Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Il disco arancio del sole, enorme, scende dietro i monti e tuffa nel lago la sua ombra sanguigna

Il disco arancio del sole, enorme, scende dietro i monti e tuffa nel lago la sua ombra sanguigna

di Francesco Lamendola - 27/12/2008

Mentre il disco giallo-arancio del sole invernale, enorme, sfiora le cime dei monti e in pochi attimi è già tramontato, tuffando nelle acque cupe del lago i suoi ultimi riflessi sanguigni, una coppia di germani reali corre sull'acqua, vociando e sollevando alti spruzzi, per poi perdersi nelle ombre della riva opposta.
Nulla vi è di più imponente e più solennemente malinconico dello spettacolo della natura solitaria che si appresta a immergersi nel bagno inquietante della notte, quando sembra che il buio scenderà sul mondo per sempre e che avvolgerà ogni cosa nelle ali della sua notte.
L'anima si sente sgomenta e quasi smarrita: il silenzio grandioso, terribile; le ripide pareti di roccia delle montagne, che sembrano vivere di una loro vita segreta, pietrificata, ma non per questo meno impressionante; le nuvole bianche che si tingono d'ombra e che gli ultimi chiarori del cielo a occidente fanno risaltare con nettezza quasi crudele, contro il cielo crepuscolare che pare rabbrividisca anch'esso al calare delle tenebre; e la rapidità angosciosa con cui svaniscono queste ultime giornate di dicembre, le più corte dell'anno, per lasciarsi ingoiare dalla notte senza un lamento, senza un sussulto di ribellione.
Ci si sente piccoli, infinitamente piccoli.
Mio Dio, che cos'è l'uomo; che cosa sono mai tutta la sua potenza e arroganza e presunzione; che cosa i suoi progetti per il futuro, quando si pensa che queste montagne si rispecchiavano nel lago molto prima che egli comparisse sulla faccia della Terra, e che quasi certamente ogni singolo carpino, ogni robinia, ogni pioppo, ogni faggio e ogni abete, vivranno molto più a lungo di qualsiasi uomo ora vivente; continueranno a protendere i loro rami, rivestiti di nuove foglie, dopo che noi saremo scomparsi tutti, con le nostre piccole ambizioni, i nostri sogni di felicità e di grandezza, i nostri rancori, le nostre paure e le piccole e grandi viltà.
E un brivido mi scuote, mentre osservo le ultime scaglie di luce che il crepuscolo strappa alla superficie del lago, facendole brillare magicamente in un riflesso iridescente, prima di affondarle in un ultimo guizzo di porpora e di violetto.
Là, nel buio dei boschi, posso immaginare l'esercito degli animali notturni che escono dalle tane e dai nidi e che vanno incontro alla loro vita, a noi occulta e misteriosa: il gufo dagli occhi enormi e stupiti, che svolazza in cerca di preda;  il pipistrello che saetta nell'aria veloce e sicuro, guidato dalle sue infallibili antenne; il ragno che attende nella brezza, cullandosi al centro della sua ragnatela; la biscia d'acqua che scivola tra le canne palustri, presso la riva; e il timido capriolo che scende dal monte per bere alla sorgente, fermandosi di tratto in tratto ad annusare l'aria, con le narici frementi e le agili zampe pronte a scattare nella fuga.
E questo odore, questo profumo intenso, sconvolgente: profumo di terra, di acqua, di tronchi, di pioggia, di vita…
Profumo, chi sa come, di una nuova vita in gestazione; di una primavera ancora lontanissima, eppure - chi sa come - in qualche modo già viva e palpitante, in milioni e milioni di minuscole gemme che vanno formandosi sui rami degli alberi…

Apro a caso il grosso libretto, rilegato in pelle, che porto sempre con me e vi leggo queste parole del salmo 39:

«Ecco, io vengo, Signore,
per fare la tua volontà.

Sacrificio e offerta non gradisci, Signore,
gli orecchi mi hai aperto.
Non hai chiesto olocausto e vittime per la colpa.
Allora ho detto: "Ecco, io vengo.

Sul rotolo del libro, di me è scritto
di compiere il tuo volere.
Mio Dio, questo io desidero,
la tua legge è nel profondo del mio cuore.

Ho annunziato la tua giustizia
nella grande assemblea;
vedi, non tengo chiuse le labbra,
Signore, tu lo sai.

Ecco, io vengo, Signore,
per fare la tua volontà.

Esultino e gioiscano in te quanti ti cercano,
dicano sempre: "Il Signore è grande"
quelli che bramano la tua salvezza.»

Rifletto.
Qui, sulle rive del lago ormai immerso nella precoce notte invernale, mentre la neve ricomincia a cadere e lo strato di ghiaccio scricchiola sotto le scarpe, mi risuonano quelle parole decisive: «Sul rotolo del libro, di me è scritto / di compiere il tuo volere.»
Il libro della nostra vita è già stato rilegato, le pagine bianche attendono la nostra decisione: se essere fedeli alla chiamata, oppure no. Questa solo, in fondo, è la cosa importante: se siamo disposti a compiere non il nostro volere, ebbri di orgoglio e presunzione, ma un volere di esso assai più grande: un volere che coincide con l'ordine cosmico. Milioni di esseri viventi che dicono «sì» alla chiamata, che rispondono affermativamente alla chiamata, fanno sì che l'universo conservi la sua armonia, il suo equilibrio: sorreggono l'axis mundi, preservano l'Albero Cosmico.
E qui, sulle rive del lago rannicchiato fra le montagne, penso a quelle antiche genti che tremila o cinquemila anni fa popolavano questi luoghi, lavoravano la selce, adoravano la divinità non nel chiuso di templi, ma all'aperto, presso le sorgenti limpidissime dei fiumi, come questa che sgorga dai fianchi della parete rocciosa. Fino a 12.000 anni fa, un enorme ghiacciaio - spesso fino a settecento metri - copriva questa valle e scendeva fino ai margini della pianura; poi, quand'esso cominciò a sciogliersi, piccoli nuclei di cacciatori si insediarono qua e là, inseguendo il cervo e il bisonte, lottando talvolta con l'orso.
Ma, per loro come per noi, che ingenuamente ci denominiamo «moderni» sono perché siamo (per ora) gli ultimi arrivati in ordine dei tempo, ma che un giorno diverremo antichi a nostra volta, la domanda fondamentale era ed è sempre la stessa: siamo capaci di rispondere affermativamente alla chiamata, di uniformare il nostro volere al volere più grande; siamo capaci di fedeltà al nostro nome, scritto sul rotolo del libro della vita fin da prima che noi nascessimo, fin da prima che il mondo fosse?
La questione è tutta qui.
La tecnica non è che un accessorio: quei nostri predecessori avevano elaborato la tecnologia litica, per costruire strumenti di lavoro e armi da caccia; noi abbiamo elaborato la tecnologia della fisica nucleare, dell'ingegneria genetica e dei calcolatori elettronici: ma tutto ciò non riguarda che le forme esteriori della nostra vita. Si tratta di dettagli, dei quali a torto meniamo un così gran vanto: l'essenziale non si esprime attraverso la tecnica.
Da quando l'uomo esiste, la grande questione che lo riguarda è quella di sapere se egli  è disposto a usare la propria libertà per farsi docile strumento di un progetto di armonia universale, che lo completa e, al tempo stesso, lo trascende; oppure per affermare il propri piccolo io a dispetto di tutto e di tutti, per inseguire i fantasmi delle proprie paure e dei propri piaceri, senza alcun riguardo al libro della vita che reca anche il suo nome.
Quasi tutta la filosofia moderna vorrebbe persuaderci che non esiste alcun libro, che il nostro nome non è mai stato scritto prima che noi nascessimo; e che esso cadrà ugualmente nel nulla, dopo che avremo concluso i nostri giorni terreni, come un nome scritto sulla sabbia e poi cancellato dalle onde del mare. E, in nome di questa filosofia da disperati, ciascuno si ritiene autorizzato a inseguire il regno della quantità, per esorcizzare il proprio terrore del gran nulla: ad accumulare il massimo di potere, di denaro e di godimento fisico, quasi a prendersi una rivincita anticipata sulla sconfitta totale che, irrevocabilmente, ci attende alla fine del viaggio.
Una visione distorta della scienza, della sua natura, dei suoi scopi, ha rafforzato tale filosofia della disperazione e l'ha eretta a sistema: un sistema del quale ci sentiamo sempre più prigionieri e dal quale vorremmo uscire, ma senza trovare la forza per farlo.
Eppure, né la scienza né la tecnica, di per sé, costituiscono un ostacolo al recupero di una visione spirituale della vita, cui gli uomini hanno creduto per migliaia d'anni e che ha sempre custodito l'ordine del mondo, in senso morale non meno che in senso materiale. Infatti, un corretto rapporto fra tutti gli esseri viventi non può essere che il riflesso del corretto rapporto dell'anima con se stessa e con il proprio principio e la propria meta ultima: l'Essere che dona vita alle cose e che le attira nuovamente a sé, obbligandole a trascendersi continuamente.
Ha scritto molto giustamente M. Scott Peck nel suo libro «Voglia di bene» (titolo originale«The Road Less Traveled», 1978; traduzione italiana di Franca Castellenghi Piazza, Varese, Frassinelli Editore, 1985, pp. 269-270):

«Il fatto di vivere in un'era dominata dalla scienza, se per certi versi ci aiuta per altri contribuisce a sgomentarci. Noi crediamo nelle leggi meccaniche dell'universo, non nei miracoli. La scienza ci ha appreso che la terra su cui viviamo non è che il pianeta di una singola stella perduta nella vastità infinita della galassia, e che noi siamo determinati e governati da forze esterne alla nostra volontà - da molecole chimiche nel nostro cervello e da conflitti nel nostro inconscio che ci costringono a comportarci  in un certo modo senza neppure sapere quel che facciamo. Queste informazioni della scienza che hanno sostituito i nostri antichi miti, ci fanno sentire penosamente impotenti e insignificanti. Che significato possiamo infatti avere, come individui o come specie,  dominati come siamo da forze interne chimiche e psicologiche  che non comprendiamo, perduti in un universi così grande che neppure la scienza riesce a misurarne la vastità?
Tuttavia è proprio la scienza che in qualche modo ci aiuta a percepire  la realtà del fenomeno della grazia., consentendoci di trascendere il concetto di noi stessi quali esseri privi di significato. Infatti l'esistenza di una forza esterna alla nostra volontà cosciente  che favorisce e stimola la nostra crescita spirituale sovverte completamente tale concetto. L'esistenza di questa forza dimostra al di là di ogni dubbio che la nostra crescita spirituale e la nostra evoluzione stanno estremamente a cuore a qualcuno o qualcuno o qualcosa più grande di noi. A questo qualcuno o qualcosa noi diamo il nome di Dio. L'esistenza della grazia prova dunque non soltanto l'esistenza di Dio ma anche che Dio vuole e incoraggia la crescita dello spirito umano. Noi siamo in realtà la pupilla dei Suoi occhi, il centro del Suo interesse. È probabile che l'universo quale noi lo conosciamo non sia che una pietra gettata sul guado che conduce al Regno di Dio. Ma in questo universo infinito noi non siamo abbandonati e dimenticatoi. La realtà della grazia ci dimostra che ne siamo precisamente il cento Il tempo e lo spazio esistono perché noi possiamo muoverci nell'universo.»

E non si tratta di ingenuo antropocentrismo, perché la stessa riflessione vale, oltre che per gli esseri umani, per tutti gli altri enti che si muovono nella sfera del finito, ma che aspirano a conquistare la propria libertà morale, onde poter rispondere affermativamente alla chiamata.
In altri termini, ogni creatura si trova al centro dell'universo: e, di conseguenza, l'universo non ha un centro, ma ne ha infiniti: tanti quanti sono gli esseri.
Noi siamo parte di questo flusso cosmico: immersi da un lato nella corrente dello spazio e del tempo, protesi dall'altro verso l'eterno e verso l'infinito. Ai quali non si può accedere continuando a ripetere: «io, io, io»; ma imparando a dire, semplicemente: «Tu».