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Conchiglie, parchi e... porci

di Giancarlo Tarozzi - 02/01/2009

 

Vi proponiamo una nuova tappa del viaggio in Tanzania. Lasicata Pemba ci spostiamo nell'isola di Misali. Qui scopriremo come ancora una volta i turisti occidentali si ammantino di grande ipocrisia ambientalista per poi restare assolutamente indifferenti di fronte a piccoli e grandi gesti di sfegio inferti al territorio.

 


Al largo dell'isola di Pemba sorge l'isola di Misali, un paradiso incontaminato che il governo della Tanzania, dichiaratamente aperto sostenitore delle cause ambientali, ha stabilito da tempo come parco naturale marino assolutamente protetto.

 

Appena si scende dalla barca, si viene accolti da Ranger che illustrano le bellezze di questo atollo, la grande varietà di animali che si possono incontrare e i luoghi in cui nidificano di notte le tartarughe. In coda alla sua spiegazione ci invita ripetutamente a non toccare nulla ma soprattutto a non asportare niente dall'isola.

E infatti, è veramente stupendo, una volta tanto, poter passeggiare sulla spiaggia bianchissima e vedere per terra, sulla sabbia, conchiglie meravigliose che sono lì proprio perché nessuno ancora le ha trasportate in qualche mercatino attraverso il quale queste generalmente finiscono poi con l’ammuffire sulle mensole di persone che ritengono, portandole con sé, di "amarle".

È veramente un'isola di sogno, sulla quale è vietato fermarsi oltre il tramonto per permettere alle tartarughe di uscire dall'acqua e depositare le loro uova.

Ma ancora una volta... la natura umana non si smentisce.

Giunto il momento di rientrare, un barcaiolo ci ha mostrato due meravigliose conchiglie bianche, molto grosse, perfette. Subito dopo, la ha messi sulla barca invitandoci a salire per partire.

Seguendo alla lettera i dettami del parco, ho preso queste due conchiglie e le ho rimesse in mare

Il barcaiolo é risceso dalla barca, e le ha immediatamente “riraccolte”. Alle mie rimostranze, mi ha detto che i ranger l'avevano autorizzato a farlo.

Il giorno successivo sono andato a denunciare l'episodio alla polizia locale che ha proprio il compito di difendere l'ambiente.

L'aspetto più triste di questa situazione è però un altro. Sulla barca, oltre a me, c'erano altre quattro persone, turisti dalla “pelle bianca”. Tutte persone che nel viaggio di andata si proclamavano in modi diversi amanti dell'ambiente. Un americano dal look "fricchettone" che con i suoi discorsi sembrava estremamente impegnato nella protezione delle realtà ambientali locali, una persona che addirittura indossava una maglietta di Greenpeace, e così via. Ma in quel momento i loro commenti sono stati: "a che cosa serve, cosa vuoi farci, tanto è inutile."

Oppure ancora "intanto sono tutti d'accordo, non serve a niente".

 


Mi sono sentito profondamente deluso e ferito da queste persone che dovrebbero avere risorse economiche e culturali diverse dai locali e che dovrebbero permettergli di comprendere che due conchiglie prese da ognuna delle barche che ogni giorno va all'isola significa, nell'arco di due o tre anni, perpetrare anche quest'isola lo scempio che ha colpito i litorali di tutto il mondo. Una caso fra tutti, quello dell’italianissima isola Budelli in Sardegna.

 

Ebbene, tutto questo non sembrava turbare nessuno.

Un attimo dopo, infatti, erano tutti lì a sentirsi "turisti responsabili" nel farsi insegnare dall'equipaggio qualche parola di lingua Swahili.

Ho provato dentro un profondo senso di sconforto e, come ormai troppo spesso mi accade, di vergogna per il fatto di appartenere alla razza umana.