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Il sol dell´avvenire non splende sull´Italia

di Massimo Serafini - 26/11/2008

 
 
 
Fra le tante notizie diffuse in questi giorni dai principali giornali italiani sullo stato di salute del settore auto, una è stata quasi ignorata: in Germania un’industria produttrice di pannelli solari fotovoltaici, si è offerta di acquistare e salvare dal fallimento l’Opel tedesca, per produrre auto elettriche solari. Come è noto la General Motors, proprietaria dell’Opel, ha rifiutato l’offerta. Al di là dell’esito negativo avuto dal tentativo di acquisto, mi pare che rappresenti un fatto importante e di grande valore simbolico il semplice fatto di esserci stato.

Quale migliore dimostrazione di questa, mi chiedo, di quello che gli ambientalisti vanno dicendo da tempo e cioè che i settori industriali più competitivi e in grado di garantire ricchezza e lavoro sono quelli di produttori delle tecnologie che permettono di sfruttare il calore e la luce del sole?

Ed ancora questa vicenda non rivela con chiarezza che l’unico futuro possibile del settore automobilistico è quello legato ad una forte innovazione ambientale di questo prodotto, che sappia rispondere almeno ad una delle due cause che producono la crisi del settore auto: le emissioni inquinanti e climalteranti. L’auto elettrica solare in questo senso è una risposta forte anche se non risolutiva, perché resta irrisolta l’altra causa di crisi del settore automobilistico, la mancanza di spazio, che solo una diversa politica della mobilità di persone e merci, più collettiva ed intermodale, può risolvere.

Queste considerazioni confermano la tesi di fondo dell’ambientalismo e cioè che l’unica risposta efficace alla crisi economica e alle drammatiche conseguenze sociali che essa produce, è un piano di investimenti pubblici ed a direzione pubblica, con cui finanziare progetti, industriali e non, in grado di dare risposte alle drammatiche emergenze ambientali in corso: i cambiamenti climatici e più in generale il degrado ambientale che questo modello di produzione e consumo ha prodotto.

Non è in fondo questo il significato evidente di questa offerta d’acquisto?
A chi lo nega andrebbe chiesto cosa può aver consentito ad un’industria di pannelli solari in pochi anni di acquisire una forza economica e finanziaria tale da potersi permettere l’acquisto di un’industria automobilistica importante come l’Opel?

In questo fatto c’è anche tutta la lungimiranza di una classe dirigente, quella tedesca, che ha investito sulle fonti rinnovabili in tempi in cui non era sicuramente redditizio farlo e gran parte degli economisti dicevano che erano solo soldi buttati. Avevano visto giusto i pionieri del “conto energia” cioè del meccanismo incentivante, inventato dai tedeschi per promuovere le fonti rinnovabili, che ne ha consentito uno sviluppo ampio ed importante.

Hanno le radici in questa esperienza le scelte europee sul clima, le famose tre venti. La novità è ora che l’investimento sulle fonti rinnovabili di energia, ma anche sul risparmio energetico, costituisce il cuore del cosiddetto “new green deal”, proposto da Obama per gli Usa.

Certo è sconsolante che nel nostro paese non ci siano le condizioni politiche, di innovazione tecnologica e di volontà industriale per salire su questo treno che può portare il mondo fuori dal tunnel della crisi in cui è entrato, dopo quindici anni di egemonia liberista sulla globalizzazione.

Al contrario è molto più probabile che questo paese venga fatto salire, da una classe dirigente modesta e conservatrice, sull’accelerato fermo sul binario morto del carbone e del nucleare. Con queste classi dirigenti, politiche ed industriali, penso che ben difficilmente vedremo in questo paese un’industria fotovoltaica capace di proposte come quella avvenuta in Germania, anche perché in questi anni quel po’ di aziende fotovoltaiche italiane sono state smantellate e per ora i pannelli che si installano sui nostri tetti sono tedeschi e giapponesi.