Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Tramonta per sempre, sulle Piane di Abraham, la potenza francese nel Canada (1759)

Tramonta per sempre, sulle Piane di Abraham, la potenza francese nel Canada (1759)

di Francesco Lamendola - 12/12/2008

 

 

L'episodio decisivo per il conflitto coloniale anglo-francese in Nord America, e per il destino del Canada, è stato la battaglia delle Piane di Abraham, combattuta davanti alle mura di Québec il 13 settembre 1759.
È stato detto e ripetuto che la fine del Canada francese era «inevitabile» e che si trattava solo di ritardarla quanto più possibile, trattandosi di un immenso territorio popolato da appena 63.000 coloni; mentre i possedimenti britannici del Nord America, da Terranova alla Georgia, ospitavano già una popolazione bianca di ben 1.630.0000 anime.
In realtà, la cosa non era poi così scontata.
Oltre al fatto che i Francesi, dopo la pace generale sottoscritta con gli Irochesi a Montréal, nel 1701, erano riusciti a stabilire buoni rapporti di convivenza con le tribù indigene, mentre i coloni inglesi erano in uno stati di guerra semipermanente con esse, gli eserciti che si affrontarono sul campo durante a guerra dei Sette Anni (1756-63) erano nel complesso equilibrati e, anzi, nella decisiva battaglia davanti a Québec, il generale Montcalm poteva schierare 15.000 uomini fra soldati regolari, regolari della colonia, miliziani e pellerossa, contro soli 4.500 Britannici.
È stato anche detto che la vittoria degli Inglesi fu la vittoria del liberalismo e del sistema parlamentare sull'assolutismo; ma si tratta, evidentemente, di una versione propagandistica di parte britannica e americana (almeno fino a quando gli Americani, dal 1775, si trovarono in guerra con la madrepatria inglese, proprio per sottrarsi ai suoi sistemi dispotici di governo).
I fattori strategico-militari che risultarono alla fine determinanti, e che caratterizzarono l'intero andamento della guerra, furono la supremazia navale britannica e la migliore posizione strategica assicuratasi dagli Inglesi dopo il Trattato di Utrecht del 1713.
Il dominio del mare, come poi sempre sarebbe avvenuto in tutte le guerre sostenute dalla Gran Bretagna (e non solo in quelle coloniali, come la guerra anglo-boera del 1899-1902, ma anche in quelle continentali, dalle guerre napoleoniche alle due guerre mondiali del XX secolo) fu, dei due, quello più importante.
Il Canada francese era costituito, in realtà, da una sottile striscia di territori lungo il corso del San Lorenzo - chiave d'accesso al Paese e principale via di comunicazione -, nonché lungo le rive del Lago Champlain e dei cinque Grandi Laghi (da est a ovest: Ontario, Erie, Huron, Michigan e Superiore). Perciò, chi controllava le comunicazioni marittime aveva in pugno il dispositivo strategico di tutto quell'immenso territorio.
Di fatto, le sorti del conflitto furono segnate dall'arrivo incontrastato della flotta britannica davanti a Québec, alla fine dell'estate del 1759, nonostante che fino a quel momento le vicende belliche fossero state, nel complesso, piuttosto favorevoli ai Francesi (ve ne è un'eco nel famoso romanzo di James Fenimore Cooper «The Last of the Mohicans», del 1826).
L'altro fattore di vantaggio per gli Inglesi, di natura geopolitica, era costituito dall'acquisizione, da parte britannica, dei due bastioni avanzati del territorio canadese: l'isola di Terranova e la provincia dell'Acadia, nel 1713, a seguito della ratifica del Trattato di Utrecht, che poneva fine alla Guerra di successione spagnola. Posti rispettivamente a nord-est e a sud-ovest del Golfo del San Lorenzo, questi due bastioni conferivano in pratica l'accesso all'unica via marittima per accedere alla colonia francese.
L'Acadia, che venne prontamente ribattezzata Nova Scotia dai nuovi padroni, fu teatro di uno dei primi casi, forse il primo in assoluto, di «pulizia etnica» della storia moderna, da parte di una potenza europea; e, anche se - confrontato ad altre atrocità che caratterizzarono le guerre del «secolo dei Lumi» (la cui pretesa di razionalità e civiltà è stata largamente sopravvalutata da quasi tutti gli storici), destò una profonda emozione in tutto il mondo, proprio per il suo carattere di brutalità spietata e sistematica.
In breve, nel 1755 le autorità militari britanniche decisero di risolvere una volta per tutte il problema degli Acadiani, di lingua e sentimenti francesi, deportando l'intera popolazione francese da quella provincia per sostituirla con coloni di ceppo anglosassone. Fino a quel momento, non si era mai visto nulla genere, tanto più negli immensi territori del Nord America, la cui densità di popolazione, negli insediamenti 'bianchi', era estremamente scarsa.
Responsabili della decisione furono il luogotenente governatore della Nova Scotia, Charles Lawrence, e il governatore del Massachusetts, William Shirley: riportiamo i loro nomi a perenne titolo d'infamia. Per inciso, sempre alla Gran Bretagna spetta un altro tristo «primato»: quello dell'istituzione - durante la guerra contro i Boeri di un secolo e mezzo più tardi -  dei campi di concentramento per la popolazione civile di uno Stato nemico.
I coloni francesi, accusati di aver preso le armi a sostegno dei loro connazionali del Canada (i primi scontri in grande stile fra Inglesi e Francesi, nel Nord America, ebbero luogo nel 1754, precedendo di due anni lo scoppio ufficiale della Guerra dei Sette Anni), furono convocati e fatti salire a forza sulle navi, per essere deportati. Chi si rifiutava o cercava di nascondersi nei boschi, veniva rastrellato e imbarcato ugualmente; tutte le fattorie e tutti i granai vennero incendiati. Si calcola che, su una popolazione di quasi 13.000 abitanti, ben 6.000 vennero deportati soltanto nell'autunno del 1755; gli altri vennero scovati nei cinque anni successivi, nascosti nel fitto delle foreste, e subirono la medesima sorte.

Un altro elemento che giocò a sfavore dei Francesi del Canada, nell'ultima fase della guerra dei Sette Anni (1758-60), fu il contrasto creatosi nei loro comandi fra gli ufficiali venuti dalla Francia e quelli residenti nella colonia.
Il governatore Vaudreuil aveva consigliato a Luigi XV di lasciare la condotta delle operazioni nelle mani dei secondi, che avevano maggiore esperienza del territorio e che godevano della piena fiducia degli ausiliari indiani; il suggerimento, però, non venne accolto e il generale Dieskau, che aveva riportato numerosi successi, ma si era reso inviso per l'eccessiva severità verso i suoi uomini, venne sostituito con Louis-Joseph Montcalm, un ufficiale che sino ad allora aveva combattuto sui campi di battaglia europei e nulla sapeva delle condizioni del terreno, delle stagioni e della maniera migliore per trattare con gli alleati indiani.
Montcalm, comunque, riuscì a riportare un brillante successo difensivo contro un'armata britannica comandata da lord Abercombry, nel 1758, pur trovandosi in netta inferiorità numerica.
Tuttavia, quando la flotta britannica risalì in forze il San Lorenzo, prendendo alle spalle il dispositivi difensivo francese, e si presentò davanti alle mura di Québec, la situazione si fece improvvisamente critica.
Un giovane ufficiale inglese di marina, James Cook - il futuro esploratore del Pacifico e dell'Antartico - rese, in quella occasione, dei servigi inestimabili al proprio Paese, eseguendo un rilevamento minuzioso delle acque del fiume mediante una serie di scandagli, che consentirono alle navi di Sua Maestà britannica di portarsi in una posizione estremamente favorevole, in una maniera che i Francesi avevano ritenuta impossibile.
In effetti, né il comando francese né quello inglese si mostrarono particolarmente abili nella decisiva battaglia delle Piane di Abraham, in cui si giocavano i destini del Canada e dell'intera guerra nello scacchiere nord-americano. Montcalm commise l'errore di uscire dalla fortezza di Québec per affrontare gli Inglesi in campo aperto; James Wolfe, il comandante britannico, fu più fortunato  che abile nel riportare il successo finale.
Il fattore risolutivo della giornata fu la scoperta, da parte inglese, che le scogliere lungo la riva del San Lorenzo, alte fino a settanta metri, si abbassavano in un punto alquanto a monte di Québec; e che, mediante un sentiero nei boschi, si poteva accedere ad un tratto pianeggiante, denominato Piane di Abraham (Les Plaines de Abraham), proprio alle spalle della città. Montcalm ne era a conoscenza, ma riteneva di poter sventare uno sbarco nemico in quel punto, o almeno di esserne tempestivamente informato, poiché dalle mura della città qualunque movimento della flotta inglese non avrebbe potuto passare inosservato.
Invece Wolfe riuscì a trarlo in inganno, poiché effettuò la manovra di notte, col favore del buio, mentre i cannoni inglesi tenevano occupata l'attenzione dei difensori in un altro settore; e così, la notizia che le truppe nemiche erano già nelle Piane di Abraham, alle spalle di Québec, giunse per il comandante francese, il mattino del 13 settembre 1759, come un fulmine a ciel sereno.
Poiché attendeva rinforzi dalla colonna di François de Lévis, Montcalm cercò di guadagnare tempo e distaccò una parte delle sue forze per fronteggiare la minaccia, volendo tenere il nemico lontano dalle mura di Québec che, dal lato di terra, non erano altrettanto ben munite come dalla parte del fiume. A tale scopo inviò il generale Beaumarché a fronteggiare, sulle Piane di Abraham, la minaccia costituita dal distaccamento dei comandanti Brown River e Cam Jospeph.
Per dare un'idea del modo in cui gli ufficiali imponevano la disciplina ai propri uomini, ricordiamo che il comandante inglese Mac-Dolphin, per punire un mozzo che aveva colpito involontariamente un marinaio, uccidendolo, allorché gli era caduto un rotolo di corda dall'albero della nave, lo aveva condannato a subire il «giro di chiglia». Il suppliziato veniva legato con due funi, gettato fuori bordo da prua e trascinato sotto la chiglia della nave in movimento, per essere poi ripescato da poppa. Se non annegava, generalmente veniva ucciso dallo sfregamento contro la chiglia, tutta incrostata di conchiglie taglienti.
In quel caso, lo sventurato ragazzo non morì - fatto che venne ritenuto dai marinai quasi miracoloso -, ma riportò tremende ferite e il suo volto fu letteralmente ridotto a brandelli.

Ecco come Enzo Magosso e Vittorio Ponzilacqua ha rievocato le vicende la battaglia delle Piane di Abraham, nel volume «Le grandi battaglie della Guerra dei Sette Anni» (Varese, Varesina Grafica Editrice, 1971, pp. 119-129):

«Alle 10 del mattino le due forze avversarie si trovarono l'una di fronte all'altra, e con fredda determinazione il comandante Brown River diede il segnale d'attacco.
Gli Inglesi si catapultarono contro i Francesi, che peraltro opposero un'accanita resistenza a quella prima ondata.
Il comandante Cam Joseph combatteva come un leone alla testa dei suoi uomini, mentre River teneva in disparte una cospicua riserva per l'attacco finale.
Furono momenti terribili. I Francesi, dopo i primi scarsi successi, dovettero ripiegare sotto il fuoco nemico. Ma poco dopo, riavutisi dal timore iniziale, si proiettarono di nuovo contro  gli Inglesi con inaspettata forza, che però non valse a scoraggiare i più agguerriti uomini di Joseph.
Le due forze avversarie si erano ormai talmente ravvicinate che dovettero proseguire il combattimento all'arma bianca. I corpi dei morti e dei feriti giacevano gli uni sugli altri, calpestati dai loro stessi compagni d'armi, che continuavano strenuamente la lotta.
Improvvisamente il comandante River ordinò ai suoi fucilieri di mettersi in posizione, e poi inviò un messaggio a Joseph chiedendogli di effettuare una manovra diversiva per disorientare il nemico, che avrebbe dovuto supporre una ritirata..
Joseph fece prontamente ripiegare i suoi uomini, e quando i Francesi si accorsero del tranello era ormai troppo tardi. Gli implacabili fucilieri inglesi fecero una strage dei primi Francesi che cercavano di rincorrere gli uomini di Jospeph. Era questa la stessa tattica usata in Europa da Federico, ma gli Inglesi, che gli erano alleati, ne conoscevano ogni particolare.
A questo punto il generale francese Beaumarché fece suonare la ritirata, cercando poi di riordinare le sue file.
- Bouvet! Chiamatemi il capitano Bouvet! - urlava Beaumarché.
- Dopo pochi istanti il giovane capotano si presentò al suo superiore.
- Agli ordini, signor generale!
- Ah!… Dunque, capitano… Qui, come vedete, la situa<zione è estremamente grave… Questi Inglesi combattono come bestie feroci, e noi non possiamo tenerli a bada ancora per molto. Le perdite sono notevoli e… Insomma! Bouvet… prendete alcuni uomini e rientrate a Québec per avvertire il generale Montcalm di quanto sta accadendo e che se non arrivano i rinforzi di Lewis saremo irrimediabilmente sconfitti. Volate! Presto! Capitano… Io farò un ultimo tentativo di attacco…
Trascorse circa un quarto d'ora senza che nessuna risposta arrivasse da Québec. Beumarché, allora, comprese quale terribile sorte sarebbe toccata di lì a poco ai suoi uomini, i quali tuttavia continuavano a combattere, pur mostrando evidenti segni di stanchezza.
Nel frattempo il generale Wolf decise che era giunto il momento di effettuare un attacco frontale, cannoneggiando le mura di Québec per disorientare il più possibile i Francesi, che avevano momentaneamente sguarnito il fronte che dava sul bacino.
La prima reazione di Wolf non si fece attendere e la nave del comandante John Lafiskey venne colpita in più punti dalle precise cannonate francesi. Dapprima disalberata, la nave s'inabissò dopo poco con quasi tutti con quasi tutto l'equipaggio, compreso il comandante che non ebbe il tempo di mettersi in salvo.
Wolf era comunque deciso a continuare l'attacco già in atto. E i fatti dimostrarono che egli non aveva avuto torto.
Il generale inglese aveva potuto scorgere infatti uno stretto passaggio, delimitato da una sottile striscia di terra verso i bastioni nord di Québec, e aveva compreso che quello era l'unico posto da dove i suoi uomini, una volta sbarcati, avrebbero raggiunto il Piano di Abraham per dare man forte alle truppe di River e Joseph che stavano combattendo da diverse ore.
L'idea di Wolf di sfruttare il secondo passaggio, evitando il giro fatto la notte precedente dalle navi dei comandanti River e Jospeh, parve ottima e subito fece segnalare la manovra alle altre navi perché lo seguissero.
Erano le 13 pomeridiane, e Montcalm aveva ormai perduto ogni speranza circa il provvidenziale arrivo di Lewis con i suoi rinforzi. Deciso, allora, ad intervenire di persona in aiuto di Beaumarché, prese con sé più uomini che poteva, lasciando solo il comandante De Sax con poche centinaia di soldati in difesa del forte.
Wolf era arrivato intanto nel punto stabilito per risalire verso il Piano di Abraham e, dopo aver subito una violentissima scarica di artiglieria da parte dei Francesi, riuscì a sbarcare.
Il comandante River, accortosi della presenza di Wolf, aveva gettato nella mischia anche le sue truppe di riserva.
La situazione francese diveniva ad ogni momento sempre più drammatica. Montcalm guardava sgomento quella scena senza poter fare più nulla per mutare le sorti di una battaglia, ormai ritenuta persa. Sembrava un cane bastonato!
Si deve però dire che se ai Francesi era mancata la necessaria capacità strategica nel preparare dei piani di battagli, non mancò invece il coraggio, alimentato di continuo con azioni personali dell'anziano e validissimo generale Beaumarché e dal giovane ed intelligente capitano Bouvet. Per cui l'arrivo di Wolf e del suo collega Mac-Dolphin con i loro uomini, fu per gli Inglesi davvero provvidenziale.
I Francesi, visti i rinforzi da parte avversaria, ripararono dietro alcune rocce e cominciarono una resistenza ancora più accanita.
La manovra, che per i Francesi rappresentava l'unica alternativa, quasi senza rendersene conto aveva messo gli avversari in condizioni di combattere allo scoperto.
Gli Inglesi si accorsero subito nell'errore commesso nel permettere ai Francesi di riparare dietro le rocce, e si portarono fuori tiro per cercare una soluzione che avrebbe dovuto annientare quell'ultimo nucleo difensivo, prima del previsto affluire degli uomini di Lewis.
Wolf ebbe una decisone fulminea: attaccare frontalmente e sui due lati. Avrebbe guidato egli stesso l'attacco frontale, mentre Cam Joseph e Mac-Dolphin avrebbero comandato le due ali. Brown River, invece, sarebbe rimasto con una parte dei suoi uomini a coprire un'eventuale ritirata.
Messi tutti gli uomini in posizione, un segnale fece scattare l'attacco"! Ma, fatti pochi passi, Wolf venne riconosciuto dal nemico per le sue insegne di comando. Una violenta scarica di fucileria lo colpì facendolo stramazzare sanguinante al suolo. Alcuni soldati lo sollevarono portandolo al riparo, proprio dove era piazzato River, ma egli reagì con tutte le forze che gli rimanevano in corpo:
- Maledizione! Che fate? Perché mi portate qui?… Bisogna attaccare! Capite?… Cosa importa se sono ferito!…
-Brown River accorse immediatamente verso Wolf, prodigandosi  nelle prime cure. Accidenti!  Non riusciva a tamponare la ferita da dove sgorgava copiosamente il sangue.- È inutile, caro River -, disse amaramente il comandate supremo inglese. - la vostra opera di chirurgo qui non serve più… Sono spacciato… E voi lo sapete meglio di me"! Continuate piuttosto a combattere in vece mia… Servirete così molto meglio la causa inglese… Oh! River… Tenete alto il mio stendardo e… Dio salvi il…
- Probabilmente Wolf voleva chiudere marzialmente la sua esistenza, dicendo: "Dio salvi il Re!". Ma non vi riuscì. Anche se non terminò la sua frase, le parole erano quelle di un prode soldato, di un autentico eroe, proprio perché stroncato alla sua prima grande missione. Forse sono solo questi i veri eroi. Uomini che muoiono per una causa a cui credono e non sanno ancora che la guerra è soltanto un'inutile violenza.
- Il dottor River chiuse pietosamente le palpebre del generale ed amico James Wolf, e nel suo cuore di marinaio rimase una ferita che non si sarebbe rimarginata mai più: il ricordo di episodi vissuti a fianco del caro amico Wolf, le sue parole…
- Ah! La guerra! - esclamò imprecando Brown River e, fatto un segno ai suoi uomini, si gettò nella mischia, urlando: - Proteggete la bandiera del generale Wolf!
River era un chirurgo prima di essere un soldato, il suo compito era principalmente quello di strappare più vite possibile alla morte, ma in quel momento se n'era dimenticato., Nel suo cuore aveva preso posto una rabbia sorda e feroce. Ora voleva solo vendicare il proprio comandante., l'amico, il valoroso combattente.
Tuttavia, decise di non informare subito Cam Joseph e Mac-Dolphin per non smorzare il loro 'fuoco'. Ma il suo proponimento risultava ormai inutile in quanto la voce s'era sparsa., allargandosi come una macchia d'olio.
La notizia giunse ovviamente anche alle orecchie dei due comandanti, i quali reagirono come sotto il colpo della frusta e si scagliarono al centro del campo di battaglia incitando gli uomini contro la resistenza francese.
Dall'altro lato del campo,. Il generale Montcalm stava osservando gli strani movimenti degli Inglesi.  Aveva quasi certamente compreso ciò che era accaduto e il motivo del nuovo slancio da sarte avversaria.
Decise allora di dirigere lui stesso da vicino tutte le operazioni. Del resto egli non aveva riposto del tutto l'assurda speranza  dell'arrivo, all'ultimo momento, di Lewis. Ma forse era l'unico ad avere questa seppur pallida speranza, dato che gli Inglesi dal canto loro erano già convinti che nessun aiuto sarebbe giunto in favore dei Francesi.
Wolf aveva vinto, anche se aveva pagato con la vita la sua vittoria; ma egli, Montcalm, non poteva accettare di ritirarsi da quel piano per organizzare un'ultima difesa dentro le mura di Québec. Ciò avrebbe significato la fine!
Il generale Montcalm combatteva ora a fianco dei suoi soldati. Riuscì in poco tempo ad abbattere parecchi nemici. Ma il suo atto d'eroismo non servì a gran che. I suoi soldati erano ormai esausti e sentivano il terreno mancare loro sotto i piedi.
Montcalm si rese conto che in questo modo sarebbero stati tutti decimati in breve tempo. Decise allora, suo malgrado, di riparare in massa dentro la fortezza di Québec.
Quando le porte massicce della fortezza furono rinchiuse e sprangate alle sue spalle, il generale emise un sospiro di sollievo. Gli erano rimaste solo poche centinaia di soldati, che, aggiunti a quelli del comandante De Sax, arrivavano a sì e no a circa duemila uomini, ma erano ben piazzati. Ora bisognava resistere!
- Voi, De Sax - disse all'accorrente ufficiale - , andate sul lato ovest e sparate solo a colpo sicuro! Dite agli uomini di non sprecare inutilmente la polvere.
- E voi, capitano, dirigete i cannoni contro la campagna al più presto… e cercate di colpire più nemici che potete.
Montcalm cercava di ridare fiducia ai soldati, ma era egli stesso il primo a non averne più. Cercava di giocare sul tempo. Invocava il tramonto come unica via di salvezza. Forse, con le tenebre, e privi del loro comandante supremo, Wolf, gli Inglesi  avrebbero calmato la loro offensiva. Egli metteva, per così dire, sul tavolo le sue ultime carte, eppure sapeva di aver perduto la partita. Era disperato!
Con un ultimo slancio si volse verso lo squadrone che stava alle sue spalle sull'attenti in attesa di ordini, e con voce chiaramente alterata dette il suo comando:
- Voi tutti… con me! Le mura sono solide e non sarà impresa facile per gli Inglesi venirci a prendere!
Mac-Dolphin che dopo la morte di Wolf aveva preso le direttive insieme con Cam Joseph, comprese che frontalmente non era possibile attaccare Québec. Forse… sfondando il portone…
"D'altra parte - pensava - se ci avvicinassimo così alle mura saremmo decimati in men che non si dica… E scalare le mura?… Impossibile!"
Mac-Dolphin parlava tra sé… Additava qualcosa di inesistente… Infine, pensava:
"Bisogna mantenere il vantaggio della vittoria ottenuta sul Piano di Abraham. Wolf non deve essere morto inutilmente!".
Questi pensieri vennero interrotti dal sopraggiungere del tenente Sullivan.
- Scusate, signor comandante, ma vorrei informarvi che durante un attacco ho scoperto che le porte di Québec sono tenute da pesanti cardini, che però sono vulnerabili in più punti… Se si potesse dirigere il tiro dei nostri fucilieri in quella precisa direzione, i cardini cederebbero certamente, al punto che una compagnia potrebbe successivamente abbattere le porte a colpi di spalla.
- Molto bene, tenente. Mettiamo subito in pratica questo vostro piano e… speriamo in bene!
Il preciso tiro dei fucilieri fece oscillare un poco le pesanti porte, ormai prive di due dei cardini chele sorreggevano. I Francesi guardarono sgomenti verso le porte che cedevano, domandandosi quanto tempo sarebbe rimasto loro da vivere, adesso che il nemico era ormai "sotto il letto".
Le sorti della battaglia erano ormai segnate. I Francesi, nonostante vantassero un grande comandante qual era Montcalm, avevano perduto su tutti i fronti ed ora stavano per essere schiacciati come mosche sotto la pressione degli Inglesi. Questi, infatti, stavano già portandosi in massa verso le mura per entrare vittoriosi nel forte.
Improvvisamente. Si udirono delle urla feroci provenire dal Piano di Abraham. Gli Indiani!… Arrivavano gli Indiani!
I Francesi dall'alto delle mura furono i primi a scorgerli. Montcalm, al contrario dei suoi soldati, non saltò dalla gioia, levo invece gli occhi verso il cielo in segno di ringraziamento. Quegli occhi erano pieni di lacrime, ma nessuno li aveva veduti. Un istante dopo, il generale riuscì però ad abbozzare un sorriso ironico: aspettava i Bianchi di Lewis, ed invece arrivavano in soccorso i Pellirosse!
Visto l'andamento delle cose, gli Indiani delle tribù dei Chipewyan dei Miami, dei Potawatomi e ancora degli Uroni, degli Ottawa e dei Winnebago si erano riuniti in fretta per decidere se aiutare o meno i Francesi. È vero che proprio qualche tempo prima ebbero a dire agli Inglesi: "Messieurs les Anglais, nous vous aimons autant que les Français nous aiment" ("Noi non vi odiamo più di quanto i Francesi odino noi stessi"). In pratica volevano dire che l'odio tra Francesi ed Indiani era reciproco, ma per loro un solo nemico bastava. Perciò i capi tribù decisero di intervenire in aiuto dei Francesi, ognuno con un certo numero di guerrieri.
Mac-Dolphin stava già per varcare con i suoi uomini la porta della fortezza, abbattuta da poco, quando si vide alle spalle quell'orda selvaggia, decisa ad uccidere il maggior numero possibile di nemici.
Cam Joseph dal canto suo si offerse di tenere a bada, con il suo collega colonnello William Schippers, i movimenti degli Indiani, e nacque così un nuovo scontro tra forze organizzate e disciplinate e i Pellerosse, che avevano, sì, le loro regole,  ma attaccavano disordinatamente e con estrema ferocia.
Gli Indiani, circa un migliaio, arrivarono a corsa sfrenata e proseguirono rasentando le mura di Québec. Questa intelligente manovra aveva impedito l'ingresso degli Inglesi nel forte.
Costretti ad indietreggiare, gli Inglesi si disposero a loro volta in circolo per una più efficace difesa, mentre i Pellirosse usavano la vecchia tattica del girotondo, urlando e scagliando un nugolo di frecce.
Per un certo tempo gli Inglesi tennero testa a quell'insolito combattimento, ma poi cominciarono a cedere. Le perdite erano notevoli da parte dei Bianchi.
Montclam, dalla torre della fortezza, guardava con sollievo la strage che stavano compiendo i suoi alleati Indiani, ma non poteva fare niente di più.  Bisognava conservare intatti tutti gli uomini rimasti, nell'eventualità che le cose si capovolgessero di nuovo. E poi, sparare da lassù poteva significare colpire anche degli Indiani, e allora… addio alleati!
Mac-Dolphin, che si era fino a quel momento tenuto in disparte in attesa di eventi, lanciò i suoi uomini per cercar di spezzare il cerchio formato dagli Indiani e permettere ai soldati di Cam Joseph e di William Schippers d uscirne e disporsi diversamente.
La tattica usata dagli uomini di Mac Dolphin era la stessa usata dagli Indiani., i quali vennero a trovarsi fra due fuochi, costretti a subire innumerevoli perdite. Ogni tre cavalieri ne cadeva uno, fiunché quella specie di pettine formato dagli Indiani si trovò quasi senza 'denti'. A questo punto i capi indiani, che stavano in osservazione a qualche centinaio di metri, fecero alcuni gesti con le loro lance multicolori, e in un baleno tutti i guerrieri abbandonarono il campo di combattimento.
Gli Inglesi erano di nuovo salvi, ma ora bisognava prendere la fortezza!
Riorganizzate in fretta le truppe, Mac-Dolphin ordinò l'assalto, mettendosi alla testa degli uomini insieme con Cam Jospeh, Schippers e altri ufficiali.
Dalle mura i Francesi cominciarono a sparare senza tuttavia avere molto successo. Gli avversari erano già entrati quasi tutti nel grande cortile, costringendo i Francesi a voltarsi per difendersi. Questi ultimi non sapevano più se continuare a sparare verso l'esterno contro gli Inglesi che dovevano ancora entrare nel forte, oppure sparare contro quelli che già si trovavano all'interno.
Ma ormai anche i fucili erano divenuti inservibili per la distanza troppo ravvicinata degli avversari. Si decise allora di combattere all'arma bianca.
Montcalm scese con una squadra di uomini dalle scale della torre impugnando la sciabola. Lo scontro fu uno dei più sanguinosi.
Qualcuno salì sulla torre principale per strappare la bandiera francese e sostituirla con quella britannica. Un giovanissimo soldato francese, il cui nome rimase sconosciuto, accorse immediatamente per impedire quel gesto, avventandosi furiosamente sull'Inglese. I due ingaggiarono una selvaggia lotta corpo a corpo. L'Inglese sembrava avere la meglio sul coraggioso ma inesperto francese, quando quest'ultimo con un agile balzo si rimise in piedi estraendo dal fodero un pugnale. Altri due Inglesi erano accorsi per difendere il compagno e portare a termine l'impresa già iniziata dal primo.
Ora il giovane Francese si trovava solo contro tre.  Gli ultimi due Inglesi impugnavano le sciabole, mentre il primo era disarmato. Che fare? Gli Inglesi si erano disposti a triangolo e il Francese, stringendo il suo pugnale, non sapeva più cosa escogitare. Guardava ora l'uno ora l'altro; fece un tentativo di fuga,  ma le sciabole dei due inglesi lo trafissero simultaneamente uno al petto e l'altro ala schiena. Il Francese, colpito a morte, rimase in piedi, quasi sorretto dalle due lame che i due nemici stringevano ancora in pugno.
Nel cortile intanto la lotta continuava ancora sanguinosa.
Montcalm combatteva con le ultime forze, attorniato dai più fedeli ufficiali. La resa sarebbe stata troppo umiliante: bisognava, invece, vendere cara la pelle.
Di nuovo gli Indiani fecero udire le loro urla selvagge. Un centinaio di Pellirosse della tribù degli Uroni, i più feroci fra tutti, entrarono nel forte saltando dai loro cavalli sugli Inglesi, uccidendone molti a colpi di "tomahawks".
Il generale Montcalm, ora, non ringraziava piùù il cielo: non ne aveva il tempo. Sapeva che ormai più nessuno avrebbe potuto mutare le sorti di una battaglia già persa da molte ore. Egli continuava a menare vigorose sciabolate, attorniato da numerosi Inglesi che cercavano in tutti i modi di colpirlo, senza tuttavia riuscirvi. E quando fece un passo indietro per parare un colpo che sembrava più preciso degli altri, inciampò cadendo su una catasta di palle da cannone: almeno una decina di lame, una dopo l'altra, con la velocità di una raffica, lo trafissero in tutto il corpo.
Gli Indiani, visto così cadere il Capo Bianco, si volatilizzarono.
Tutto era finito; si poterono fare solo poche decine di prigionieri. Gli altri: tutti morti. Gli Inglesi avevano vinto!
La notte stava stendendo ormai il suo nero mantello sul cielo di Québec, quando si seppe che Lewis era arrivato ad un miglio dal forte e, informato delle sorti della battaglia, aveva deciso di ritornare indietro. I rinforzi, che tanto preziosi sarebbero stati soltanto poche ore prima, adesso non servivano più. Del  resto, il numero dei soldati di Lewis non sarebbe stato sufficiente a sconfiggere gli Inglesi che, nonostante e perdite, erano ancora assai più numerosi…».

La caduta di Québec non segnò, peraltro, la fine della campagna.
Dopo essersi ritirati su Montréal, i Francesi - comandati ora da François de Lévis - ripresero l'offensiva nella primavera successiva e riportarono ancora una brillante vittoria sugli Inglesi nella battaglia di Sainte-Foy, in cui la decisione fu strappata con una furiosa carica alla baionetta (28 aprile 1760). Sull'onda del successo, essi avanzarono nuovamente lungo il San Lorenzo e giunsero fin sotto le mura di Québec.
Di nuovo, le sorti della guerra erano appese a un filo: un piccolo spostamento sui piatti della bilancia avrebbe ancora potuto rimettere in discussione l'intera campagna. Se i Francesi fossero riusciti a conservare il possesso di una parte almeno della loro colonia, i diplomatici di Parigi avrebbero potuto sedere al tavolo della pace da una posizione di relativa forza; e, quasi certamente, il Canada, o una buona parte di esso, con le sue immense ricchezze, sarebbe rimasto sotto la sovranità dei gigli della monarchia borbonica.
Quel che fece la differenza a favore della Gran Bretagna fu, ancora una volta, il suo schiacciante "sea power", il dominio dei mari mediante la sua flotta, superiore a quella di qualunque altra potenza europea e mondiale.
Così, quando il 16 maggio 1760 la flotta britannica si presentò tempestivamente davanti a Québec, all'esercito francese non restò che ritirarsi, senza aver potuto coronare il precedente successo con la riconquista della città. Poco dopo, isolato e impossibilitato a ricevere qualunque rinforzo, Lévis dovette arrendersi a Montréal: e il Canada fu perduto per la Francia.
Con il Trattato di Parigi (del 10 febbraio 1763), la Gran Bretagna ottenne dalla Francia non solo la cessione dell'intero Canada, ma anche l'Ile Royale (ribattezzata Isola di Capo Bretone), l'Ile Saint-Jean; la Louisiana ad est del fiume Mississippi; Saint-Vincent, Dominica e Tobago nelle Indie Occidentali; nonché il Senegal, sulla costa occidentale dell'Africa; e, dalla Spagna (dietro la restituzione de L'Avana), la Florida e parte dell'Honduras.
Tali clausole trasformavano d fatto il Nord Atlantico in un lago britannico e facevano della Gran Bretagna una potenza imperiale, tanto più che, anche in India, essa era riuscita ad espellere i Francesi (che avevano potuto conservare solo cinque piccole «enclaves») e i loro alleati indigeni, battuti clamorosamente nella battaglia di Plassey del 1756: sicché anche l'Oceano Indiano si avviava a diventare, a tutti gli effetti, un lago britannico.
Sul continente europeo, intanto, l'alleata continentale della Gran Bretagna, la Prussia di Federico II, era riuscita ad affermarsi - lottando contro forze venti volte superiori - come la quinta grande potenza europea.
Per quanto riguarda la Francia e la perdita del Canada, bisogna osservare che un altro consistente fattore di debolezza era stato determinato dalla crisi finanziaria che, ormai da decenni, attanagliava la monarchia francese e che aveva avuto pesanti effetti negativi nei rapporti di quest'ultima con la colonia d'oltre Atlantico, e specialmente con il mondo imprenditoriale e mercantile.
Basti dire che nell'ottobre del 1759 la corona francese fece fallimento, dichiarò  la propria insolvenza e rifiutò di onorare le note di credito, una specie di assegno su cui si basava il commercio francese da e per il Canada. Si può ben dire, perciò, che il collasso del dominio francese nel Canada fu originato da una crisi di fiducia fra coloni e madrepatria, dovuto all'incompetenza e all'ottuso conservatorismo della classe dirigente metropolitana.
Anche la Gran Bretagna avrebbe dovuto affrontare una tale crisi di fiducia da parte dei suoi coloni nordamericani, con gli eventi che portarono alla nascita degli Stati Uniti d'America. Ma quella è un'altra storia, e non riguardò il Canada che, durante la guerra d'indipendenza statunitense, rimase fedele alla corona britannica.

Ci rimane da spendere qualche riflessione sul significato della conquista britannica del Canada e sul destino della comunità francofona, così come è stato vissuto dai diretti interessati e dalla storiografia delle due parti in causa, l'inglese e la francese.
Trattandosi di un argomento poco conosciuto in Italia, ci è sembrato opportuno riportare una spassionata valutazione contenuta nella assai documentata «Storia del Canada» di Luca Codignola e Luigi Bruti Liberati (Milano, Bompiani, 1999, pp. 240-43):

«Fin dall'indomani della conquista (1760) gli storici canadesi, e soprattutto quelli di origine francocanadese, si sono interrogati non soltanto sull'inevitabilità della Conquista, della quale abbiamo già detto [rispondendo in modo negativo], ma anche e soprattutto sul significato e sulle conseguenze della stessa. Nel corso degli ultimi due secoli la questione fondamentale è sempre stata posta in modo contro-fattuale: che cosa sarebbe successo se la Conquista non avesse avuto luogo? La questione potrebbe anche essere quella giusta. Il problema è che gli storici che vi si sono confrontati conoscevano già in partenza la risposta che intendevano darvi. Per gli storici anglofoni, soprattutto canadesi e statunitensi, si trattava essenzialmente di mostrare la superiorità della civiltà di origine anglosassone rispetto a quella di origine latina. Essi hanno dunque interpretato la Conquista come un fatto certamente traumatico, ma anche sostanzialmente positivo. Essa avrebbe infatti finalmente integrato una colonia di antico regime alla dinamica del mercato occidentale e a un sistema politico basato sulla rappresentatività. Più complesso e niente affatto univoco l'atteggiamento della storiografia francocanadese. Tra il 1840 e il 1960 tale storiografia, dominata da membri della chiesa cattolica che erano spesso anche sacerdoti, ha adottato una visione provvidenzialistica della Conquista. Tale visione nasceva dalla glorificazione di una società in cui era molto forte il peso della gerarchia cattolica e degli intellettuali che a essa si rifacevano. Secondo tale corrente di pensiero, nella sua apparente tragedia  la Conquista avrebbe permesso alla nazione francocanadese di purificarsi dei suoi elementi negativi, che le erano venuti soprattutto dalla Francia di Luigi XV, corrotta e sempre più anticlericale. La separazione avrebbe quindi evitato alla comunità francocanadese l'immane tragedia  della Rivoluzione Francese (1789-1799). Secondo Lionel Groulx (1878-1967), ultimo importante esponente di tale scuola, essa soprattutto le avrebbe consentito di sopravvivere e anzi di rinforzarsi grazie a suo sentimento nazionale. Quest'ultimo nasceva dall'unità e dall'identità etnica, linguistica, storica e soprattutto religiosa della comunità francocanadese, le quali andavano di pari passo con l'attaccamento alla terra e il rifiuto di dividere con angloamericani e statunitensi i valori dell'economia di mercato.
Negli anni 1960-70, in concomitanza con la laicizzazione  della società quebecchese, il dibattito sulla Conquista ha perso i suoi connotati provvidenzialistici e si è collegato al problema del 'ritardo' della nazione francocanadese.  Questo avrebbe consentito la dominazione economica, politica e culturale anglocanadese nonché provocato l'incapacità dei francocanadesi di farsi nazione libera, autonoma o addirittura indipendente. Quali i motivi di questo ritardo? Quali le soluzioni politiche da adottare per il suo superamento? Schematizzando molto, possiamo distinguere due posizioni. La prima è quella neonazionalista, i cui esponenti diventarono gli ideologi della rinascita della nazione quebecchese predicandone un rinnovato impegno nell'attività imprenditoriale e l'indipendenza politica. Essi continuavano a vedere nella Conquista il nodo fondamentale nella storia del Canada francese, mettendone in evidenza il carattere 'catastrofico'. Secondo tale scuola, almeno a partire dal secolo XVIII la Nuova Francia era una società già perfettamente formata, con la sua cultura, le sue istituzioni e il suo nucleo di uomini d'affari, probabilmente avviata sulla strada di quell'indipendenza seguita dalle altre colonie nordamericane di origine europea. Tale società venne bloccata nel suo sviluppo dalla Conquista, che la  decapitò provocando l'esodo della sua classe dirigente politica ed economica e costringendo i francocanadesi ad abbandonare ogni attività di tipo imprenditoriale per dedicarsi ad attività di servizio, sia nelle professioni liberali che nella manodopera di basso profilo. Da allora i francocanadesi non guardarono più al loro futuro, ma si limitarono a rimpiangere il loro passato, trovando rifugio e conforto nella religione e nel ruralismo, per non gestire che la propria sopravvivenza.
La seconda posizione è quella che potremmo impropriamente definire "federalista" per quel suo rifiuto del nazionalismo quebecchese che andava di pari passo con l'impegno per l'adeguato riconoscimento della componente francocanadese nell'ambito della Confederazione. Gli esponenti di questa seconda posizione negavano il carattere catastrofico della Conquista e mettevano in evidenza gli elementi di continuità tra la società del regime francese e la società francocanadese del regime britannico. Secondo loro la Nuova Francia era una società strutturalmente debole che dipendeva per la sua stessa sopravvivenza dall'assistenza francese. In essa la nascita di una borghesia imprenditoriale fu soffocata dalle gerarchie burocratiche, militari e religiose. Proprio la Conquista offrì ai francocanadesi le armi per eliminare tali opprimenti gerarchie: l'imprenditorialità economica, il liberalismo politico, e la laicizzazione ideologica. Ma per le sue intrinseche debolezze l'élite francocanadese si dimostrò incapace di reggere la sfida con i propri omologhi britannici, si ripiegò su se stessa e aumentò ancora il proprio gradi di inferiorità e di subordinazione.
A partire dagli anni 1980 il dibattito sul significato e le conseguenze della Conquista sembra aver perso molto della sua valenza ideologica. Evitando accuratamente di definirne l'importanza in termini assoluti, gli storici tendono oggi a mettere in evidenza come il mutamento etnico certamente avvenuto nell'ambito del ceto dirigente abbia ben poco influenzato il rapporto tra quest'ultimo e i ceti inferiori della società. Di questo nuovo atteggiamento è esemplare la definizione con cui gli storici John A. Dickinson e Brian Young (1993) liquidano duecento anni di violenti scontri politici e storiografici: "La Conquista introdusse una maggiore diversità etnica nel Québec, ma cambiò ben poco nell'economia della colonia e nella sua struttura di classe". Il vero punto di svolta sarebbe semmai avvenuto intorno al 1815, quando il Basso Canada (la futura provincia del Québec) passò dalla fase di società preindustriale, basata sul lavoro agricolo dell'unità familiare, alla fase di società industriale, basata sulla produzione industriale e su un'agricoltura orientata più verso il mercato che verso la sussistenza dei produttori. Un altro storico, Dale Miquelon, mostra un'insofferenza ancora più marcata di quella di Dickinson e Young: "Gli storici... si domandano se i mercanti canadesi furono incapaci di raccogliere la sfida o vennero travolti dal destino. Storici di altre generazioni si divertivano a chiedersi quanti angeli potessero danzare sulla punta di un ago" (1994).»

Un ultimo strascico della Conquista britannica del Canada si ebbe, nella seconda metà del XIX secolo, quando immigrati anglocanadesi si riversarono dapprima nel Manitoba, indi nel Saskatchewan, sommergendo le comunità di meticci di lingua francese che, guidati dalla controversa figura di Luois Riel, tentarono vanamente di opporsi per conservare i loro diritti sulla terra e il loro patrimonio culturale, basato sulla lingua francese e sulla religione cattolica.
Segnaliamo al lettore un nostro precedente lavoro dedicato a tali vicende, reperibile sempre sul sito di Arianna Editrice, intitolato: «Louis Riel (1844-1885) e la lotta per la libertà dei meticci del Canada» e corredato da una specifica bibliografia.