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Le ossa di Dante, il cuore di Voltaire e ora il cranio di Cartesio

di Armando Torno - 03/01/2009

 

Il culto delle reliquie non è prerogativa delle religioni, anche la ragione filosofica e le passioni letterarie hanno le loro. Se a Bijapur, nel Deccan, si venera un pelo della barba di Maometto, Gabriele d'Annunzio si inginocchiò dinanzi alla teca contenente i capelli di Lucrezia Borgia alla Biblioteca Ambrosiana di Milano (Lord Byron, invece, ne rubò uno). Se gli antichi Egizi avevano i quattordici brani del corpo di Osiride disseminati lungo le sponde del Nilo dall'uccisore Seth, la Chiesa Cattolica ha gestito magistralmente le reliquie diffondendo il culto dei santi e i santuari. Chi scrive deve a Josif Brodskij — Venezia, dicembre 1989 — un racconto sulla tomba di Kant. Confidò con un sorriso che una leggenda metropolitana parlava di una visita di Breznev a Kaliningrad (l'antica Königsberg), dove notò i resti della cattedrale. Il premier sovietico chiese perché si conservasse quel rudere. Gli risposero che custodiva, appunto, la tomba di Kant. E lui: «Chi era Kant?». L'accompagnatore fu svelto: «Un maestro di Marx». Subito il segretario del Pcus ordinò grandi restauri.
Per questo non ci meraviglia che la scuola militare Prytanée chieda adesso il cranio di Descartes (il nostro Cartesio), suo antico allievo, conservato al Museo dell'Uomo di Parigi tra un busto di cavernicolo e quello di un ex calciatore. Adrien Baillet nella sua Vita di Monsieur Descartes (tradotta da Adelphi) ricorda che era piccolo, pallido, perennemente afflitto da una tosse secca e che nelle ultime ore — si trovava a Stoccolma — ordinò al domestico Schluter «di andargli a preparare dei piccoli pani, convinto che li avrebbe mangiati di buon grado, nel timore che gli si restringessero le budella se avesse continuato a prendere solo brodi e non avesse fatto lavorare stomaco e visceri ». Fatica inutile, giacché nelle prime ore dell'11 febbraio 1650 «le orazioni non erano ancora ultimate che Descartes rese l'anima al suo Creatore». Gli svedesi, dopo le esequie, ne trafugarono la testa, che arriverà a Parigi soltanto nel 1882; il corpo, invece, la precederà di due secoli abbondanti: la salma mozzata giunge nel 1666 e posta nella chiesa di Sainte-Geneviève du Mont (sarà trasportata a Saint-Germain des Près il 26 febbraio 1819).
Ma Descartes è uno dei tanti. Il culto della reliquie della ragione colpisce anche il laicissimo Voltaire. Quando morì, il 30 maggio 1778, si trovava a Parigi, nella casa di rue de Beaume; l'autorità religiosa aveva fatto sapere da tempo di proibire la sua sepoltura in terra consacrata. La nipote, mademoiselle Denis, che aveva una tresca con un prelato, la notte del 31 maggio fece partire un tiro a sei con il cadavere dello zio vestito come se fosse vivo, con accanto un servitore. Mentre il corpo andava in cerca di una tomba, cuore e cervello restavano a Parigi: si conserveranno rispettivamente alla Biblioteca Nazionale di Francia e alla Comédie Française. Ci vorrà la rivoluzione per far tornare nella capitale la salma, tumulata al Panthéon il 12 luglio 1791.
Ma quel che più induce a riflettere è l'accanimento su certi resti considerati simbolo di genialità. Si desidera conoscere il Dna di Galileo; periodicamente si scopre il cranio di Mozart (fu sepolto in una fossa comune...) e siamo sommersi da deduzioni; ora si punta su quel che si presume di Leonardo, le cui ossa furono disperse al tempo della Rivoluzione Francese. Quando, dopo incredibili avventure, si traslò la salma di Ugo Foscolo dal cimitero di Chiswick alla chiesa di santa Croce di Firenze, si aprì la bara per scattare fotografie più che per verificare lo stato dei resti. D'altra parte — chi scrive deve il racconto a Riccardo Muti — allorché si posero le ossa di Dante in una nuova cassa, in pieno Novecento, l'incaricato del Comune di Ravenna chiamò i suoi figli e, dopo aver toccato le reliquie, frizionò loro la testa, sperando di «trasmettere qualcosa».
Il culto è stato anche istituzionalizzato. A Mosca, dopo la morte di Lenin, si fondò un vero e proprio centro per lo studio del cervello dei morti, l'Istituto Obuch. Dopo aver esaminato quello dello stesso Lenin, toccò allo scrittore comunista Henri Barbusse (si spense nella capitale sovietica nel 1935): si prelevò il cervello e il resto fu cremato e sepolto sotto le mura del Cremlino. L'onore raggiunse anche Maksim Gor'kij: nel 1936 gli tolsero la materia grigia, gliela affettarono in parti sottilissime e la esaminarono al microscopio. Come d'abitudine. Per questo non si può che condividere quanto si legge sulla tomba di William Shakespeare (chissà se essa conserva veramente i suoi resti...) nella chiesa di Stratford: «Buon amico/ per amor di Cristo/ non cavar fuori/ la polvere qui racchiusa!/ Benedetto chi rispetta queste pietre/ e maledetto chi rimuove le mie ossa».
Cartesio (1596-1650) Voltaire (1694-1778) Immanuel Kant (1724-1804) Leonardo da Vinci (1452-1519) Dante Alighieri (1265-1321) William Shakespeare (1564-1616)