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La vergogna dei "liberatori"

di Luigi Antonio Fino - 26/11/2008

 

Una giornata del ricordo per le vittime civili della II Guerra Mondiale è la proposta partita da un convegno tenutosi a Foggia, nell’auditorium della biblioteca provinciale. Cresce infatti sulla rete il numero delle adesioni alla petizione al presidente della Repubblica promossa dal comitato per Foggia città martire e per la istituzione di un giorno del ricordo per tutti i civili italiani caduti sotto i bombardamenti anglo-americani. Mentre Foggia fu la città italiana con la percentuale più alta di vittime in rapporto al numero della popolazione, la data prescelta per il giorno del ricordo è il 20 ottobre, anniversario del massacro di Gorla (periferia di Milano) nel quale, nel 1943, sotto le macerie della loro scuola elementare, perirono circa 200 bambini più le loro maestre e la direttrice. Hanno aderito alla petizione personalità del mondo accademico e della cultura tra le quali il prof. Franco Cardini dell’Università di Firenze, lo storico Nello Gatta ed il sacerdote Jean Marie Benjamin. La storia delle vittime dei bombardamenti dei “liberatori” è stata debitamente rimossa dai libri.
I primi attacchi leggeri si ebbero nel 1942 sul meridione d’Italia per opera della R.A.F. con base sull’isola di Malta.
Le prime dure incursioni su Napoli furono effettuate dall’Usaf il 4 e l’11 dicembre: si trattò anche delle prime incursioni dei bombardieri americani sull’Italia. Le città maggiormente colpite furono Torino, Milano e Genova: attacchi pesanti, ma non come quelli dell’agosto dell’anno dopo. I bombardamenti sul “triangolo industriale” furono organizzati dal “Bomber Command” della R.A.F. durante la cosiddetta “offensiva di autunno”. Milano subì un solo bombardamento fra il 24 ed il 25 ottobre: 470 furono gli edifici distrutti.
Fra ottobre e novembre Genova fu colpita 6 volte: 1.250 edifici di vario genere furono distrutti. Fra novembre e dicembre Torino subì 7 bombardamenti: 142 ettari distrutti di superficie edificate (70 fabbriche, 24 edifici pubblici, e circa 1.950 abitazioni). L’incursione più violenta fu quella della sera del 9 dicembre su Torino: 196 apparecchi scaricarono sulla città 147 tonnellate di bombe e 256 tonnellate di spezzoni incendiari.
Gli inglesi impiegarono complessivamente 1.811 aerei di cui 1.477 attaccarono le città italiane scaricandovi circa 2.740 tonnellate di bombe e perdendo 31 aerei. Le vittime furono circa 1.300.
1943, la caduta di Mussolini in seguito agli avvenimenti del 25 luglio aveva generato in molti italiani l’illusione che anche la guerra dovesse cessare, risparmiando ulteriori lutti e distruzioni. Illusione svanita subito nella notte fra il 7 e l’8 agosto 1943 quando, Milano, Torino e Genova, subirono il contemporaneo e duro attacco della Raf. In quella notte, 201 tonnellate di bombe esplosive e spezzoni incendiari si riversarono su Milano, 195 tonnellate su Torino e 169 su Genova. Queste incursioni non dovevano rappresentare che un “assaggio” di quanto sarebbe successo nei mesi successivi.
L’11 agosto un massiccio bombardamento devastò la città di Terni seppellendo sotto le macerie centinaia di vittime. Il 13 agosto anche Roma, appena dichiarata “città aperta”, fu violata da circa 500 tonnellate di bombe americane che provocarono circa 2.000 morti e notevoli danni.
La notte del 13 agosto su Torino caddero 244 tonnellate di bombe e, la notte del 17 agosto, altre 248 tonnellate. Il più feroce attacco che mai avesse subito, sino a quel momento, una città italiana fu quello su Milano nella notte fra il 12 e il 13 agosto: 504 bombardieri inglesi rovesciarono sulla città 1.252 tonnellate di bombe e spezzoni incendiari. Due giorni dopo, nella notte del 15 agosto, 140 bombardieri inglesi scaricarono altre 415 tonnellate di esplosivi. Non era ancora finita: nella notte del 16 agosto si presentarono nel cielo della città 199 bombardieri che scaricarono altre 601 tonnellate di ordigni mortali. In quattro giorni Milano fu martirizzata da 2.268 tonnellate di bombe sganciate da 843 aerei della Raf inglese. Il bilancio finale fu drammatico: 239 industrie colpite, distrutte o gravemente danneggiate, 11.700 edifici abbattuti, più di 15.000 quelli danneggiati, le centrali elettriche irreparabilmente bloccate, la rete di trasporti e di comunicazioni quasi totalmente inservibili, centinaia i morti.
In quella prima metà di agosto 1943 caddero dunque sui centri principali dell’Italia settentrionale 3.325 tonnellate di esplosivo. Il 28 agosto furono poi bombardate Taranto, Cosenza e, a seguire, Novara, Foggia, Salerno, Crotone, Viterbo, Avellino, Lecce, Bari, Orte, Cagliari, Carbonia, Civitavecchia, Benevento.
Frascati fu rasa al suolo e migliaia furono i morti. Il I settembre 1943 fu distrutta Pescara, città completamente priva di difesa antiaerea.
Nel 1973 il “Public Record Office” di Londra rese pubblici i documenti relativi ai bombardamenti inglesi sull’Italia. Queste notizie, attestate in modo incontestabile dalle autorità inglesi, portarono a conoscenza di un piano a lunga scadenza, elaborato nei minimi particolari, che avrebbe previsto un diluvio di fuoco sull’Italia. Secondo tale progetto, gli anglo-americani avrebbero dovuto scaricare sull’Italia del nord, in un periodo compreso fra il settembre 1943 e il febbraio 1944 qualcosa come 45.000 tonnellate di esplosivo! Nella serie di tali documenti, corredati da numerose mappe raffiguranti gli obiettivi principali, fa spicco un eloquente messaggio inviato dal direttore delle “Operazioni di bombardamento”, Commodoro Bufton, al direttore dei “Piani di bombardamento”, Commodoro Elliot. Nello scritto, che reca la data del 29 luglio 1943, si legge anche: “Stabilita l’opportunità di attaccare l’Italia, ci proponiamo di trasportare sugli obiettivi del Nord circa 3.000 tonnellate di bombe nel mese di agosto, 8.000 tonnellate nei mesi di settembre e di ottobre e 6.500 tonnellate in ciascuno dei mesi invernali, se le condizioni atmosferiche saranno favorevoli...”. I bombardamenti dell’agosto 1943 non furono quindi solo “avvertimenti” o “pungoli” per accelerare la firma di una resa, ma rientravano in un piano programmato che, come per numerose città tedesche, prevedeva la totale distruzione dei centri vitali della nazione mediante il sistema dei cosiddetti bombardamenti “a tappeto”.
Negli ultimi tre mesi del 1943 i bombardamenti terroristici anglo-americani provocarono 6.500 morti e circa 11.000 feriti, distruggendo e danneggiando migliaia di edifici.
Nel 1944 i bombardamenti furono migliaia e non risparmiarono nessuna città. Solo in quell’anno, gli anglo-americani effettuarono sull’Italia centro-settentrionale, territorio della RSI, 4.541 incursioni, uccidendo 22.000 civili e ferendone oltre 36.000. Ci fu una vera e propria “escalation” di terrificanti incursioni che non risparmiarono nessuna città e che raggiunsero una frequenza quasi quotidiana. Firenze, per esempio, subì 7 bombardamenti (di cui 5 massicci) che causarono oltre 700 morti, migliaia di feriti e la distruzione di migliaia di case, oltre che danni gravissimi al patrimonio artistico della città. Molte furono le incursioni anglo-americane particolarmente odiose e criminali.
Bisognerebbe ricordarle tutte ma, a titolo di esempio, valgano le seguenti.
Il martirio di Treviso: la città fu selvaggiamente aggredita il giorno di venerdì Santo ed un violento bombardamento costò la vita a 4.000 abitanti.
I “liberatori” sul Lago Maggiore: il 25 settembre, due aerei inglesi sganciarono un grappolo di bombe su un gruppo di case di Intra provocando 11 morti e numerosi feriti. Poco dopo, gli stessi aerei mitragliarono il battello “Genova” di fronte a Baveno sul Lago Maggiore. Il battello colpito, che aveva a bordo solo civili (in prevalenza donne e bambini), prese fuoco: molti furono i morti ed i feriti.
Il 26 settembre, aerei inglesi attaccarono il battello “Milano” carico di sfollati che si erano imbarcati a Laveno per raggiungere la sponda piemontese del lago. A bordo c’era anche un reparto del battaglione “M” Venezia Giulia che stava tornando alla scuola di Varese della G.N.R.: dieci di loro perirono nell’attacco.
L’ecatombe dell’Impruneta. Il 27 luglio, aerei della Quinta squadriglia del 239esimo stormo, appartenenti alla “Desert Air Force” (Daf), bombardarono “a tappeto” l’Impruneta. Il paese era affollato soltanto da civili inermi che speravano di aver trovato un rifugio sicuro dalle incursioni alleate. La maggior parte dei rifugiati morì sotto le bombe dei “liberatori”, mentre i superstiti furono falciati dalle mitragliatrici dei “Kittyhawks” sudafricani. Il 28 luglio, un’altra incursione si scatenò contro la basilica del paese: si salvò solo il ritratto della Madonna.
La strage degli innocenti.
Il 10 ottobre sul rione popolare di Gorla (Milano) una bomba americana centrò in pieno una scuola: i bambini uccisi furono circa 200. Accurati studi di storici militari hanno dimostrato con certezza che non si trattò di un errore. Per questo crimine immondo il governo americano non ha neppure chiesto scusa. Esiste oggi, a Milano, una collinetta artificiale, denominata Monte Stella, costruita con oltre un milione di quintali di macerie, recuperate da tutti i settori della città rasi al suolo dai bombardamenti terroristici anglo-americani. Una parte di dette macerie proviene dalla distruzione di due istituti scolastici superiori, di sei scuole elementari e cinque materne completamente atterrati, ma anche da altri trentacinque edifici scolastici danneggiati in città, mentre altre centoventicinque scuole, di ogni ordine e grado, vennero distrutte in provincia.
Era una giornata limpida, tersa, quella del 20 ottobre 1944, allora non c’era lo smog, e -incredibile a dirsi- dalla piazza del Duomo si riusciva a vedere la cerchia delle Alpi, allorché una formazione di circa quaranta quadrimotori americani del tipo B 24 e B 27 comparve nel cielo della città, contemporaneamente al suono delle sirene d’allarme. E sulla verticale di Gorla, che allora era un sobborgo periferico e non un quartiere incorporato nella città come oggi, gli aerei sganciarono il loro carico. Puro terrorismo, volontà di infierire su un popolo ormai in ginocchio, nonostante ancora oggi ci sia chi sostiene la tesi che le bombe erano destinate alla stazione ferroviaria di Greco, che si trova in zona, ma che era facilmente identificabile, ed anche attaccabile senza pericolo, data l’inesistenza di ogni reazione da parte della contraerea italo-germanica.
Nella zona attaccata si contarono 635 vittime, o almeno furono recuperati 635 corpi, forse c’erano anche altri esseri umani che, letteralmente dilaniati dalle esplosioni, non vennero mai rinvenuti. Fra gli edifici centrati in quella tragica mattina ci fu la scuola elementare Francesco Crispi: fu letteralmente polverizzata.
Centonovantaquattro bambini, la loro direttrice, quattordici maestre, un’assistente sanitaria e quattro bidelli furono travolti. Quattro soli bambini, una femminuccia e tre maschietti (Annamaria, Giuseppe, Remo e Gabriele) si salvarono e furono estratti dalle macerie. Occorsero tre giorni per ritrovare e recuperare i corpi delle vittime della scuola, tre giorni in cui Vigili del Fuoco, militari dell’Unpa, soldati italiani e tedeschi, uomini della Gnr e operai in tuta, magari partigiani e antifascisti, lavorarono fianco a fianco, senza risparmiarsi, unitamente ai genitori dei bambini, ed ai parenti, disperati, ma sempre speranzosi, nell’illusione di trovare qualche superstite. Chi lavorava e piangeva, chi lavorava e pregava, chi malediceva e bestemmiava Dio, che aveva permesso una strage di bambini senza colpa né pena. Oggi, al posto della scuola, sorge un monumento funebre, una madre con un bimbo in braccio, inginocchiata, come se offrisse al cielo quella sua creatura, e sotto al monumento c’è l’ossario, dove sono conservati i resti dei piccoli Caduti e degli adulti che erano con loro.