistema ma anche all’economia. La previsione, infatti, è di creare 5 milioni di nuovi posti di lavoro nel settore ambientale: i green collar jobs. Insomma attraverso una sorta di ecolonomia intende raggiungere un duplice obiettivo. Da un lato ridurre la dipendenza americana dal petrolio. Dall’altro combattere il cambiamento climatico. I traguardi che pone al suo Paese sono ambiziosi. Entro il 2025 dovrà ricavare il 25% dell’elettricità da fonti rinnovabili, ed entro il 2050 abbattere dell’80% le emissioni di gas serra. Gli Stati Uniti devono diventare la nazione leader nella lotta al cambiamento climatico. Perché - come si legge nell’incipit del programma di Obama - «non possiamo più permetterci la solita politica timida quando il futuro del nostro pianeta è a rischio. Il riscaldamento globale non è un problema del futuro ma di adesso».

Vedremo se alle parole seguiranno i fatti, ma tuttavia è già evidente che su questo tema il nuovo inquilino della Casa Bianca non la pensa come Berlusconi, che poche settimane fa ha fatto osservare ai nostri partner europei che, data la crisi finanziaria, sull’ambiente «non è il momento di fare i don Chisciotte». Con l’elezione di Obama viene però a cadere uno degli argomenti «forti» usati per giustificare lo scetticismo verso il piano europeo sulle emissioni inquinanti: la mancata adesione degli Stati Uniti alla lotta contro il cambiamento climatico. L’Italia, dunque, si trova oggi più isolata nello scontro che la contrappone alla maggioranza dei paesi europei sulle modalità e i tempi di attuazione del cosiddetto «piano 20:20:20». Un pacchetto di misure finalizzato a raggiungere, entro il 2020, il 20% di riduzione delle emissioni di CO2, il 20% di utilizzo di energie rinnovabili e il 20% di miglioramento dell’efficienza energetica.

E tuttavia va anche detto che, su questo tema, il governo Berlusconi interpreta alcuni tratti del sentire comune degli italiani. Una recente indagine Eurobarometro, infatti, mostra un profilo del nostro Paese particolarmente dissonante rispetto a quello degli altri partner europei. Solamente il 47% dei nostri concittadini (15 punti sotto la media Ue) ritiene il cambiamento climatico uno dei maggiori problemi che il mondo deve affrontare. In Francia e Germania si raggiunge il 71%. Lo stesso vale per le azioni intraprese personalmente per contrastare i problemi ambientali. Solo il 49% degli italiani sono coinvolti in simili attività, contro una media Ue del 61%. Sul fronte del riciclaggio dei rifiuti, della riduzione dei consumi domestici di energia ed acqua le nostre percentuali risultano sempre inferiori di 20 o 30 punti a quelle di Francia, Germania e Inghilterra. D’altra parte il livello medio d’informazione e di consapevolezza ecologica appare in Italia molto più basso.

Le posizioni assunte dal governo di centrodestra sul pacchetto europeo rispecchiano questo ritardo di fondo nella nostra cultura ambientale. E tuttavia la riflettono solo parzialmente. Proiettando un’immagine deformata di arroccamento difensivo che non corrisponde pienamente alla realtà. Dal sondaggio Eurobarometro, infatti, affiora anche qualche segnale più positivo. La stragrande maggioranza degli italiani, ad esempio, ritiene che combattere il cambiamento climatico possa avere un impatto positivo sull’economia europea e che su questi temi l’azione svolta dalle imprese, dai governi e dagli stessi cittadini sia stata finora del tutto insufficiente. Oltre il 70% degli intervistati, inoltre, considera ragionevoli le proposte Ue sull’ambiente. Una percentuale, questa, che ci pone in linea con i maggiori paesi europei. Con i quali, quasi a sorpresa, ci scopriamo affini. Almeno sul piano delle aspirazioni.