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Il nuovo colonialismo

di Marinella Correggia - 29/11/2008


 

Non si sa mai cosa può succedere. Meglio investire nella zolla, che produce cibo (il denaro non si mangia). I governi più abbienti e le imprese multinazionali di paesi ricchi di denaro e poveri di suolo stanno acquistando il diritto a coltivare milioni di ettari di terre agricole nei paesi impoveriti, per assicurarsi la sicurezza alimentare a lungo termine. È lo stesso Jacques Diouf, direttore della Fao, a denunciare rischi di «neocolonialismo», con gli stati poveri che producono per i ricchi a detrimento dei propri cittadini poveri. «I vertici economici e politici si stanno arricchendo con la crisi alimentare, le speculazioni finanziarie sono una tra le cause dirette dell'incremento dei prezzi delle derrate alimentari e di conseguenza alimentano esponenzialmente la crisi alimentare» denunciavano i movimenti sociali e contadini riuniti in Terra Preta lo scorso giugno al vertice Fao.
Il nuovo arrembaggio alle terre, scatenato dall'aumento dei prezzi delle derrate alimentari e dai timori per il futuro, guarda soprattutto all'Africa. Pochi giorni fa l'impresa sudcoreana Daewoo Logistics ha annunciato l'intenzione di prendere in affitto per 99 anni un milione di ettari in Madagascar, per ricavarne 5 milioni di tonnellate di mais all'anno e produrre olio di palma su 120.000 ettari, impiegando soprattutto lavoratori specializzati sudafricani.
Secondo un esperto della Bidwell Agribusiness, un'impresa di Cambridge che fa consulenze nel campo dei grossi contratti terrieri internazionali, questo può essere un investimento puramente commerciale ma alla fine risponde a un imperativo di sicurezza alimentare sostenuto dal governo: gli alimenti prodotti saranno «rimpatriati» e così il paese dipenderà meno dagli acquisti alimentari da venditori esteri. Il governo del Madagascar da parte sua ha detto che condurrà una valutazione di impatto ambientale prima di approvare il contratto con la Daewoo, ma certo ha apprezzato l'operazione; quei soldi gli servono, ha detto il Ministro della riforma agraria, per costruire infrastrutture e ricostruire aree devastate dalle inondazioni.
L'accordo coreano-malgascio sarà uno dei più grossi, fra i numerosi contratti agrari siglati da quando i prezzi dei generi alimentari hanno cominciato ad aumentare l'anno scorso. La taglia media è di 100.000 ettari. I più attivi sono paesi e imprese mediorientali. Il Saudi Binladin Group sta programmando investimenti in Indonesia per approvvigionarsi in riso basmati; investitori di Abu Dhabi hanno comprato decine di migliaia di ettari in Pakistan. Investitori arabi, fra i quali l'Abu Dhabi Fund for Development, hanno anche acquistato azioni nell'agricoltura sudanese (il paese cerca di attrarre investitori su almeno 900.000 ettari coltivabili). Gli Emirati Arabi Uniti invece si stanno rivolgendo al Kazakhstan. La Libia si è assicurata 250.000 ettari di terra in Ucraina. Kuwait e Qatar mirano ai campi di riso della Cambogia. La stessa affamata Etiopia - che comunque di terra ne ha - è corteggiata da investitori sauditi.
Perfino la Cina, che di suolo agricolo ne ha ugualmente parecchio ma è ormai a corto di risorse idriche con la sua industrializzazione spinta al massimo, è della partita. Il Laos le ha già assegnato fra i 2 e i 3 milioni di ettari del proprio suolo. In questa corsa speculativa internazionale, perderanno i piccoli coltivatori. Quelli che non hanno solidi titoli di proprietà sulla terra saranno più di prima cacciati. Ma non è detto che per gli investitori il giochetto sarà facilissimo. La terra è una questione molto sensibile. Le lotte non mancheranno.