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Craxi il fuggiasco

di Massimo Fini - 17/01/2009

 

Ricorre fra pochi giorni, il 19 gennaio, il nono anniversario della morte di Bettino Craxi. Sono stato cronista dell’Avanti! nei primi anni Settanta e socialista fino al 1979 e ho conosciuto abbastanza bene l’uomo, che allora stava più a Milano che a Roma, anche attraverso la figlia Stefania, ai tempi mia cara amica, che dal padre ha ereditato il carattere.
Lo incontrai per la prima volta nel 1973. Lui era di ritorno dal Cile dove si era da poco consumata la mattanza di Allende e dei socialisti cileni. Il giovane Craxi era un lungagnone smilzo, con occhi bellissimi, vellutati, che ti guardavano da dietro le lenti, la cui burbanza era il riflesso di una chiusa e scontrosa timidezza. C’era in lui un misto di aggressività e di affettività che era, credo, il segreto del suo fascino. Nel vecchio Craxi, appesantito dal potere, dall’età e da una grave forma di diabete che lo aveva aggredito intorno ai quarant’anni non c’era più nulla di quel fascino. Era rimasta solo l’arroganza. Ma il cambiamento non era solo personale. A furia di circondarsi di yesmen, che è il destino di ogni leader carismatico, aveva perso il contatto con la realtà e quell’intuito politico che era stato la sua forza. Isolato dal potere e dalla inesausta piaggeria della sua corte, non aveva capito, fra le altre cose, che contro l’arroganza dei socialisti stava montando un sordo rancore che li avrebbe spazzati via, come lo avevo preavvertito già nel 1982 con una lettera aperta al suo vice, Claudio Martelli.

Craxi è stato importante, più per il suo partito, nei primi anni, quando sganciò il Psi dall’antico inferiority complex nei confronti dei comunisti e, liberatosi del massimalismo inconcludente, cercò di farne un partito pragmatico, socialdemocratico, di stampo europeo. Ma introdusse anche nel Psi quel "culto del capo", che era proprio dei comunisti ed estraneo ai socialisti, ed eliminò ogni dibattito interno. Il Psi aveva sempre avuto il problema dei finanziamenti perchè, a differenza del Pci e della Dc, non riceveva soldi nè dai sovietici nè dagli americani. La concezione di Craxi fu, giustamente, "primun vivere deinde philosophari". Ma in seguito questa questione dei soldi prevalse su tutto e il Psi divenne puramente e semplicemente un "comitato d’affari" con forti caratteristiche mafiose. Prevalse anche sull’anima più profonda del Psi, che era stato sempre dalla parte degli "umiliati e offesi", e divenne il partito dei dubbi finanzieri, degli stilisti, dei visagisti, delle damazze, delle favorite, dei profittatori di tutte le risme e insomma il partito "dei nani e delle ballerine" come ebbe a definirlo Rino Formica.

Che Craxi sia stato un uomo di Stato escluderei. Che sia stato un buon uomo di governo è dubbio. È vero che ingaggiò e vinse la battaglia contro il "punto unico di contingenza" ma durante il suo governo il debito pubblico passò da 400mila a un milione di miliardi, cosa di cui paghiamo ora le conseguenze, così come paghiamo le conseguenze delle pensioni baby, delle pensioni di invalidità false, delle pensioni di vecchiaia fasulle, delle pensioni d’oro e di tutti gli enormi sprechi degli anni della "Milano da bere" (ma a berla erano solo i socialisti). Fermò gli americani a Sigonella nell’unica occasione in cui, forse, era il caso di lasciarli fare (stavano per prendere Abu Abbas, il capo dei terroristi che avevano sequestrato la Achille Lauro, buttato in mare un ebreo ottantenne paralitico, mentre i nostri marinai facevano le ballerine per i terroristi) ma poi accettò i missili Cruise in Sicilia.

Fra le responsabilità di Craxi, oltre a quelle penali, c’è di aver introdotto nella politica italiana un protagonismo arrogante e volgare, trasmigrato poi nel berlusconismo, e soprattutto di essere stato il primo a cercare di delegittimare la Magistratura dopo essere stato preso con le mani nel sacco. A differenza dei democristiani non ha dimostrato nè senso dello Stato nè consapevolezza di essere classe dirigente. Come confermò con l’ignominiosa fuga in Tunisia, dalla quale ha continuato a infangare il proprio Paese e le Istituzioni del proprio Paese, di cui pur era stato presidente del Consiglio, finendo così per delegittimare anche se stesso.