Il clima impazzito
di Stefano Vernole - 16/02/2006
Fonte: c o n t i n e n t e . a l t e r v i s t a . o r g
Dalle prime dichiarazioni rilasciate dal
Presidente degli Stati Uniti Bush jr., “i
paletti sono contrari agli interessi americani”,
la Casa Bianca non sembra avere nessuna
intenzione di rivedere il proprio modello di
sviluppo, consentendo così al proprio Paese di
non rientrare nei parametri fissati dal
Protocollo di Kyoto per arginare l’effetto serra
e il surriscaldamento del clima. Già criticata
per la scarsa percentuale di aiuti destinati
all’Africa, lo 0,2% del PIL statunitense contro
lo 0,7% fissato dalle Nazioni Unite, che pare
invece essere stato accettato da Francia,
Germania e Russia al recente vertice di
Kaliningrad, Washington sembra destinata a
subire l’ennesima contestazione per la sua
scarsa sensibilità ambientale. Stavolta ad arrabbiarsi
sono stati gli Inuit, “il popolo dei ghiacci”
che vive tra Alaska, Canada, Groenlandia e
Russia, i quali hanno accusato Bush jr. di non
voler ridurre le emissioni nocive, nonostante
nel mondo gli Stati Uniti ne siano i principali
responsabili (34,1% le stime stabilite a Kyoto,
45% stando ai rilevamenti più recenti). In attesa
di promuovere una vera causa per danni, gli
Eschimesi hanno lanciato una petizione internazionale
contro questo mancato impegno. Le
preoccupazioni degli Inuit trovano un forte
riscontro nella realtà quotidiana, in quanto
nella loro regione il clima si sta riscaldando a
una velocità doppia rispetto a quella del resto
del pianeta. Questo cambiamento sta procurando
numerosi problemi, sia a causa dello
scioglimento del terreno ghiacciato sia per la
riduzione della copertura di ghiaccio marino
che diviene nociva alla pesca e alla fauna. Le
stesse rilevazioni scientifiche non lasciano
dubbi in proposito. Per l’International artic
science committee, del quale fanno parte 8
nazioni e 6 organizzazioni di popoli indigeni,
in Alaska e Canada occidentale le temperature
sono già salite di 3-4 gradi negli ultimi 50 anni
(la media mondiale dal 1880 ad oggi è di 0,5
gradi …), facendo diminuire l’estensione
media dei ghiacci di circa il 20% negli ultimi 30
anni e lasciando profilare la scomparsa dei
ghiacci artici estivi nel 2100. Malgrado ciò,
Tony Blair, padrone di casa al vertice scozzese
di Gleneagles, dovrà accontentarsi dell’assegnazione
a Londra delle Olimpiadi del 2012,
perché gli Stati uniti sembrano puntare tutto
sullo sviluppo delle nuove tecnologie, anche se
le energie alternative come l’idrogeno sono
ancora in fase sperimentale. Ma negli ultimi
anni nemmeno le nazioni aderenti a Kyoto
hanno fatto grandi passi in avanti, in quanto
stando ai dati forniti dall’Agenzia europea per
l’Ambiente le emissioni dei gas serra dei 25
paesi dell’UE sono aumentate nel 2004 dell’
1,5%, causa la torrida estate e il conseguente
rigido inverno del 2003. A Buenos Aires, dove
si è svolta nel dicembre 1994 la 10° Conferenza
delle Parti firmatarie del Protocollo di Kyoto, si
è calcolato che le persone in fuga dalle terre di
origine a causa del clima sono ormai 25 milioni,
che potrebbero arrivare a 150 milioni entro
il 2050. Solo la sottoscrizione della Russia ha
permesso che il trattato divenisse operativo,
ma la sua data di scadenza è vicina (il 2012) e
gli scarsi progressi non lasciano molte speranze
sulla sua effettiva applicazione (ricordiamo
che questo processo d’intesa partì nel 1992 con
la Conferenza di Rio de Janeiro). Per il 2012
l’accordo dovrebbe essere riformulato coinvolgendo
anche i cosiddetti “paesi in via di sviluppo”
oggi esclusi, Cina, India e Brasile;
tassi di crescita del loro PIL (l’8% la prima, il
3,2% la seconda) rendono però difficile immaginare
una possibile autodisciplina di questi
giganti economici. L’ideologia dell’espansione
a tutti i costi è peraltro ormai contraddetta
dalle stesse statistiche. Se tra il 1967 e il 1994
l’ammontare complessivo dei flussi di scambio
annuale tra i diversi paesi è cresciuto di circa
20 volte, tra il 1975 e il 1995 l’aumento medio
del PIL è stato invece della metà rispetto al
ventennio precedente; risulta perciò evidente
come il forte incremento del commercio internazionale
e la maggiore integrazione dei mercati
finanziari non si tramutino automaticamente
in maggiore benessere. Il Rapporto 2000
dell’ILO (International Labour Organization)
indica che negli ultimi 5 anni è aumentato di
200 milioni il numero delle persone che vivono
in estrema povertà sul globo, in particolare
nell’Africa sub-sahariana, in Asia centrale,
nell’Europa dell’Est e nel Sud-Est asiatico.
Anche nel mondo industrializzato, tra il 1997 e
il 1998 il tasso di disoccupazione è più che raddoppiato,
passando dal 2,8% al 6,3% tra gli
uomini e dal 3,2% al 7,4% tra le donne. Circa
100 milioni sono invece i senza tetto e quasi
200 milioni le persone con un’aspettativa di
vita inferiore ai 60 anni. Un panorama desolante,
che spiega perché al vertice del G8 si colleghino
i problemi relativi alla povertà del pianeta
con quelli del surriscaldamento del clima;
l’attuale modello industrializzato non funziona
più e ha messo in crisi perfino il dogma dello
“sviluppo sostenibile”, frutto di uno studio
pubblicato dal Club di Roma nel 1974 e assiduamente
propagandato dalle principali istituzioni
ambientaliste. Il noto economista francese,
Serge Latouche, ha recentemente lanciato
una nuova parola d’ordine, quella della
“decrescita”, una nuova opportunità concessa
ai popoli della Terra per uscire dalla spirale del
consumismo e facilitata da una crisi economica
ormai strutturale: a quel punto dei parametri
di Kyoto se ne potrebbe davvero fare a meno.