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Idriche saggezze

di Marinella Correggia - 24/11/2008

 

Provincia di Loja, Cantone Paltas, sud dell'Ecuador. Secoli e secoli fa gli abitanti delle cosiddette «Ande Basse dell'Ecuador», gli indios Paltas, erano espertissimi nelle tecniche di captazione, conservazione e utilizzo dell'acqua. La raccoglievano in altura per ricaricare le falde che alimentavano le sorgenti più a valle. Tecniche efficaci, come quelle tradizionali in altre parti siccitose del mondo, si pensi ai qanat iraniani e afgani; e si pensi alla cultura preincaica Nazca che riuscì a sconfiggere il deserto costiero con acquedotti sotterranei. Una sapienza collettiva che assicurava prosperità e - con l'ingegno e il lavoro richiesti a ciascuno - edificava una comunità.
Poi, in tempi recenti, tutto questo scompariva. Spinte ad assimilarsi ai «bianchi», le culture indigene hanno perso i tradizionali metodi di gestione dei beni comuni; l'ampliamento della frontiera agricola con una riforma agraria iniqua ha prodotto disboscamenti e usi irrazionali dell'acqua. Risultato: desertificazione e abbandono fisico del territorio. Nella provincia di Loja, tra il 1974 e il 2004, gli abitanti sono scesi da 600 mila a 400 mila. Un terzo di loro ha scelto l'emigrazione, prima interna, poi verso l'estero.
Ma è proprio vero che con l'acqua torna la vita. Dal 2005 la gestione comunitaria consensuale della parte superiore del fiume Playas coinvolge gli abitanti della regione in un processo partecipato di recupero e protezione delle risorse naturali. Un «Comitato di gestione», animato dai rappresentanti delle comunità dei bacini idrografici coinvolti e con un ruolo di primissimo piano assunto dalle donne, ha riattivato le culture e le pratiche degli antichi Paltas ricostruendo e rivedendo i loro sistemi di captazione idrica. Sono state costruite 220 lagune alle pendici dei monti, alimentate dai canali di captazione dell'acqua piovana che una volta invasata penetra fino a incontrare terreno impermeabile, ricaricando le falde sotterranee; da lì scorre verso l'esterno dove sgorga attraverso sorgenti, confluisce in fenditure raggiungendo gli appezzamenti da irrigare, e può anche essere accumulata in riserve locali.
Sono stati creati vivai comunitari per riforestare decine di ettari con varietà locali, e realizzate decine di nuovi orti comunitari. Nell'area è tornata la possibilità di una vita dignitosa: sono coperte le necessità domestiche del capoluogo Catacocha e degli abitanti rurali dei bacini, migliorate le condizioni igienico-sanitarie, la produzione agricola e la sovranità alimentare, riattivato il commercio locale...
Oltre diecimila le persone coinvolte. Il progetto è andato così bene che hanno voluto applicarlo anche nell'adiacente bacino del fiume Catamayo (Gran Rio) il quale arriva fino in territorio peruviano; ed è prevista la replica del modello in altre province ecuadoriane e in altri paesi andini. In due parole, il segreto del progetto è: il connubio fra il recupero di miti e pratiche ancestrali e tecniche moderne di gestione idrica; la partecipazione della cittadinanza; l'interlocuzione con le istituzioni, ormai anche su problemi politici più ampi.
Il progetto è sostenuto in loco dal Consiglio provinciale di Loja e in Italia da Progetto Sviluppo Liguria, da istituzioni locali liguri e dal Coordinamento ligure donne latinoamericane. Se ne parlerà mercoledì 26 novembre a Genova (Centro civico R. Zena, salita del Prione 26, 1° piano, alle 17,30), con Wendy Yesenia Sarango Bueno, la presidente del Comitato di gestione dei bacini Playas e Catamayo, e Julio Carrión Ramirez, supervisore tecnico.