Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Cantimori. Fra Ribbentrop e Molotov

Cantimori. Fra Ribbentrop e Molotov

di Leopoldo Fabiani - 27/12/2008

      
 
Leopoldo Fabiani ripercorre la complessa militanza politica del grande storico alla luce del libro Cantimori e il libro mai edito, in cui Paolo Simoncelli ricostruisce la vicenda della Storia del Movimento nazionalsocialista dal ‘19 al ‘33 scritta da Delio Cantimori fra il 1939 e il 1941 e mai pubblicata.
Dopo aver aderito al fascismo negli anni ‘20, intorno al 1939 Cantimori passò alla causa comunista per poi uscire dalle fila del Pci dopo l’invasione di Budapest nel 1956. Nel saggio sul nazismo Cantimori aveva messo in evidenza i punti di contatto fra la sinistra nazionalsocialista e i movimenti nazionalbolscevichi prefigurando come non innaturale il patto Ribbentrop-Molotov del ‘39, ma la successiva invasione dell’Urss nel 1941 da parte dei nazisti lo aveva convinto, secondo Simoncelli, a non pubblicare il libro.


Un libro “perduto”, ora ritrovato. Un autore che preme per mettersi all’opera e poi fa di tutto perché la sua fatica non veda le stampe. Un’immersione pericolosa nelle ribollenti ideologie totalitarie del Novecento che ha anche l’ambizione di essere una raffinata operazione politica. Lo specchio della vita di un intellettuale segnata da scelte tormentate e ripensamenti dolorosi. Tutto questo si trova nella vicenda del volume mai pubblicato da Delio Cantimori, il grande storico autore del fondamentale studio sugli Eretici italiani del Cinquecento, il maestro che nel dopoguerra era stato definito «il patriarca della storiografia marxista». Nel 1939, su committenza di Gioacchino Volpe, si era assunto il compito di produrre una Storia del Movimento nazionalsocialista dal ‘19 al ‘33, che avrebbe dovuto essere pubblicata dall’Ispi (Istituto di studi sulla politica internazionale) ma che, appunto, era andata perduta. Ora Paolo Simoncelli, professore di Storia moderna alla Sapienza di Roma, ha ritrovato il volume, anzi per meglio dire, ne ha ritrovato due grossi tronconi, uno manoscritto e l’altro dattiloscritto, e ha dedicato a questa scoperta un saggio, Cantimori e il libro mai edito, [...] che ripercorre, con un attentissimo lavoro di ricostruzione delle fonti, la storia e il contenuto del testo “perduto”, svelando parecchi particolari sorprendenti e rivelatori del tormentato percorso intellettuale e politico di Cantimori fra le ideologie totalitarie del ’900. Il suo passaggio dal
fascismo al comunismo, proprio verso la fine degli anni ‘30, la milizia nel Pci, da cui uscì nel ‘56, sono stati al centro di polemiche lontane e recenti: Cantimori è stato dipinto come uno dei tanti “voltagabbana” che si sono messi al sicuro alla fine del regime fascista gettandosi nelle braccia dei comunisti; oppure la cultura di sinistra è stata accusata di nascondere i trascorsi fascisti dei suoi intellettuali più prestigiosi; o ancora gli allievi dello storico di volerne fare “un santino”. Ma il caso di Cantimori è particolarmente complesso e il ritrovamento del volume “perduto” sta lì a dimostrarlo, per le vicende curiose del testo e per il suo particolare contenuto.
Già la questione della committenza del libro è piuttosto singolare: lo storico romagnolo [...] rivendica in una lettera a Gioacchino Volpe i suoi meriti di studioso del nazionalsocialismo, ricorda di averne scritto fin dal 1928, di aver tradotto testi di Carl Schmitt, di aver curato la voce “Nazionalsocialismo” nel Dizionario di politica pubblicato dal Partito fascista. Cantimori nel ‘39, grazie alla moglie Emma, comunista e attiva nella rete illegale del “Soccorso Rosso”, sta passando o è già passato al comunismo ed è comunque in contatto con l’apparato clandestino del Pci. Ma non si tira indietro dinanzi al compito di scrivere sul
nazismo, al contrario, elenca le sue benemerenze, a mostrare quanto ci tenga. Altra sorpresa, due anni dopo quando alla fine del ‘41 lo studioso consegna l’opera all’editore. Con il pretesto di un contrasto sulle traduzioni dal tedesco di alcuni documenti (si tratta di un lavoro destinato alle scuole e alle università, in una collana di raccolte di documenti introdotte e commentate) ostacola, ritarda, impedisce la pubblicazione del libro. Poi la guerra farà il resto.
Come si spiega questo cambiamento? Per trovare una risposta bisogna vedere da vicino il taglio tutto particolare con cui lo storico romagnolo ha affrontato la storia del nazionalsocialismo. E cioè la grande attenzione portata alle correnti della sinistra nazionalsocialista, alle convergenze di questa con i movimenti nazionalbolscevichi, alle leghe, ai corpi franchi, a tutto quel ribollire di forze rivoluzionarie di destra e di sinistra che nella Germania degli anni ‘20 si combattevano duramente ma avevano in comune non pochi avversari: la
Repubblica di Weimar [...], la pace di Versailles, il parlamentarismo, il liberalismo, la società borghese, la proprietà privata. Cantimori, che conosceva benissimo la lingua tedesca, aveva vissuto in Germania tra il 1927 e il 1928, e, da giovane fascista di sinistra, aveva subito la fascinazione di quei movimenti violenti, di quel magma politico incandescente che prometteva di dar vita a un mondo nuovo, e da cui invece sarebbe scaturito il regime nazista. Ma ora, all’inizio degli anni ‘40 la situazione era del tutto diversa e l’insistenza sui tratti comuni tra il nazionalsocialismo “movimentista” e il “nazionalbolscevismo” prendeva tutto un altro significato. «Quando Cantimori si assume l’onere di scrivere il libro» dice Simoncelli «il patto Ribbentrop-Molotov sancisce l’alleanza tra Terzo Reich e Unione Sovietica. Due anni dopo, quando lo consegna, Hitler ha dato il via all’invasione della Russia. Possiamo ipotizzare allora, che l’intento iniziale dello storico fosse quello di mostrare come quell’alleanza diplomatica e militare non fosse poi troppo “innaturale” e che invece non mancavano i punti di contatto tra le ideologie che ispiravano i due regimi. Operazione che alla fine del 1941 non aveva più senso, ed ecco allora che si spiega perché Cantimori colse al volo il primo pretesto possibile per mandare tutto a monte».
Ma l’insistenza di Cantimori sui tratti rivoluzionari del nazionalscocialismo, così come su quelli del fascismo, non è limitata al libro “perduto” e percorre anche tutti i sui scritti sulla Germania degli anni ‘30. «Non c’è dubbio» aggiunge Simoncelli «che Cantimori preferisse di gran lunga il momento “movimentista” a quello della cristallizzazione in regime. Non gli piace il Fascismo che firma i Patti Lateranensi, non ama l’Hitler divenuto cancelliere, ha simpatie trotzkiste, persino nei suoi studi di storia religiosa preferisce gli eretici a
Lutero che riporta tutto all’ordine. Perciò nel suo itinerario dal fascismo al comunismo, io non vedo una scelta opportunista, ma una certa coerenza». [...]
Tra coloro che erano stati giovani negli anni Venti e Trenta del ‘900, Cantimori non fu certo il solo a cadere in quell’errore. A pensare che il crollo catastrofico dei regimi parlamentari (in Italia, in Germania, in Spagna), la loro debolezza (in Francia e Gran Bretagna) di fronte ai totalitarismi fosse irrimediabile. Non una fase critica della loro storia, suscettibile di riscatto, ma la fine definitiva di un intero mondo, la vecchia Europa borghese, materialista, esangue e mediocre. E che la “rivoluzione” con i suoi sconvolgimenti avrebbe generato un mondo nuovo, rivitalizzato da energie fresche.
Ma, a differenza di tanti altri, lo storico ammise i suoi errori, in pubblico e a se stesso, in un’autoanalisi perfino spietata. In un ricordo di Federico Chabod, il grande storico liberale e antifascista, aveva scritto: «Nell’anno in cui
Chabod aiutava Salvemini a passare clandestinamente il confine, io mi iscrivevo al partito fascista, immaginando che questo avrebbe fatto la rivoluzione repubblicana, sindacale, nazionale di Corridoni e di Mazzini». Nel 1956, dopo il XX congresso del Pcus, aveva deciso di non rinnovare la tessera del Pci. Una delusione dalla quale gli fu difficile riprendersi. Ne derivò, ha scritto Gennaro Sasso «un senso di amarezza e anche di fallimento che Cantimori di lì in poi provò per il resto della sua vita». Come testimonia un appunto privato di quel periodo: «I miei grandi sbagli: Credere di capire qualcosa di politica; Credere che i fascisti la rivoluzione l’avrebbero fatta loro; Saltare fra i comunisti. Iscrivermi al Pci. Lasciare i miei studi per tradurre Marx ecc. Ritirarsi nei propri studi, l’unico rimedio. Finire pulitamente una vita disordinata e polverosa».

Paolo Simoncelli, Cantimori e il libro mai edito, Firenze, Le Lettere, 2008, pp. 154, € 18.