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Guida alla sopravvivenza: imparare ad essere autosufficienti

di Guido Dalla Casa - 14/11/2008


 

Non occorre una gran fantasia per rendersi conto che la civiltà industriale odierna, che vive sulla crescita e si basa su non-cicli, è un fenomeno impossibile sulla Terra.
La Natura si basa su cicli, questa civiltà si basa invece su “risorse” che si consumano e “rifiuti” che si accumulano; quindi non può durare a lungo. Dato il modo esponenziale con cui avanza e il suo grado di invasione del Pianeta, si può prevedere ormai prossimo l’inizio di quei fenomeni traumatici che ne segneranno la fine.
Le probabilità che il modello si modifichi gradualmente fino a raggiungere condizioni stabili, cioè fino ad ottenere una situazione stazionaria (che in economia viene chiamata crescita-zero) e a funzionare solo su cicli chiusi, sono molto scarse. L’avvicinamento esponenziale di questa civiltà ai limiti globali del sistema è ormai rapidissimo.
Sono passati più di dieci anni dall’ammonimento di U. Thant alle Nazioni Unite (1) e dalla pubblicazione de "
I limiti dello sviluppo" ma non si è fatto nulla per arrestare il processo: tutte le forze politiche continuano ad inneggiare allo “sviluppo” e la situazione si è ulteriormente aggravata.
Le proiezioni in avanti di una trentina d’anni di molti fenomeni oggi in corso danno risultati chiaramente paradossali; i consumi energetici che si dovrebbero avere sulla Terra sono palesemente incompatibili con le “risorse” ancora a disposizione, ma soprattutto con il funzionamento stesso del Pianeta.
C’è chi pensa che “c’è ancora molto petrolio sotto gli Oceani”. Se si trovasse ancora molto petrolio, sarebbe la peggiore delle sciagure. Già oggi muoiono centinaia di migliaia di esseri viventi a causa di questo liquido. Ogni tanto minuscoli trafiletti sui giornali danno notizia che centomila uccelli sono morti nel Mare del Nord per chiazze oleose vaganti. Non parliamo poi dei pesci, vengono uccisi in gran numero a causa del petrolio.
Eventuali nuovi ritrovamenti non farebbero che ritardare di poco il collasso, aggravando però di molto la situazione.
E’ la Vita che si distrugge. La civiltà industriale sta distruggendo la vita, come un male avanzante nel corpo cui appartiene. C’è da sperare che non si trovi più petrolio. Altrimenti sarebbe peggio. Non parliamo poi dei guai che si creano nell’atmosfera per la combustione di queste enormi quantità di combustibili fossili: le piogge acide sono in aumento ovunque. Anidride carbonica, ossidi di azoto e di zolfo vengono immessi nell’aria in quantità impressionanti. Tanti sono i fenomeni di questo tipo su scala mondiale: si è fatto solo qualche esempio.
Se il modello di oggi, che chiameremo civiltà industriale sempre-crescente, dovesse continuare, si avrebbero conseguenze disastrose: immense foreste scomparse, interi mari privi di vita, megalopoli mostruose, malattie mentali e criminalità ovunque.
Ci sono quindi molti motivi per ritenere che questi fenomeni si interromperanno prima, e questo può significare solo la fine traumatica di questa civiltà. E’ assai difficile immaginare cosa significhi in pratica, come è molto difficile comprendere quando sarà “il momento”: i segni premonitori ci sono già oggi, ma ne dovrebbero venire altri, più chiari. Anche se quasi nessuno li interpreterà in questo senso, perché nessun modello culturale umano è capace di concepire la propria fine. Si darà la colpa alle destre, alle sinistre, al capitale o al sindacato, agli imperialisti o agli egualitari, ai conservatori o ai progressisti, ma ben pochi percepiranno la sostanza del fenomeno, la fine di un modello di vita, quello industriale, nato due secoli fa. Non si può interpretare questo collasso con motivazioni economiche, perché è la fine del concetto stesso di economia.
Tutto questo sembrerà a molti la fine del mondo: ma, per quanto si tratti di una cosa drammatica, sarà solo la fine di una forma di pensiero, dell’idea-guida che lo scopo dell’umanità sia l’incremento indefinito dei beni materiali, cioè l’idea-guida della civiltà industriale. Cosa intende infatti questo modello come “miglioramento”? L’aumento dell’avere, del reddito, degli oggetti.
A consolazione per questa prossima fine, che sarà traumatica per quasi tutti, salvo gli abitatori di qualche superstite foresta, ricordiamo che si accompagna a questa “crescita” anche l’aumento della criminalità, del consumo di farmaci di ogni tipo, delle malattie mentali.
Inoltre, facciamo un’altra considerazione: la catastrofe della nostra civiltà è l’unica speranza di sopravvivenza per molte altre culture umane, gli Indios dell’Amazzonia, i Papua della Nuova Guinea, le ultime tribù africane, oceaniane, asiatiche. Se il processo continua, non hanno alcuna speranza di sopravvivere: sarebbero distrutte e fagocitate, i loro componenti dovrebbero scegliere fra restare abbrutiti dagli alcolici o trascinare miseramente la propria esistenza come “sottoproletari” ai margini di quell’altra civiltà. La catastrofe di questo sistema è anche l’unica speranza di sopravvivenza per moltissime specie di esseri viventi, animali e vegetali. Quindi è una disgrazia solo per noi.
Ma torniamo ai fatti. Siamo tutti imbevuti, condizionati dal modo di vivere della civiltà industriale, e moltissimi non potranno sopportare nemmeno l’idea di vivere in un altro modello, non riescono neppure a concepirne la possibilità di esistenza. Ma c’è anche chi vuole comunque sopravvivere.
Negli Stati Uniti c’è stata una fioritura di associazioni e movimenti, ma soprattutto vendite di oggetti che riguardano la sopravvivenza. Quindi, grossi affari per qualcuno, secondo il classico stile di quella gente. Questi gruppi di persone vengono chiamati “survivalisti” (dall’inglese survival=sopravvivenza).
Di solito si preparano a maneggiare armi, ammassare provviste e scatolette in bunker, rifugi antiatomici, cantine. Al massimo si chiudono nelle loro palizzate, per difendere “la loro proprietà”. In complesso si tratta di prospettive molto squallide: viene da chiedersi se vale la pena di vivere come topi da fogna, pronti ad uccidere per non essere uccisi, tenendosi magari addosso la paura di morire di leucemia per le radiazioni, se si esce. Ma questo è il loro stile; e pensano di “ricominciare” come i pionieri, come i loro nonni.
Non è partendo dalle armi, dalla violenza o dai bunker che si può salvare una vita decente; inoltre l’idea di “ricominciare” è semplicemente una follia, perché vorrebbe dire riprodurre le condizioni che hanno causato il collasso.
In questo manuale si farà un’ipotesi diversa, basata su una sopravvivenza fisica iniziale, ma con la speranza di rinascere anche spiritualmente verso una forma di pensiero e di civiltà che abbia fondamenti filosofici diversi da quelli che sono stati alla base del modello fallito.
Qualunque comunità, qualunque modello culturale deve basarsi sull’equilibrio, sulla consapevolezza di far parte in tutto e per tutto di un’Entità più vasta, che chiameremo la Natura.
Lo scopo di questo manuale è di fornire una traccia, una debole guida verso quella che può essere una sopravvivenza fisica, psicologica e culturale; soprattutto una speranza di riuscire a sopravvivere al periodo di transizione, al periodo traumatico del collasso, e di fornire qualche indicazione per raggiungere una condizione più stabile e più serena. Per questo bisogna prepararsi, anche se le difficoltà di prevedere l’epoca e le modalità del cambio di modello rendono estremamente difficile intraprendere a tempo giusto azioni concrete.
Bisogna comunque essere pronti a cavarsela anche nei primi tempi, quando il supporto della cosiddetta “civiltà” – che è poi soltanto una civiltà fra le tante – i rifornimenti e la facilità di trasporti verranno a cessare, quando è molto probabile che lo sbandamento generale provochi la formazione di numerose bande di delinquenza spicciola vagante, quando bisognerà scegliere se entrare in competizione su questo piano, o ritirarsi in località meno turbolente, ma molto meno “comode”. Bisognerà riuscire a cavarsela con poco a disposizione, senza possibilità di comprare roba nei negozi, o rivolgersi ad altri per ogni occorrenza.
Bisognerà re-imparare rapidamente a vivere anche senza il panettiere, il lattaio, il negozio di vestiti. Trarre dal resto della Natura, ma in armonia con Essa, il necessario per vivere, e anche essere sufficientemente sereni.

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(1)“Non vorrei sembrare troppo catastrofico, ma dalle informazioni di cui posso disporre come Segretario Generale si trae una sola conclusione: i Paesi membri dell’ONU hanno a disposizione a malapena dieci anni per accantonare le proprie dispute ed impegnarsi in un programma globale di arresto della corsa agli armamenti, di risanamento dell’ambiente, di controllo dell’esplosione demografica, orientando i propri sforzi verso la problematica dello sviluppo. In caso contrario, c’è da temere che i problemi menzionati avranno raggiunto, entro il prossimo decennio, dimensioni tali da porli al di fuori di ogni nostra capacità di controllo” (U Thant, 1969).