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Canne, la Verdun dell’antica Roma

di Edoardo Castagna - 26/11/2008

  
 
 
Alla luce del libro Canne. Descrizione di una battaglia, di Massimo Bocchiola e Marco Sartori, Edoardo Castagna analizza lo scontro che vide opposti l’esercito romano e i soldati guidati da Annibale, alla fine del III secolo a.C., evidenziando la sua importanza nella storia militare.
Canne è la prima battaglia in cui è documentato l’uso della manovra a tenaglia: Annibale schierò l’esercito con un fronte convesso, al centro la sua debole fanteria e sulle ali arretrate la potente cavalleria e, quando la sua fanteria arretrò di fronte alle più forti legioni romane, egli fece manovrare la cavalleria ai lati e accerchiò il nemico sconfiggendolo. Secondo Castagna il libro ha il fondamentale pregio di ridare concretezza allo scontro, che fu un immane massacro, oltre che analizzare con rigore la tattica di Annibale.


Non fu una
Caporetto nonostante le proporzioni della disfatta, perché non fu una fuga: i legionari romani, vinti, caddero sul campo. Non fu un’Hiroshima nonostante l’immane [...] conta dei caduti, perché lo scontro fu all’arma bianca, immensa sequela di corpo a corpo che lasciarono sul terreno sessanta, settantamila cadaveri. Canne fu la Verdun dell’antica Roma, ecatombe che, come la battaglia della Prima guerra mondiale dove un milione di morti non furono sufficienti alla Germania per sfondare il fronte occidentale, segnò la fine di un mito d’invincibilità: quello delle legioni. E sul proprio terreno, in Italia, e per opera di un nemico giunto avventurosamente fin lì, tagliato fuori dalle proprie basi, ma che tutto seppe compensare con il genio militare. La battaglia, e in particolare la tattica magistrale dispiegata da Annibale, è stata una delle più studiate della storia: ricordata con sbigottimento dai Romani, imitata da Napoleone e da von Schilieffen. Per questo la parte più interessante dello studio di Massimo Bocchiola e Marco Sartori è il tentativo di immergersi nel vivo della mischia, nella cruenta ordinarietà dei duelli di lance e di gladi, e di riportare così concretezza a uno scontro che nella memoria di molti assume spesso solo l’asettica immagine di una sequenza di quadratini colorati su una mappa geografica. Il nuovo saggio di Bocchiola e Sartori segue quello dedicato a un’altra battaglia-simbolo dell’antichità, Teotoburgo – dove l’avanzata romana in Germania fu definitivamente interrotta dal massacro delle legioni di Varo condotto dai Cherusci di Arminio [...]. A Canne, come per l’appunto gli autori analizzano puntigliosamente, lo schema di Annibale fu di disarmante semplicità: schierare al centro la debole fanteria mercenaria che, cedendo, attirò nella falla le legioni romane; su di esse si richiuse la potente cavalleria, che sterminò il nemico. Schema vincente, perché ardito fino al paradosso: il condottiero punico volse a suo vantaggio l’inferiorità numerica rispetto alla fanteria nemica, perché tanta mole rimase invischiata nel centro della battaglia, mentre tutt’intorno si giocava la partita decisiva – quella tra le cavallerie, dove Annibale sapeva di essere in vantaggio. [...] Le legioni, guidate dai consoli Gaio Terenzio Varrone e Lucio Emilio Paolo, si ritrovarono impossibilitate ad accerchiare a loro volta la più rada fanteria nemica a causa della loro stessa organizzazione, tante volte vincente ma che a Canne condusse alla catastrofe: i manipoli erano strutturati per il muro contro muro; i soldati, addestrati a rimanere compatti, schierati esattamente di fronte ai propri nemici; i comandanti, esperti di assalti ragionati e ordinati. Nella falla creata ad arte da Annibale manovrare divenne però vano, reso di fatto impossibile – e qui risiede il geniale paradosso annibalico – dalla superiorità numerica, che a quel punto degenerò a caotica calca. Gli ufficiali romani non avevano nemmeno gli strumenti per rendersi conto di ciò che stava accadendo perché erano piuttosto «impegnati a mostrare tutta la loro virtus», ovvero «quel coraggio virile, marziale nel quale il giovane romano doveva eccellere, in una gara di slancio e abnegazione con i propri concittadini e commilitoni». La battaglia durò l’intera giornata del 2 agosto 216 a.C., ma il vero scontro si risolse nelle prime due ore; dopo, fino al tramonto, si consumò soltanto l’orrendo macello delle decine di migliaia di Romani intrappolati nella morsa. Tra i pochi scampati, il giovanissimo ma già celebre Publio Cornelio Scipione, che da lì a pochi anni avrebbe saputo rivoltare contro Annibale gli stessi principi tattici che aveva dovuto imparare sul campo, a Canne.

Massimo Bocchiola e Marco Sartori, Canne. Descrizione di una battaglia, Mondadori 2008, pp. 288, € 19,00.