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People-to-people

di Mario Carini - 25/11/2008

Sul numero 43 di “Carta” attualmente in edicola, a pagina 31, in un articolo sulla discussione dei bilanci partecipativi in Africa, si leggono queste parole del giovane segretario dell’Associazione nazionale dei sindaci del Senegal :”Ogni dieci anni la Banca mondiale propone una ricetta per risolvere tutti i nostri mali […] adesso è il bilancio partecipativo. Abbiamo bisogno di vedere all’opera[…] soprattutto esperienze venute dal basso, per crederci“. Questo capo di una comunità locale punta il dito contro un nuovo colonialismo che vuole decidere il futuro di intere popolazioni solo per il fatto di offrire denaro. L’ atteggiamento mentale della cooperazione internazionale è esso stesso vittima di una colonizzazione profonda e decolonizzare il proprio immaginario è il passo più difficile. I paesi “cosiddetti poveri” sono in una situazione di necessità strutturale, talora solo congiunturale, ma questo non autorizza a farne terreno di conquista per la nostra cultura e i nostri parametri socio-economici. Anzi. Già solo l’organizzazione sociale, i fondamenti di relazione umana insiti in gran parte di certe economie informali di queste comunità e la loro relazione con l’ambiente sono una miniera di soluzioni ai problemi che lo sviluppo ha creato nelle società ed economie di tutto il mondo.
A Firenze, nell’ambito di Terrafutura 2007, il Movimento per la Decrescita Felice, accanto a Maurizio Pallante e Peter Hennicke del Wuppertal Institut, sul palco della propria conferenza “Tecnologie per la decrescita” ha portato Leandro Pinto Junior, giovane presidente di una cooperativa di agricoltori della Guinea-Bissau (Africa Occidentale). Pinto non era lì a ringraziare per qualche sovvenzione, non era lì ad imparare come far uscire la propria comunità da una situazione di dipendenza economica, era lì a proporre un proprio modello, a suggerire una soluzione. Chi era presente ricorderà che parlò del lavoro di diffusione, nei villaggi della loro regione, di tecniche di conservazione del pesce tramite affumicamento su forni a legna che abbinavano metodi tradizionali a miglioramenti tecnici apportati dai membri della cooperativa agricola. Durante l’esposizione di Pinto, Peter Hennicke annuiva energicamente a sottolineare il consenso con quanto ascoltava.
Fra quelli che credono nel nuovo paradigma della decrescita ne esistono molti che vengono dal mondo della cooperazione e ancora vi lavorano dentro, quasi sempre da volontari. Quella che vogliono è una cooperazione paritaria, decentrata, fatta di una profonda conoscenza reciproca, in una comunione spirituale che fa di questo rapporto people-to-people la vera ragione dell’incontro. Vogliono la ricerca comune di futuri convergenti.
Lo scorso mese, in una fase di lavoro progettuale comune in Guinea Bissau, quasi come una risposta anticipata alle proposte paternalistiche delle grandi e potenti organizzazioni di cooperazione internazionale i membri della “Coajoq” (la cooperativa di Leandro Pinto) hanno voluto inserire di fronte a noi del MDF al primo punto del loro statuto: “…promovendo a auto-gestão e sustentabilidade das comunidades rurais, pela redução dos impactos culturais, sociais, económicos e ambientais do desenvolvimento globalizado…” parlando, cioè, di promuovere l’auto-gestione delle comunità rurali riducendo gli impatti culturali, sociali, economici e ambientali dello sviluppo globalizzato.
Non possiamo che raccogliere il loro suggerimento.