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La polizia della memoria: sospenderne uno per educarne cento

di Lorenzo Borrè - 25/11/2008

Il 10 ottobre del 2008 sul quotidiano francese le Monde è stato pubblicato un appello per la libertà di ricerca storica, i cui primi firmatari sono  Aleida et Jan Assmann (Constance et Heidelberg), Elie Barnavi (Tel-Aviv), Luigi Cajani (Rome), Hélène Carrère d'Encausse (Paris), Etienne François (Berlin),Timothy Garton Ash (Oxford), Carlo Ginzburg (Bologne), José Gotovitch (Bruxelles), Eric Hobsbawm (Londres), Jacques Le Goff (Paris), Karol Modzelewski (Varsovie), Jean Puissant (Bruxelles), Sergio Romano (Milan), Rafael Valls Montes (Valence), Henri Wesseling (La Haye), Heinrich August Winkler (Berlin), Guy Zelis (Louvain).

I sottoscrittori dell’Appel de Blois, affermando il principio che in uno Stato libero non compete all’autorità politica  definire la verità storica, nè  limitare la ricerca storiografica sotto la minaccia di sanzioni penali, esortavano i politici europei ad astenersi dall’adottare misure che potessero mettere in pericolo la libertà di ricerca e,  più in generale, quella intellettuale.

Con un articolo pubblicato sul londinese Guardian del 16.10.2008, uno dei firmatari dell’appello –Timothy Garton Ash, rilanciava la questione, evidenziando i paradossi prodotti dalla legificazione in materia di memoria storica: le leggi francesi e svizzere, infatti, vietano di negare fatto storico –il genocidio degli armeni-  di cui in Turchia è vietato affermare l’esistenza.

L’eco dell’appello è giunto fino in Italia, allorchè, il 20 ottobre 2008, l’editoriale di Garton Ash è stato ripreso dal quotidiano La Repubblica.

Senza costrutto.

Il 22 novembre 2008 è stata infatti riportata dai quotidiani nazionali la notizia che un professore del liceo artistico di Via Ripetta, a Roma, è stato sospeso per aver messo in dubbio –in occasione di un consiglio di classe, svoltosi all’indomani del viaggio della memoria organizzato dal Comune di Roma  - la verità della Shoah.

Il provvedimento cautelare di sospensione dall’insegnamento adottato dall’autorità scolastica dà inquietante concretezza ai pericoli denunciati dagli intellettuali europei sottoscrittori dell’Appel de Blois, aggiungendo alla questione ulteriori elementi di riflessione.

L’aspetto emblematico della vicenda italiana è costituito dal fatto che in Italia non esiste una legislazione che vieti di porre in dubbio la Shoah o le modalità dell’olocausto del popolo ebraico, dei popoli slavi e degli zingari.

Ciò posto, occorre osservare che a mente dell’art. 25 della Costituzione italiana “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”.

Orbene: se –come detto- in Italia una legge che punisce il negazionismo non esiste, in base a quale concezione del Diritto molte voci, anche istituzionalmente autorevoli,  hanno richiesto la punizione del “colpevole”, applaudendo alla sospensione del professore romano e richiedendo anzi provvedimenti esemplari e definitivi?

E ancora:perchè il prof. Valvo dovrebbe essere punito per un fatto non contemplato dalla legge come reato (nè come illecito amministrativo)?

Sembra che nessuno si sia posto, ad oggi, la questione, ma speriamo che i sindacati di categoria facciano valere il principio.

La vicenda, sotto il profilo epistemologico, ha peraltro una sua chiara spiegazione: quando un fatto storico, obiettivamente tragico, si impone (o viene imposto)  come Valore, il porre in dubbio la realtà del Fatto Storico viene interpretato e rappresentato come negazione del Valore. E quindi come un non-valore, anzi: come un disvalore, che come tale non merita tutela.

La “tirannia dei valori”, come diceva Carl Schmitt, rischia dunque di far arretrare il principio di libertà

Altrove lo chiamano totalitarismo.

 

Per i riferimenti:

http://www.lemonde.fr/opinions/article/2008/10/10/appel-de-blois_1105436_3232.html

http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2008/oct/16/humanrights