Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Operazioni speciali al tempo della cavalleria

Operazioni speciali al tempo della cavalleria

di Stefano Malatesta - 02/01/2009




Un saggio racconta l´epopea cavalleresca nel Medioevo. Guerriglie, brigantaggio, tradimenti e anche "operazioni speciali"
Un filone di studi iniziato dallo storico olandese Johan Huizinga
Si racconta di uomini che strisciano a terra e tagliano gole
Le cronache arabe li descrivono temerari e irriducibili
I francesi erano considerati i migliori d´Europa

Nei romanzi cavallereschi i nobili cavalieri medievali, catafratti e impiumati, si battono sempre splendidamente nei tornei, ammirati dalle dame di cui portano i colori con nastri particolari legati al braccio. E dopo aver smontato da cavallo, a corte, dimostreranno cortesia, gentilezza e una vena delicata e poetica di galanteria, copiata dai testi dei troubadores, stanziali in ogni casa principesca che finanziava i tornei.
Ma nelle battaglie reali, su un autentico terreno di scontro, la cavalleria francese, considerata la migliore d´Europa, durante tutto il Medioevo riuscì a collezionare una serie impressionante di sconfitte, da Crecy, a Poitiers, a Agincourt. Questa tendenza manifesta, in qualche modo simile a quella dei soldati tedeschi moderni, sempre accreditati come i primi della classe, che in questo secolo hanno regolarmente perso le guerre che credevano di vincere con i blitz krieg, non era dovuta a mancanza di coraggio. La loro audacia era sempre spinta all´estremo e se mai poteva suscitare perplessità quella furia improvvisa che li scuoteva, facendo vibrare le armature.
Le cronache arabe del tempo dei crociati hanno descritto i Franchi come guerrieri temerari e irriducibili, adoperando espressioni molto lusinghiere. E il grande curdo Salah ad-Din (il Saladino) una volta chiese ad un suo prigioniero, Ugo conte di Tiberiade, famoso tra i mussulmani per la sua combattività, quale fosse il rituale attraverso il quale si diventava cavalieri cristiani: secondo lui il cavaliere doveva avere qualcosa di magico perché infondeva un entusiasmo portato a un tale grado che a volte sembrava pazzia.
La cavalleria aveva subito incredibili debacles quando ci si aspettava una sua folgorante vittoria, perché la forza e il coraggio dei singoli non si sommavano, come avveniva nelle imbattibili armate mongole. I cavalieri europei avevano una tale tendenza allo scontro individuale, a singolar tenzone, appreso nei tornei, che non si preoccupavano minimamente di far riferimento ad un piano tattico comune. Una debolezza aggravata dalla supponenza e dall´alterigia assai poco cristiane, che facevano di loro dei militari riottosi a cooperare in uno scontro manovrato. E quando questo avveniva, era sempre tra una indescrivibile confusione, una cronica non collaborazione e una diffusa noncuranza per gli ordini ricevuti.
Il caso limite arrivò ad Agincourt nel 1422 quando i francesi, dopo aver tagliato la strada agli inglesi in fuga verso Calais, avevano mandato in avanti una prima linea tutta parata e che faceva caracollare i cavalli senza rispettare nessun ordine, altisonante di titoli e di celebrità guerresche. Ma il luogo dello scontro era stato scelto malissimo, i cavalli affondarono subito nel fango e quando arrivarono di rincalzo la seconda e la terza linea, gli elegantissimi squadroni, finiti gli uni su gli altri, si erano trasformati in un immane groviglio da cui era impossibile districarsi. Intanto la prima linea inglese costituita da cavalieri, dopo aver sostenuto un primo urto, si era fatta indietro lasciando avanzare gli arcieri di sua maestà, che diedero mano, con la precisione che li distingueva, ai loro lunghi archi di legno.
Non fu una battaglia, fu un´esecuzione. Quelli tra i francesi che morirono sotto le frecce furono i più fortunati, perché i superstiti, bloccati nella prigione delle loro armature, vennero raggiunti dai fanti arrivati strisciando sul fango e che dopo aver alzato la gorgiera, gli tagliarono la gola.
Con tutti i suoi difetti, la cavalleria continuerà ad essere la forza dominante almeno fino all´arrivo dei lanzichenecchi o dei tercios spagnoli. Ma le battaglie campali combattute con la lancia in resta non erano mai decisive e rappresentavano solo una parte delle guerre endemiche e senza fine del Medio Evo, costituite da guerriglia, brigantaggio, devastazioni di campagne, spedizioni punitive, saccheggi e quelle che sono state poi chiamate "operazioni speciali", una pezza a colori per nascondere assassini, rapimenti e tradimenti. La perfidia implicita in queste operazioni speciali faceva dei paesi asiatici il loro regno abituale (secondo una storiografia malevola che risale ai greci antichi e di cui non ci siamo mai liberati). Anche i mongoli avevano contribuito più di ogni altra forza armata a trasformare la guerra in una serie di trappole, comunicanti tra loro, dove in fon do, ad attendere il nemico, c´era solo la camera della morte, come per la pesca del tonno.
Le cronache della lotta politica in Europa, terra dei cavalieri "sans tache ni reproche", sono sinistramente allietate da ammazzamenti e efferatezze da competere con quelli dei paesi orientali. Con gli ebrei, i mussulmani e gli eretici o supposti tali, i paesi cosiddetti cristiani sono stati di una spietatezza che non ha mai trovato riscontro altrove. Basta ricordare due nomi, la notte di San Bartolomeo e il massacro degli ugonotti e l´infame crociata contro gli albigesi. Eppure in un libro uscito di recente: Operazioni speciali al tempo della cavalleria (Libreria editrice goriziana, pagg. 284, euro 24) si sostiene la tesi che i codici della cavalleria e il fair play insito nel comportamento cavalleresco avrebbero impedito che gli assassini arrivassero ai vertici supremi degli Stati, salvando principi e monarchi, protetti da una sorta di tabù. La relativa stabilità della politica feudale in paesi come la Francia deriverebbe da questa riserva a non andare troppo in alto con le infamie. E dall´assenza di sette clandestine, non si capisce ancora bene se eversive o semplicemente diaboliche come quelle celebri degli Assassini, mandati dal grande vecchio della montagna, Hassan i?Sabath dalla fortezza di Alamut, nella Persia settentrionale, ad uccidere califfi, governatori e gran visir, spargendo il terrore in tutto il Medio Oriente. Mentre l´Italia, paese meno legato all´etica e alla mistica della cavalleria e fin dall´inizio proiettata, con i suoi comuni, alla formazione di una classe mercantile, interessata più a inventare la cambiale che a partecipare ai tornei, con corti estetizzanti e signori protettori degli artisti, che abitavano meravigliosi palazzi dove il veleno era un metodo assai diffuso di soluzione dei problemi e dove ti attendeva un sicario dietro ogni colonna, avrebbe pagato cara, con una turbolenza endemica la sua propensione ad ammirare i Borgia.
Operazioni Speciali è stato scritto da un giovane studioso israeliano, Yuval Noah Harari, che sembra seguire uno dei due filoni in cui si è divisa la storiografia sulla Cavalleria fin dai tempi dell´uscita del famoso e bellissimo Autunno del Medio Evo, di Johan Huizinga. Il grande storico olandese aveva visto nell´eccesso di apparato, verbale e scenografico, delle corti medievali, una grandiosa e alla fine ripetitiva messa in scena teatrale per nascondere una realtà in cui quei paladini infiocchettati e complimentosi con le dame, erano gli stessi che taglieggiavano e stupravano durante le loro feroci campagne. La posizione di Huizinga, accettata dalla maggioranza degli storici, è stata messa in dubbio di recente da uno dei più noti e dei più brillanti studiosi inglesi del medioevo, Maurice Keen. Senza negare l´importanza della letteratura nelle creazione del mito della cavalleria, Keen ha cercato di portare le prove che quella società raccontata dai romanzi, che sosteneva i valori di cortesia, di gentilezza, molto consapevole dei valori che rappresentava - non era poi così lontana dalla realtà storica.
Harari sembrerebbe pendere più da questa parte. Dico sembrerebbe perché molti degli episodi riportati nel libro, immagino per illustrare meglio la sua posizione, una serie straordinaria di vere avventure sceneggiate con abilità, danno l´impressione, alla fine, di convalidare la tesi contraria. Il più significativo ha avuto come protagonista Goffredo de Charny, il prototipo dei cavalieri francesi e autore di un famoso codice della cavalleria. Rendendosi conto di non avere truppe regolari sufficienti per dar l´assalto a Calais, conquistata dagli inglesi qualche anno prima, per restituirla al suo signore, il re di Francia, de Charny individua il punto debole del nemico nell´avidità di uno dei più importanti comandanti di Calais, responsabile della torre che dava sul porto: un italiano naturalmente, il lombardo Aimerico e gli fa offrire ventimila scudi per aprire le grate ad un gruppo scelto di francesi, che avrebbero fatto irruzione, impadronendosi della fortezza e poi della città. L´accordo viene concluso, ma le trame di Aimerico sono subito scoperte e sarebbe messo a morte se non accettasse di fare il doppio gioco, fingendo di essere ancora dalla parte dei francesi. Quando il gruppo scelto, entrato nella torre, tenta di passare per le stanze del corpo di guardia, viene circondato dagli armigeri inglesi e lo stesso de Charny rimane ferito.
Qualche anno più tardi, liberato e tornato in Francia, de Charny viene a sapere che Aimerico è diventato governatore di una cittadina non lontana da dove in quel momento si trovava. Immediatamente organizza una spedizione per catturarlo e Aimerico, un mese dopo, sarà portato in una piazza di un paese francese, torturato e giustiziato davanti a tutta la popolazione, con una procedura così crudele, che solo i turchi avranno la sinistra fantasia di superarla in patimenti. Una vicenda esemplare di una società che sarà stata anche cristiana di nome, ma che raramente conosceva il perdono.