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La scoperta della precessione degli equinozi può aver dato origine al culto di Mithra?

di Francesco Lamendola - 09/01/2009


 

Può una scoperta scientifica - la scoperta di un grandioso fenomeno celeste del quale, però, non siano note le cause - dare origine a una religione astrale, ma anche soteriologica, e questo nel brevissimo spazio di mezzo secolo?
Se lo è chiesto David Ulansey il quale ha avuto il merito di reimpostare su basi completamente nuove il problema delle origini del mitraismo; altro discorso è se la sua proposta, indubbiamente geniale e sorretta da alcuni indizi di non scarso peso, possa essere accettata come probante e  definitiva.
Ma andiamo per ordine.
Un piccolo sforzo della memoria aiuterà anche il lettore non specialista a fare mente locale su una  nozione astronomica appresa, forse, nei lontani anni del liceo: quella relativa al fenomeno della precessione degli equinozi. In breve, si tratta di questo.
L'asse terrestre non è sempre puntato nella stessa direzione, a causa della forza di attrazione esercitata sul nostro pianeta dall'azione simultanea del Sole - molto più grande, ma anche molto più lontano - e della Luna - più piccola, ma enormemente più vicina; dalla stessa forza, cioè, che è responsabile anche di un altro fenomeno, assai più immediato ed evidente agli occhi di chiunque, ossia il flusso e il riflusso delle maree.
Dunque, a causa di tale attrazione, la Terra non conserva un movimento lineare nello spazio, ma oscilla su se stessa, lentissimamente, proprio come farebbe una trottola; e tale oscillazione provoca lo spostamento, nel cielo, del punto dell'equinozio di primavera. Questa oscillazione è chiamata,  appunto, precessione.
Il risultato è che, in un arco di tempo di ben 26.000 anni, tutte le coordinate celesti si spostano; sicché il cielo stellato osservato anche "solo" alcune migliaia di anni fa dai nostri progenitori, ad esempio dagli antichi Egiziani o dai Babilonesi (popoli entrambi assai avanzati negli studi astronomici) si presentava molto diverso rispetto a quello che possiamo contemplare noi, cittadini del XXI secolo dopo Cristo; non nel senso - per intenderci - che gli astri abbiano mutato posizione in modo arbitrario, ma nel senso che le stelle, tutte insieme, si sono "spostate" e ciò, dal particolare punto di osservazione offerto dal nostro pianeta, crea anche uno slittamento apparente delle loro posizioni reciproche.
La precessione è, quindi, responsabile del fatto che, quando noi diciamo che un oggetto ha una determinata ascensione e declinazione, dobbiamo altresì specificare il momento preciso nel tempo - per esempio, il 2000 - per definire le nostre coordinate celesti. Tale momento si chiama epoca. Oggi l'equinozio di primavera si verifica nella costellazione dei Pesci; ma, a causa della continua oscillazione dell'asse terrestre, esso attraverserà tutte e dodici le costellazioni dello Zodiaco, prima di ritornare, fra 26.000 anni, nella posizione odierna.
È intuitivo che anche il Polo celeste si sposta e, tra un migliaio di anni, la Stella Polare ci sarà di scarsa utilità per orientarci nell'osservazione del cielo stellato, proprio come lo era per gli antichi Egiziani; fra 14.000 anni, esso si troverà press'a poco in un punto opposto rispetto al cerchio descritto dall'asse terrestre nel suo movimento conico.
Scrive Mario Cavedon (nel libro «Astronomia», Milano, Arnoldo Mondadori editore, 1980, p.137):

«La spiegazione di questo fenomeno [ossia della precessione degli equinozi] è fornita dalla teoria  gravitazionale di Newton: il Sole e la Luna esercitano la loro attrazione sulla Terra, agendo più internamente sul suo rigonfiamento equatoriale  (la Terra non è sferica, ma schiacciata ai poli); poiché il piano su cui vengono generalmente a trovarsi Sole e Luna , salvo momenti eccezionali, non coincide con il piano dell'equatore terrestre, l'attrazione si esercita in direzione obliqua e tenderebbe  a far coincidere il piano dell'equatore con il piano dell'orbita terrestre intorno al Sole, cioè con il piano dell'eclittica.  La nostra Terra, però, ruota piuttosto rapidamente sul proprio asse, e proprio questo movimento determina una conseguenza per certi aspetti inattesa: l'angolo fra i due piani dell'equatore e dell'eclittica resta quasi invariato, ma l'asse di rotazione terrestre ruota nello spazio descrivendo, in poco meno di 26.000 anni, un doppio cono il cui vertice si trova nel centro della Terra.
Quella che ho definito una conseguenza inattesa prodotta dalla rotazione terrestre, cioè il cosiddetto effetto "giroscopico" (il lento movimento conico descritto dall'asse di una trottola, o di un giroscopio, o di un corpo qualunque in rapida rotazione, quando agisce una forza esterna) nel caso della Terra determina una continua variazione dei due punti opposti della volta celeste verso i quali è diretto l'asse di rotazione: i poli celesti cambiano perciò in continuazione e la nostra stella Polare potrà servire per l'orientamento  ancora per duecento o trecento anni, ma poi verrà a trovarsi troppo lontana dal polo per essere veramente utile come riferimento. Contemporaneamente all'asse polare, anche il cerchio dell'equatore celeste e quello dell'eclittica manifestano un movimento reciproco, che si traduce in un continuo lento spostarsi dei punti equinoziali in cui i due cerchi si intersecano; questi punti equinoziali sembrano andare incontro al Sole, che si muove apparentemente lungo l'eclittica, e quindi il loro incontro con il Sole "precede" l'istante in cui il Sole medesimo ritornerà a incontrare una stella; il fenomeno ha avuto perciò il nome di precessione degli equinozi.»

Dunque, ora che abbiamo chiarito in che cosa consista il fenomeno astronomico della precessione degli equinozi, vediamo in che modo uno studioso inglese indipendente, David Ulansey, è giunto a ipotizzare che il culto del dio Mithra abbia avuto origine dalla sua scoperta.
La cosa è di particolare interesse per la metodologia della storia delle religioni, in quanto presenta una prospettiva completamente nuova dalla quale guardare alle circostanze che ne favoriscono e ne accompagnano la genesi .
La premessa indispensabile alla prospettiva di Ulansey è che noi moderni, in generale, avendo perso il legame diretto con la Terra e, quindi, anche con il cielo stellato (che, specialmente nelle città è divenuto di fatto invisibile, oltre che privo di interesse per le esigenze della vita moderna), stentiamo a renderci conto di quanto l'osservazione degli astri e dei loro movimenti fosse, invece, importante per gli uomini antichi.
Tale importanza non discendeva solo da considerazioni di ordine pratico (come la determinazione di alcuni eventi fondamentali legati all'agricoltura, quali - nel caso dell'Egitto - le piene periodiche del Nilo), ma anche di ordine religioso e spirituale. Basti pensare soltanto all'enorme lavoro necessario per erigere monumenti megalitici come il circolo di Stonehenge, nell'Inghilterra del sud, o le lunghe file di menhir di Carnac, nel nord della Francia, in base ad allineamenti astronomici estremamente precisi, in genere relativi ai fenomeni dei solstizi e degli equinozi, che rispondevano anche a complesse esigenze di tipo religioso.
Del resto, se la mentalità moderna è in grado di separare nettamente la sfera del profano da quella del sacro, non così la mentalità dell'uomo antico, compreso il cosiddetto uomo preistorico; sicché, per essi, assurda sarebbe apparsa la pretesa di distinguere una "scienza profana" da una "scienza sacra", dato che ogni attività della vita, materiale e spirituale, intellettuale o sentimentale, veniva concepita come parte di un'unica realtà "sacra", cui era strettamente correlata.
Fatta questa necessaria premessa, torniamo alla teoria di Ulansey.
Una buona sintesi di essa, nonché del quadro delle discussioni sulle origini del mitraismo nel XIX secolo, sotto l'influsso del grande storico delle religioni Franz Cumont, è contenuta nel libro di Giulio Magli, «Misteri e scoperte dell'archeoastronomia» (Roma, Newton Compton, 2005, p. 291-295):

«Ipparco scopre la precessione al 117 a. C., a Rodi. La guerra contro i pirati in cui Pompeo si mette in luce avviene 50 anni dopo, ed è grazie a questa guerra che le legioni romane vengono a contatto con la prima volta con una religione che si diffonderà poi rapidamente e capillarmente in tutto l'impero nei due secoli successivi, per cadere poi in rovina ed essere spazzata via dal Cristianesimo: il Culto di Mitra.
Il Culto di Mitra è una religione misterica. L'aggettivo "misterico" ha un significato teorico ben preciso: vuol dire che i rituali composti da successivi stadi erano tenuti segreti a non-iniziati. La conseguenza è, ovviamente, che sappiamo ben poco di ciò che avveniva nei Mitrei cioè nei luoghi di riunione sotterranei, a forma di galleria con "abside" terminale, degli adepti di Mitra (ve ne sono molti anche in Italia, ad esempio a Roma nelle catacombe di San Clemente).In ogni caso, l'iconografia centrale del culto è ben nota perché si sono conservati molti dei gruppi scultorei e dei dipinti che occupavano la parete terminale dei Mitrei.  Nelle immagini si vede sempre Mitra che uccide un Toro con una spada. Il dio è rivolto dalla parte opposta, cioè non guarda l'animale, al di sotto del quale è raffigurato uno scorpione che ne punge i genitali e, oltre a questo, un cane, un serpente, un corvo, un leone e una coppa. Spesso dalla coda del Toro (tra un momento capirete perché ho scritto "Toro" maiuscolo) germogliano delle spighe. Talvolta a contorno dell'iconografia mitraica compaiono i segni zodiacali e i simboli dei pianeti.
Fino agli anni Settanta, l'interpretazione  del culto mitraico (del quale, lo ripeto, non esiste documentazione scritta) era basato su un dogma scellerato codificato nel 1896 dallo studioso belga Franz Cumont ,che vedeva nel culto di Mitra il riflesso di un "antico culto iranico" per il duo Mithra, trapiantato nell'impero romano. Malgrado moltissimi aspetti del culto misterico di Mitra non avessero alcun riscontro nell'antico culto iranico di Mithra, e malgrado in tale culto non ci fosse neanche la benché minima traccia dell'uccisione di un Toro, Cumont costruì il suo dogma ipotizzando che il mitraismo si fosse formato con successive "varianti" includendo vari altri culti iranici, ad esempio uno in cui avviene effettivamente l'uccisione di un toro, ma da parte di Ahriman, forza del male cosmica nella religione iranica, e non di Mithra.
Il "dogma iranico" è un ottimo esempio di come sia facile "adagiarsi sui grandi" (o meglio "adagiarsi su chi è ritenuto grande") e lasciarsi di conseguenza cullare da teorie non provate e, talvolta, addirittura palesemente assurde.
Le prime critiche a Cumont cominciarono ad apparire nel 1971, e ben presto ci si rese conto che gli studi sul mitraismo dovevano, puramente e semplicemente, ripartire da zero. Per la verità, già nel 1869, lo studioso tedesco K. B. Stark aveva notato che tutto, ma proprio tutto, nell'iconografia mitraica sembrava dire che si stava osservando una mappa del cielo. Tuttavia, Cumont aveva accuratamente provveduto a rintuzzare l'ipotesi di Stark nel modo seguente:
"Nel dogma mitraico queste interpretazioni siderali non avevano che una importanza secondaria, erano teorie accessorie attorno a cui poteva sbrigliarsi l'immaginazione individuale, adatte all'anticamera, dove si tenevano i proseliti, prima di ammetterli alla conoscenza della dottrina esoterica e di rivelare loro le tradizioni iraniche sull'origine e la fine dell'uomo e del mondo".
Certo, come no.
Dal 1970 gli studi sul significato dell'iconografia mitraica sono dunque ripartiti, e subito ci si è orientati sull'ipotesi astronomica. Alcuni autori hanno proposto che l'immagine si riferisse, ad esempio, al sorgere eliaco della costellazione del Toro. Tuttavia, nessuno ha proposto una interpretazione convincente di Mitra stesso. Anche l'ipotesi (abbastanza naturale a prima vista) che potesse trattarsi di Orione è in conflitto con il fatto che Orione sta "sotto" il Toro. In effetti, la soluzione completa era a portata di mano di chiunque sapesse vederla e conoscesse il fenomeno della precessione; ma, come sempre, l cose semplici sono semplici solo dopo che qualcuno le ha mostrate come tali, e in questo casi si tratta di David Ulansey.
Ulansey cominciò con l'osservare che la costellazione naturale in cui identificare il dio è Perseo, una costellazione documentata già dal V sec. a. C., rappresentata con un guerriero dotato di un copricapo "grigio" (cioè un cappello "orientale" a punta) simile a quello di Mitra, che alza una spada sul Toro. Se dunque la scena rappresenta un cielo in cui il Toro "muore", allora anche lo scorpione deve essere la costellazione dello Scorpione. A questo punto l'interpretazione diventa ovvia per chiunque conosca la precessione: la scena rappresenta l'equatore celeste al momento della fine dell'era precessionale del Toro, il periodo di circa 2.000 ani, tra 4000 e 2000 a. C., in cui le costellazioni equinoziali erano Toro e Scorpione. La conferma, indiscutibile, che questa è l'interpretazione corretta viene dal fatto che l'equatore celeste attraversava le costellazioni Toro, cane, Idra, Coppa, Corvo e Scorpione (e un pezzetto del "bastone" di Orione) cioè esattamente le costellazioni presenti nell'iconografia mitraica, a parte il Leone, la cui presenza però si spiega facilmente come costellazione associata al solstizio d'estate in quella stessa "era", mentre le spighe di grano che fuoriescono dalla coda del Toro servono ad associare la figura con l'equinozio di primavera.
La parte più interessante per noi viene ora. L'idea di Ulansey per l'origine del mitraismo è sostanzialmente che la scoperta di Ipparco sia stata filtrata ed elaborata in uno schema simbolico dalla scuola di filosofia stoica di Tarso. Tipico dei filosofi stoici era vedere nelle forze naturali una manifestazione delle divinità, e Ulansey scrive:
"Non sarebbe sorprendente se  il nostro gruppo di stoici abbia ipotizzato l'esistenza di un nuovo essere divino responsabile di questo movimento finora sconosciuto della natura cosmica. Questo nuovo essere divino doveva ovviamente possedere un potere immenso, in quanto era in grado di spostare l'intera sfera delle stelle fisse."
La divinità venne poi identificata in Perseo, già venerato proprio a Tarso e già associato alla costellazione corrispondente.
Naturalmente, è possibile che questa identificazione sia avvenuta. Tuttavia, bisogna ammettere che in pochissimo tempo (circa 50 anni) il culto nasca, si diffonda, si stabilizzi e arrivi ai pirati con i quali le legioni romane verranno poi a contatto. Le argomentazioni di Ulansey in questo senso appaiono un po' deboli. Egli cita il fato che questi pirati costituivano una vera e propria nazione, e che "avevano contatti con intellettuali".  Inoltre, essendo navigatori, avevano dimestichezza con le stelle. (…)"
Devo dire la verità, per quanti sforzi faccia, non riesco a credere a questa implicazione. Non riesco a trovare esempi, analogie, non riesco a trovare nulla di simile in tutta la storia dell'uomo: una scoperta scientifica che diventa in meno di cinquanta anni un culto misterico praticato da pirati. Inoltre, e questo è forse il fatto più difficile da accettare, le previsioni che seguono da questa scoperta vengono utilizzate all'indietro nel tempo e dunque non in senso escatologico, come sarebbe invece naturale per una religione. Mi spiego: se una scoperta scientifica deve dare origine a un culto (sic) ci si dovrebbe aspettare che sia ciò che essa dice sul futuro a poter essere interpretato in senso religioso - diventando così aspettativa di un fato sacralizzato - piuttosto che ciò che afferma su quanto successo in passato. Dunque, mi aspetterei una iconografia basata sulla prossima fine dell'Era dell'Ariete (il punto equinoziale passò dall'Ariete ai Pesci proprio attorno ai secoli a cavallo dell'anno uno d. C.). e non sulla fine dell'Era del Toro avvenuta circa duemila anni prima!»

Ma sentiamo direttamente la conclusione esposta da David Ulansey nel suo libro «I Misteri di Mithra. Cosmologia e salvazione nel mondo antico» (titolo originale: «The Origins of thre Mithraic Mysteries. Cosmology and Salvation in the Ancient World», Oxford University Press, 1989;  traduzione italiana di Massimiliano T. Rezza  e Livio Tucci, Roma, Edizioni Mediterranee, 2001, p. 135):

«Nel corso del libro ho sostenuto che l'iconografia mitraica è un codice cosmologico creato da una cerchia di filosofi e scienziati che nutrivano interessi religiosi per tradurre in un simbolo la loro dottrina occulta: cioè, la conoscenza di un  nuovo dio, recentemente scoperto, tanto potente da esercitare il suo potere sull'intero cosmo. Non è difficile da comprendere come tale dottrina possa aver costituito il nucleo di un autentico movimento  religioso. In quanto la conoscenza esoterica  di una così potente divinità, conoscenza gelosamente custodita, era ritenuta una chiave d'accesso privilegiata ai favori  che questo dio poteva elargire, come, ad esempio,  la liberazione dalle forze del fato che risiedevano nelle stelle e la protezione dell'anima durante i suo tragitto, dopo la morte, attraverso le sfere planetarie. Se consideriamo la salvezza come la promessa di protezione concessa dagli dei, sia durane la vita sia dopo la morte, allora il dio, la cui presenza abbiamo avvertito sotto i veli dell'iconografia, fu perfettamente adatto per esercitare il ruolo di salvatore.
Ben presto, così, il mitraismo si sviluppò e si diffuse rapidamente  secondo le linee che ho qui ricostruito.  È perciò importante sottolineare ancora una volta che a mia ricerca si è occupata esclusivamente delle origini del mitraismo. Come dimostra eloquentemente la storia del cristianesimo, una religione può trasformarsi completamente a distanza di cento anni o di migliaia di chilometri dal suo tempo e dal suo luogo d'origine. I misteri mitraici finirono per diventare una religione di soldati, basata su un'ideologia di potere e sulla gerarchia. Ma, se la mia tesi è valida, allora i Misteri Mitraici rappresentano la risposta di un originale gruppo di intellettuali la sconvolgente scoperta che l'universo non era così semplice come fino allora si era ritenuto.»

Riteniamo che, dopo aver valutato la portata della proposta di Ulansey e aver preso buona nota delle obiezioni di Magli, il lettore possa tentare di formulare da sé una valutazione dei pro e dei contro di questa teoria indubbiamente innovativa e molto ingegnosa, ma - per taluni aspetti - non sufficientemente suffragata da elementi di fatto.
Tuttavia, poiché Magli ha citato con molta durezza il ruolo svolto da Franz Cumont nella concezione tradizionale, da parte degli storici occidentali, del culto di Mithra e dei suoi Misteri, ci sembra giusto e doveroso, prima di concludere, cedere la parola al grande studioso belga, archeologo e storico delle religioni nato a Bruxelles nel 1906 e ivi morto nel 1947, a soli quarant'anni.
L'idea centrale di tale interpretazione è che il mitraismo fu una sorta di variante e di aggiornamento del mazdeismo iranico; non una religione nuova, dunque, ma una nuova versione di una religione antica e consolidata, basata su una forte contrapposizione tra le forze del Bene e della Luce e quelle del Male e delle Tenebre.
Non potendo riportare per esteso la sua interpretazione delle origini del mitraismo, ci limitiamo a citarne alcuni passaggi chiave (da: Franz Cumont, «Le religioni orientali nel paganesimo romano»; titolo originale: «Les religions orientales dans le paganisme romain», traduzione italiana di Luigi Salvatorelli, Roma, Laterza, 1913, 1967, pp. 170-184, passim):

«Gli autori antichi non ci dicono quasi niente sull'origine di Mithra.. Ch'esso sia un dio persiano, tutti son d'accordo, e, in mancanza della loro testimonianza, ce l'avrebbe insegnato l'"Avesta". Ma come giunse dall'altipiano dell'Iran fio all'Italia? Due scarne righe di Plutarco son quel che possediamo di più esplicito a questo riguardo. Egli ci ricorda incidentalmente che i pirati d'Asia Minore, vinti da Pompeo nel 67, compivano sacrifici strani sull'Olimpo, un vulcano di Licia, e praticavano riti occulti, fra gli altri quelli di Mithr, che, egli dice, "conservati fio ai nostri giorni, sono stati da principio insegnati da essi". Uno scoliasta di Stazio, Lattanzio Placido, scrittore di mediocre autorità, ci apprende ancora che questo culto passò dai persiani ai frigi e dai frigi ai romani.
I due autori accordano dunque nel porre in Asia Minore l'origine della religione iranica diffusasi in Occidente, ed infatti vari indizi ci riconducono verso questa contrada. Così la frequenza del nome di Mitridate nelle dinastie del Ponto,  di Cappadocia, d'Armenia e di Commagene, che genealogie fittizie pretendevano ricollegare agli Achemenidi, mostra la devozione che questi re professavano per Mithra. Uno dei bassorilievi scoperti nel Mausoleo di Nemruth-Dagh nella Commagene mostra il dio che, in segno di alleanza,  stringe la destra del re Antioco.
Il mitraismo, rivelato ai romani al tempo di Pompeo, s'era dunque costituito nelle monarchie anatoliche durante l'epoca precedente, epoca di un'intensa frammentazione morale e religiosa. Disgraziatamente, noi non abbiamo monumenti di questo periodo della sua storia. L'assenza di testimonianze dirette sullo sviluppo delle sette mazdee durante i tre ultimi secoli prima dell'era nostra, si oppone ad una conoscenza sicura del parsismo dell'Asia Minore.
Non si è scavato in questa contrada nessun tempio consacrato a Mithra. Le iscrizioni che ricordano il suo nome sono fin qui rare ed insignificanti. Per conseguenza, noi non possiamo raggiungere che indirettamente questo culto primitivo che si sottrae alle nostre investigazioni.  (…)
Un passo curioso di Porfirio ci mostra come già i primi neoplatonici avessero fatto entrare nel loro sistema la demonologia persiana. Al di sotto dell'Essere supremo, incorporeo ,invisibile, al di sotto delle s Stelle e dei pianeti vivono innumerevoli demoni; alcuni hanno ricevuto un nome speciale - sono gli dei delle nazioni e delle città -, il resto forma una folla anonima. Essi si dividono in due gruppi: gli uni sono geni benefici: donano la fecondità alle piante ed agli animali, la serenità alla natura, la scienza all'uomo. Essi servono da intermediari fra le divinità e i loro fedeli, portando al cielo gli omaggi e le preghiere e dal cielo i presagi e gli avvertimenti. Al contrario, gli altri sono spiriti perversi, che abitano gli spazi vicini alla terra, e non vi è male che essi non s sforzino di causare. Violenti ed astuti, veementi e sottili, essi sono gli autori di tutte le calamità che si rovesciano sul mondo. ì, pestilenze, carestie, tempeste, terremoti. Essi accendono nel core dell'uomo le passioni nefaste ed i desideri illeciti, e provocano le guerre e le sedizioni. Abili ad ingannare, si compiacciono della menzogna e delle imposture, favoriscono la fantasmagoria e le mistificazioni degli stregoni, e vengono a pascersi dei sacrifici sanguinosi che i maghi offrono a tutti loro, e soprattutto a chi li comanda.
Dottrine assai vicine a queste furono certo insegnate nei Misteri di Mithra; vi si rendeva un culto ad Ahriman (Arimanius), re del fosco regno sotterraneo, signore degli spiriti infernali, cui si sacrificavano animali selvatici, come il lupo. Questa adorazione del diavolo è persistita fino ai giorni nostri in Oriente nella strana setta degli Yezidi.
Nel suo trattato contro i magi, Teodoro di Mopsuestia, parlando di Ahriman, lo chiama Satana (Σατανας). Vi è in realtà fra questi due personaggi una rassomiglianza che a prima vista stupisce. Essi sono ambedue i capi d'un numeroso esercito di demoni; ciascuno d'essi è lo spirito d'errore e di menzogna, il principe delle tenebre, il tentatore e il corruttore. Si porrebbe disegnare un ritratto quasi identico di questi due sosia, e, infatti, sotto nomi differenti, noi abbiamo una sola e medesima figura. È generalmente ammesso che il giudaismo prese dai mazdei, insieme con una parte del loro dualismo, la concezione d'un antagonista di Dio. è dunque ben naturale che la dottrina giudaica, di cui fu erede il cristianesimo, si avvicini a quella dei misteri di Mithra. (…)
Una frase disgraziatamente troppo concisa dell'imperatore Giuliano ci fa sapere che Mithra imponeva ai suoi iniziati dei "comandamenti" (έντολαί), e ne ricompensava in questo mondo e nell'altro la fedele esecuzione. Il valore che i persiani annettevano alla loro etica particolare, il rigore con cui perseguivano l'adempimento dei suoi precetti, sono forse il tatto più saliente del loro carattere nazionale, come si manifesta attraverso la storia.  Razza di conquistatori, essi furono, come i romani, sottomessi a una forte disciplina, e sentirono come loro la sua necessità per l'amministrazione di un vasto impero. Esistevano fra i due popoli-re affinità che li avvicinarono passando sopra al mondo greco. Il mazdeismo apportò una soddisfazione da lungo tempo attesa dal vecchio sentimento latino che voleva che la religione avesse un'efficacia pratica, imponesse regole di condotta agli individui e contribuisse al bene dello Stato. Introducendovi la morale imperativa dell'Iran, Mithra infuse al paganesimo d'Occidente un nuovo vigore.
Disgraziatamente, noi non abbiamo conservato il testo del decalogo mitriaco, e soltanto per induzione possiamo ritrovare le sue prescrizioni capitali.
Mithra, antico genio della luce, è diventato nel zoroastrismo ed è rimasto in Occidente il dio della verità e della giustizia. Esso è l'Apollo mazdeo, ma mentre l'ellenismo, più sensibile alla bellezza, ha sviluppato in Apollo le qualità estetiche, i persiani, maggiormente preoccupati degli imperativi della coscienza, hanno accentuato in Mithra il carattere morale. Uno dei tratti che avevano colpito i greci - poco scrupolosi per questo rispetto - nei loro vicini orientali, era il loro orrore della menzogna; questa infatti era incarnata in Ahriman. Mithra fu sempore ildio che veniva invocato come garante della parola data e che assicurava l'esecuzione rigorosa degli impegni presi. La fedeltà assoluta al giuramento dovette essere una delle virtù cardinali di un culto di soldati, il cui primo atto, arruolandosi, era di giurare obbedienza e devozione al sovrano. Vi si esaltava il lealismo e la lealtà, e si cercava senza dubbio di ispirare sentimenti assai vicini alla moderna nozione dell'uomo.»

Come si vede, invano si cercherebbe in questa descrizione qualche connessione con l'iconografia mitraica della tauromachia, il sacrificio rituale del toro; e invano si potrebbe cercare, partendo da tali basi - il mitraismo come semplice versione aggiornata della religione zoroastriana - una connessione fra il rigido dualismo iranico e le implicazioni astrali presenti nella suddetta  iconografia, con gli evidenti richiami alle costellazioni del Toro, dello Scorpione, dell'Idra, del Corvo, eccetera.
Anche se una voce si era già levata, prima che Cumont tracciasse questo profilo, a sostegno di una interpretazione astrale dell'iconografia mitraica - come abbiamo visto, quella dello studioso tedesco K. B. Stark - tale era l'autorità del maestri belga, che la sua ricostruzione venne accettata senza critica e rimase in auge per quasi un secolo, fino agli anni Settanta del Novecento.
Anche le brillanti tesi di Ulansey, d'altra parte, non soddisfano interamente, pure se a questo studioso va riconosciuto il merito di aver rivendicato la dimensione astrale nel problema della genesi del mitraismo; e, in particolare, di avervi visto un elemento decisiva nella scoperta del fenomeno della precessione degli equinozi, da parte di Ipparco di Rodi.