Come nasce l'universo? Le risposte delle tradizioni religiose indiane
di Desirée Nocentini - 08/01/2009
Il tempo dell'uomo é anche il tempo di una domanda: come nasce l'universo? I miti della
creazione sono nati proprio per rispondere a questa ed altre domande.
Un mito é un racconto archetipico che permette di capire il significato della creazione
attraverso i simboli, molto utili in un tempo in cui il linguaggio astratto dei concetti non era
ben sviluppato. Tutte le culture hanno prodotto miti e questo dato universale ci dice che essi,
nonostante la differenza di contenuti, appartengono alla costituzione stessa dell'uomo,
nascono con lui.
Le creazioni induiste
Nel corso della sua storia la tradizione induista ha sviluppato vari miti della creazione, i più
antichi dei quali sono riportati nel Ṛgveda. Tra questi inni cosmogonici spicca il Puruṣasukta
[Ṛ̣
gveda; X, 90], dove la creazione é vista come il risultato del sacrificio del Purusa per mano
degli dei da lui stesso creati.
Il Puruṣa é ingenerato e imperituro, dalla sua bocca nacquero Indra e Agni, dal suo respiro ilvento,dagli occhi il sole, dalla mente la luna,dall'ombelico l'atmosfera, dalla testa il cielo e dai
piedi la terra. Il mito racconta poi che soltanto un quarto del purusa é andato a formare il
mondo da noi conosciuto, mentre i restanti tre quarti si sono elevati ad un'immortalità celeste;
si ha quindi una concezione panteistica della creazione poiché tutto ciò che esiste deriva
dall'essere originario.
L'importanza del mito del Purusa é dovuta anche alle implicazioni sociali che esso comporta.
In un passo dell'inno si legge infatti: " La sua bocca divenne un brahmano, le sue braccia un
guerriero,le sue cosce un vaiśya e dai piedi nacque lo śūdra"; questi versi non sono altro chela base sacra usata dai brahmani per consolidare il sistema castale indiano, ovvero
l'estremizzazione della struttura sociale che un tempo caratterizzava gli Ari.
Il mito del Purusa é ripreso successivamente nella Bṛhadāraṇyaka Upanisad [ I adhyāya, IVbrāhmana] : "In principio l'universo era il solo Ātman in forma di Purusa. Guardandosiattorno non vide nulla all'infuori di sé.[...] Egli non provava gioia;allora desiderò un secondo.
Egli si divise in due e quindi sorsero il marito e la moglie.[...] Egli si congiunse con lei e ne
nacque la stirpe umana. La femmina pensò: -Come mai dopo avermi da sé generata si unisce
con me? Bisogna che io mi nasconda -. Diventò vacca, l'altro toro, s'unì con essa e nacquero i
bovini. [...] Così generò tutte le coppie fino alle formiche. Egli fu conscio di ciò: - In verità io
sono la creazione poiché io ho creato tutto questo universo-. Così si realizzò la creazione."
Dalla bocca e dalle mani, l'Ātman produsse il fuoco (Agni), mentre il suo seme divenne ilSoma. L'autore prosegue poi affermando che questa é la supercreazione del Brahman, dandoper scontata l'identità del principio universale con l'
Ātman, sua manifestazione particolare,considerato mortale perché appartenente all'uomo; é proprio per questa sua caratteristica che
l'opera dell'Ātman viene considerata una supercreazione dato che essendo mortale creò glidei, i quali, essendo immortali sono a lui superiori.
Anche nella Taittirīya Upanisad [II vallī, VI anuvāka], si parla dell'Ātman-Brahman comeprincipio creatore che, manifestando il desiderio di generare e moltiplicarsi, "si
sottopose ad ascesi. Compiuta l'ascesi generò questo universo, come esso é; avendolo creato ,entrò in esso; entrato in esso divenne Sat ( l'esistente) e Tyat ( il trascendente)."Il desiderio di riprodursi come motore della creazione é un tema piuttosto comune nei miti
cosmogonici induisti. Esso viene riproposto nella Chāndogya Upanisad [ VI prapāthaka, II-IIIkhanda] in cui si legge: " Al principio questo universo era soltanto l'Essere (Sat), uno, senza
secondo. Esso pensò: - Vorrei riprodurmi!-. E produsse il tejas (calore, ardore). Il tejaspensò:- Vorrei riprodurmi!-. E produsse l'acqua. [...] Le acque pensarono:- Vorremmo
riprodurci!-. E produssero il cibo." Per quanto riguarda le creature invece, il terzo khanda
afferma che esse possono nascere in tre modi diversi, collegati ai tre elementi cosmici
derivanti dal Sat:
•uovo: collegato al tejas poiché il calore fa schiudere le uova
•essere vivente: le creature che nascono vive vengono dal liquido amniotico (di qui ilparallelismo con l'acqua)
•germe: é il caso delle piante, associate al cibo in quanto base della catena alimentareIl testo prosegue domandandosi come sia possibile che alcune persone pensino che dal Non
Essere (Asat) sia nato l'Essere, dando per certo che all'inizio esistesse soltanto quest'ultimo.Ma subito ci imbattiamo in una contraddizione;secondo quanto detto in un altro passo della
stessa Upanisad, "al principio questo universo era Non Essere. Esso divenne l'Essere. Si
sviluppò. Divenne un uovo. Giacque per lo spazio di un anno. Poi si aprì. Le due metà
dell'uovo erano una d'argento, l'altra d'oro. La metà d'argento é questa terra, quella d'oro é il
cielo, la membrana esterna costituisce le montagne, la membrana interna le nubi e la nebbia."
L'idea della creazione come evoluzione dell'esistente dal non esistente é esposta anche nella
Taittirīya Upanisad [II vallī, VII anuvāka] "Al principio questo universo non esisteva; poi daquesta condizione passò all'esistenza, da se solo". Ma non si tratta di una concezione nata con
le Upanisad; questi passi prendono spunto infatti, dall'inno X, 129 del Rgveda:
" Allora non c'era l'inesistente e non c'era l'esistente [...] L'Uno (Eka) respirava, senz'aria, persuo proprio potere. Oltre a Ciò (Tat) non c'era nulla.[...] Questo il quale, venendo in essere,era coperto dal vuoto, questo sorse come Uno attraverso il potere dell'ardore". Il Tat é visto
come qualcosa di inconoscibile al punto che lo stesso controllore (adhyaksha) della creazionepotrebbe non sapere da dove essa é sorta.
Il desiderio riproduttivo e l'ardore ad esso collegato sono trattati anche nel KausītakiBrāhmana: qui l'essere supremo é identificato con Prajāpati 1
(già citato nel RgVeda; X, 121)che volendo avere una prole, praticò un'ascesi profonda generando un calore tale da far
nascere il fuoco, il sole, la luna, il vento e l'aurora.
Un'altro mito, contenuto stavolta nel Śatapatha Brāhmana, narra che all'inizio c'erano solo leacque primordiali che desideravano riprodursi e così, attraverso la preghiera, divennero
abbastanza calde da produrre un uovo d'oro. Dopo un anno l'uovo si schiuse e venne
Prajāpati, il quale restò nel suo guscio un altro anno prima di iniziare a parlare; il suo primosuono divenne la terra, il secondo il cielo e altri le stagioni. Dopo un altro anno Prajāpati sialzò in piedi nel suo guscio e, dando a se stesso il potere della riproduzione, col suo caldo
respiro creò i Deva nel cielo, quindi la luce (diva), e gli Asura insieme alle tenebre della terra.Questo mito tratta due dei temi più ricorrenti nelle cosmogonie di molte culture: le acque
primordiali e l'uovo cosmico. Non é certo un caso. I miti della creazione infatti, si sviluppano
a partire da constatazioni reali, come ad esempio che l'acqua é fonte di vita, e da fatti che
l’uomo può attestare facilmente nella vita quotidiana,come l'idea
dell'uovo primordiale, scaturita sicuramente dall’osservazione degli animali; l'uovo cosmico,comunque, é rappresentato prevalentemente argenteo o aureo, creando un'analogia con la luna
e il sole più che con uccelli e rettili.
La creazione é trattata anche nel primo libro del Mānavadharmaśāstra, meglio conosciuto inOccidente come Codice di Manu, un corpus di testi datati tra il secondo secolo a.C. e ilsecondo d.C., in cui Manu spiega che all'inizio l'universo era informe e ricoperto dall'oscurità;
l'essere originario, lo Svayambhū (colui che é per se stesso), scacciò le tenebre e creò tutte lecose iniziando dalle acque, nelle quali pose un seme che diventò un uovo d’oro, brillante
come il sole. Da quest'uovo egli stesso nacque come Brahma, il progenitore del mondo.
Rimase nell'uovo un altro anno 2 poi, col suo solo pensiero, divise l'uovo in due metà da cuiformò cielo e terra, tra le quali creò la sfera di mezzo, il punto più alto dell'orizzonte e l'eterna
dimora delle acque. Da se stesso generò il Manas (mente), che é sia reale che irreale,l'Ahamkāra (principio di individualità), che ha la funzione di autocoscienza, il Mahat (ilgrande Uno)
, l'Ātman (anima individuale), i cinque organi che percepiscono gli oggetti deisensi, e tutto ciò che é colpito dai tre guna (le qualità), ovvero sattva (luce,virtù), rajas
(attività, passione) e tamas (oscurità, ignoranza). Infine creò tutti gli esseri congiungendoparticelle di questi sei con particelle di se stesso. Come descritto anche nel Purusasukta, lo
Svayambhū creò il brahmano dalla bocca, dalle braccia lo ksatriya, dalla coscia il vaiśya, daipiedi lo śūdra: grazie a questa concezione, il Codice di Manu rende metafisicamentedefinitivo il sistema castale.
Pur non appartenendo alla letteratura religiosa anche l'epica indiana, in particolare la
Bhagavadgītā, contenuta nel sesto libro del Mahābhārata, tratta della creazione affermandoche Krsna é la causa originale di tutte le cose e la forma stessa dell'esistenza eterna. Secondo
quanto detto dallo stesso Krsna ad Arjuna, "la vita di tutte le specie é resa possibile dalla
nascita in questa natura materiale e Io sono il padre che da il seme" [Bhagavadgītā; capitolo14, verso 4]Gli esseri viventi sono il frutto dell'unione della natura spirituale che caratterizza
la Persona Suprema (appellativo dato a Krsna), e la natura materiale. Questi esseri non vivono
soltanto sulla Terra ma anche in tutti gli altri pianeti dell'universo fino a quello dove vive
Brahma; introdotti nell'universo materiale al momento della creazione, gli esseri si
manifestano con un corpo determinato dalle loro azioni passate.
Una novità nelle teorie cosmogoniche fu rappresentata dai Purāna, dove la creazione (sarga)non è più vista come un evento unico; a causa del comportamento delle creature infatti,
l’universo è destinato alla distruzione per poi essere ricreato (pratisarga) e nuovamentedistrutto,in un processo ciclico, per il tempo della vita di Brahma.
Riprendendo questa concezione, un mito induista contenuto nel Visnu Purāna narra che Visnuera profondamente addormentato sull’immensa distesa della sostanza immortale dell’oceano
di latte, insieme alla sua sposa Laksmī. In seguito dall’ombelico del dio Visnu sorse un fioredi loto e da esso nacque il dio Brahma, creatore degli infiniti universi che, come un sogno, si
generano e poi si annichiliscono riassorbiti in Visnu.
Brahma é senza dubbio una delle figure più utilizzate dalla tradizione induista per dare
spiegazione del come e perché ci troviamo qui; il suo posto nella Trimurti é proprio quello di
creatore, accanto alle figure di Visnu e Śiva, considerati rispettivamente il conservatore e ildistruttore dell'universo.3
In un'altro mito della tradizione indiana infatti, si racconta che Brahman, alzandosi,
vide l'universo vuoto ad eccezione delle acque e decise che la terra doveva stare sotto le
acque; così,assumendo la forma di un cinghiale, si immerse nel fondo delle acque alla ricerca
della Madre Terra.
Quando i due si incontrarono, la Madre Terra, riconoscendo il Brahman come ilprincipio generatore di tutto, lo accolse con un anno di preghiera; dopodiché Brahman sollevò
la terra fino a farla galleggiare. Una volta giunto in superficie abbandonò la forma di
cinghiale per assumere quella di Brahmā, creando il mondo in cui viviamo e dando inizio all'attuale kalpa, periodo di tempo corrispondente a un giorno del dio Brahmā, ovvero4.320.000.000 di anni umani. Secondo gli indiani il tempo segue dei cicli detti mahāyuga,
ognuno dei quali é costituito da 4 yuga (ere) di durata decrescente in modo proporzionale allacondotta morale degli esseri: 1000 mahāyuga formano un kalpa. Alla morte di Brahmā, tuttol'universo sarà riassorbito nelle acque primordiali, in attesa che giunga un nuovo Brahm
ā.Proprio per questa loro concezione, Carl Sagan afferma che gli indiani antichi sono l'unico
popolo, ad eccezione dei Maya, la cui tradizione religiosa ha una nozione di età cosmiche
simile a quella della scienza moderna, mentre gli europei hanno impiegato più di mille anni
per disfarsi dell'idea biblica che l'universo avesse solo poche migliaia di anni.
Altre facce dell'India
L'India non é solo induismo. E’ la patria di almeno altre due importanti tradizioni religiose
come il buddismo e il jainismo. Entrambe le dottrine rifiutano l'idea di un creatore, adducendo
però motivazioni diverse.
La cosmogonia buddista é contenuta nel Digha nikāya, una delle cinque sezioni del Suttapitaka, ovvero il primo dei tre "canestri" (pitaka) di cui é composto il Canone pali, redatto in
Śri Lanka intorno alla metà del primo secolo a.C.Tra tutti i discorsi del Digha nikāya, che la tradizione theravāda attribuisce a Buddha stesso,spicca l'Aggañña Sutta in cui l'evoluzione é spiegata in termini di storia mitica. Una volta
c'era un giovane Brahmano, chiamato Vāsettha, che si unì all'ordine buddista diventando unmonaco e per questo subì i rimproveri degli altri Brahmani, che lo paragonarono ad un uomo
della casta più bassa perché aveva abbandonato il loro ordine sacro, emanato da Dio
attraverso la propria bocca. Ripudiando queste posizioni Buddha spiegò a Vāsettha la veraorigine dell'umanità partendo dall'idea che le persone avessero un'ascendenza comune.
L'universo é diviso in due categorie: sattva, ovvero gli esseri, e bhājana, l'universo fisico cheli contiene, formato dai cinque elementi: terra, aria, acqua, fuoco e spazio4. L'interazione traquesti elementi genera i mondi, corrispondenti al concetto di galassia della scienza moderna, i
quali si sviluppano, restano in vita per un determinato periodo e poi degenerano lentamente
fino ad essere distrutti in un grande cataclisma. Poi tutto sarà ricoperto dall'acqua e
dall'oscurità fino alla nuova creazione, secondo un ciclo di evoluzione e declino detto grande
eone.
I buddhisti ritengono che la decadenza dei mondi sia dovuta almeno in parte alla scarsa
qualità morale degli esseri che li abitano, concezione presentata anche dalla tradizione
induista per spiegare la durata decrescente degli yuga.
Buddha rivelò come gli abitanti di un mondo andato ormai distrutto rinascano in uno nuovo:
all'inizio gli esseri erano creature asessuate, luminose e informi che si nutrivano
di beatitudine. Cominciarono poi a cibarsi della terra che emerse dalle acque. Così facendo,
divennero progressivamente meno eterei fino a trasformarsi nei grossolani corpi fisici che
possediamo adesso. La luce che caratterizzava questi esseri scomparve lentamente e fu così
che apparvero il sole, la luna e le stelle. Con essi ci fu l'alternarsi di giorno e notte e infine
delle stagioni.
Con la solidificazione dei corpi nacquero i concetti di bello e brutto; a causa di coloro cheavevano una troppo alta opinione di se scomparve la terra come cibo. La terra sviluppò poi la
facoltà di germogliare e apparvero i funghi. Il mondo naturale era in continua evoluzione,
fornendo sempre nuove forme di cibo: dai funghi si passò a nutrirsi di piante e infine di riso.
A quel punto gli esseri si differenziarono sessualmente e nutrendo una reciproca
ammirazione, si generò la passione. Per nascondere i rapporti sessuali, gli uomini presero a
costruire le città, iniziarono a coltivare la terra e successivamente a fare rifornimento di cibo
finché questo divenne talmente scarso da dover istituire la proprietà privata, la cui diretta
conseguenza fu la nascita del desiderio, dell'egoismo e da essi, tra cui il furto. Per ovviare a
questa situazione vennero create delle leggi e una figura in grado di farle rispettare, il rajā, dalquale derivò tutta la stirpe degli Ksatriya.
Ci furono coloro che, volendo distaccarsi dal furto e dagli altri mali che caratterizzavano la
società, presero a costruire delle capanne nella foresta, nelle quali meditavano, e girovagarono
per le città in cerca di cibo: nacque così la casta brahmanica. Alcuni uomini assunsero
l'elemento sessuale e crearono varie occupazioni dando vita al varna dei vaiśya, altri ancora sidedicarono alla caccia conducendo una misera esistenza: questi divennero śūdra.V
āsettha apprese da Buddha che é proprio a causa di questa divisione professionale, e non pervolontà del dio Brahmā, che la società era stata ripartita in varna. Il buddhismo così fornisceuna teoria empirica del sistema castale, opponendosi a quella metafisica proposta dai
brahmani induisti.
Molte sono le analogie riscontrabili tra la cosmogonia buddhista e la moderna teoria
evolutiva, come ad esempio l'idea che le creature sessuate si sviluppino a partire da esseri
asessuati, o la concezione di un cambiamento graduale occorsa in tempi lunghissimi, o ancora
uno sviluppo del mondo vegetale che ricalca con buona approssimazione quello reale. Anche
l'evoluzione della vita sociale proposta é sostenuta dai dati storiografici contemporanei.
Per quanto riguarda i jaina, essi rifiutano l'idea di un creatore non per la concezione di
ciclicità dei mondi come avviene nel caso del buddhismo, ma semplicemente perché secondo
loro il mondo é increato. Basandosi sulle teorie esposte nel Mahāpurāna, 5 composto nel nonosecolo da Jinasena, i jainisti sostengono che la dottrina secondo la quale il mondo sarebbe
generato, é malconsigliata e dovrebbe essere rifiutata: se esistesse un Dio creatore, in che
luogo si trovava prima della creazione? E ancora, con che cosa avrebbe potuto creare il
mondo dato che non esisteva la materia? Non é possibile infatti che dall'inesistente si sia
formato un mondo così materiale.
Alcuni hanno avanzato l'ipotesi che Dio abbia creato prima la materia e successivamente
l'intero universo, ma i jainisti rifiutano anche questa posizione perché pensando così ci si
imbatterebbe in una regressione all'infinito: l'unica conclusione logica sembra quindi essere
quella di concepire l'universo (e il tempo) come un qualcosa di ingenerato e imperituro.
Poiché le cose esistono da sempre, esse non possono essere create ne distrutte, ma subiscono
continue mutazioni a causa delle loro caratteristiche intrinseche
(svabhāva) e per merito di altre quattro condizioni: il tempo (kāla), la necessità (niyati), ilfrutto delle opere (karman) e il desiderio di essere e agire (udyama).
Pur non ammettendo un creatore, il concetto di divinità é presente anche nella dottrina jaina
col nome di paramātman, anima suprema: gli dei sono semplicemente delle anime che graziealle loro azioni meritorie compiute in vite precedenti, godono oggi di un'esistenza più beata
rispetto a quella di uomini e animali; tuttavia essi sono ancora soggetti al ciclo di karman e
samsāra a differenza dei Jina che, essendo anime liberate, non rinasceranno più e devono perquesto essere presi a modello da tutte le altre creature.
NOTE
1- All'Uno viene dato il nome di Prajapati soltanto alla fine dell'inno; di lui viene detto che si sviluppò da un embrione d'oro
e che é il creatore della natura e degli esseri.
2- Un anno di Brahman, equivalente a 360 anni umani.
3- Tradizionalmente viene seguito questo schema, ma a seconda delle varie correnti devozionali, il creatore può anche essere
identificato con Visnu, più raramente con Śiva.4- Lo spazio é considerato un elemento, ma é anche ciò che contiene gli altri quattro elementi.
5- Pur appartenendo alla tradizione induista, il Mahāpurāna costituisce la maggior base teorica della cosmogonia jaina.
BIBLIOGRAFIA
David e Margaret Adams Leeming, A dictionary of creation myths, Paperback, 1994Eliot Alexander, I miti universali, Neri pozza, 1996Carlo della Casa,
Upanisad vediche, Torino, UTET, 1976Saverio Sani, Rgveda. Le strofe della sapienza, Venezia, Marsilio, 2000Damien Keown,
Buddhismo,in traduzione italiana a cura di Mario Maglietti, Torino,Einaudi,1999
Giuseppina Scalabrino Borsani, La filosofia indiana, Milano, Vallardi, 1976Mario Piantelli, Aforismi e discorsi del Buddha, Torino, TEA, 1988
Desirée Nocentini