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Solo i quotidiani stanno peggio delle banche

di Fabrizio Goria - 24/01/2009



Rotative. Sarkozy prova a salvare i giornali francesi con 600 milioni, regalando un abbonamento a tutti i ragazzi che diventano maggiorenni. Ma nel resto del mondo continuano a soffrire: dal New York Times all'Evening Standard: i lettori non sono tanti, ma la pubblicità è ancora meno. Per fortuna ci sarà sempre bisogno di giornali. O no?
Dopo aver aiutato con 6 miliardi il settore dell'auto, il presidente francese Nicolas Sarkozy ha annunciato ieri 600 milioni in tre anni per un altra industria che «lo Stato ha il dovere di aiutare»: i giornali. Arriveranno direttamente dal bilancio pubblico i soldi a difesa di un'informazione che è minacciata dal crollo delle entrate pubblicitarie e da una struttura industriale troppo costosa: rinvio dell'aumento delle tariffe postali, il raddoppio delle spese di comunicazione istituzionale dello Stato, sostegno alle edicole e alle società che consegnano i quotidiani a domicilio, un anno di abbonamento gratuito a un quotidiano per ogni ragazzo che compie la maggiore età.
La crisi, dopo aver colpito le Borse, sta infatti facendo sentire i suoi effetti anche nel mondo dell'editoria. Il caso del New York Times è forse il più emblematico, ma il prestigioso quotidiano americano non è il solo ad essere in difficoltà. Dall'Europa al Sud America sono moltissime le testate che lottano per sopravvivere. Per il New York Times i primi presagi del definitivo aggravarsi della situazione si sono avvertiti nello scorso dicembre, le agenzie di stampa hanno battuto la notizia dell'ipoteca del grattacielo di Manhattan, progettato solo pochi anni fa da Renzo Piano, che ospita la redazione principale del giornale. La famiglia Sulzberger, che controlla il pacchetto di maggioranza della NY Times Company, ha deciso di vendere il 58 per cento della proprietà sull'immobile per trovare la liquidità per circa 225 milioni di dollari. Ci ha pensato Carlos Slim Helu, magnate messicano delle telecomunicazioni e secondo uomo più ricco al mondo secondo la rivista Forbes. Con un'iniezione di denaro di 250 milioni di dollari, sotto forma di warrant, Slim ha aumentato la propria partecipazione nella Times Company dal 6,8 per cento, fino al raggiungimento del 17 per cento. Sembra scongiurato, almeno nel breve termine, un fallimento del quotidiano newyorkese, anche se circolano voci su possibili scorpori di altri giornali del gruppo in perdita, come il Boston Globe, il secondo più grande tra quelli controllati dai Sulzberger, e la squadra di baseball dei Red Sox.
La bancarotta invece ha colpito il Chicago Tribune, principale giornale della città del presidente Barack Obama. Il 9 dicembre scorso l'editore ha richiesto l'iscrizione al Chapter 11 del codice fallimentare statunitense, che prevede l'amministrazione controllata della società in crisi per consentire ai creditori di recuperare quanto possibile vendonde i pezzi al miglior offerente. Un duro colpo per l'azienda, anche alla luce delle difficoltà in cui versa anche l'altro quotidiano edito dalla Tribune Company, il Los Angeles Times. Secondo uno studio di Lazard Bank, ammontano a 13 miliardi di dollari i debiti del gruppo.
In Europa la situazione è quasi altrettanto grave. In Francia la crisi dell'editoria si avverte e da molto tempo: Le Monde tra mille polemiche e declinismi ha ridimensionato nello scorso aprile il proprio organico di 130 unità, fra cui 80 redattori. Per la prima volta nella storia del giornale c'è perfino stato uno sciopero. Numerosi giornalisti hanno dato la colpa alla gestione di Jean-Marie Colombani, storico direttore, e Alain Minc, ex presidente del consiglio di sorveglianza della società editrice. «Colombani ha allargato il gruppo comperando testate. Minc ha allargato l' azionariato. Questi sono i risultati», dicono i giornalisti. Risultati che sono pesanti: oltre 150 milioni di euro di debiti e una perdita d'esercizio pari a 20 milioni solo nel 2007. Anche nel Regno Unito si cominciano a raccogliere storie di crisi editoriali. L'Evening Standard, quotidiano serale di Londra ha ripianato i suoi debiti, stimati in 22 milioni di sterline, tramite capitali provenienti dall'Est. Il miliardario russo ed ex agente del Kgb Alexander Lebedev ha acquistato con una cifra simbolica la quota di maggioranza dell'editore, il Daily Mail & General Trust, che comunque conserverà il 24,9 per cento delle azioni. Il tutto mentre crollano le vendite del quotidiano simbolo della stampa progressista, il Guardian: nel 2008 oltre il 20 per cento di venduto in meno rispetto al 2007. Sul versante tedesco preoccupa la Westdeutsche Allgemeine Zeitung (WAZ), che con oltre 550mila copie al giorno è uno dei maggiori giornali a diffusione regionale, oltre che un colosso editoriale a capo di 38 differenti testate. In dicembre ha annunciato tagli al personale, mentre crollano i proventi delle pubblicità. In Spagna il madrileno El Mundo, di proprietà dell'italiana RCS MediaGroup, ha subito una pesante flessione delle vendite che ha contribuito ad affossare il titolo RCS nel listino di Piazza Affari. I risultati di gestione allo scorso 30 settembre registravano un calo di oltre 9 mila copie giornaliere vendute da El Mundo, a causa «dell'intensa attività promozionale attuata dalle testate concorrenti» come continua la nota del gruppo editoriale.
Nemmeno il Brasile si salva da una contrazione della vendita dei quotidiani, come dimostra il caso di O Globo. Regge, in compenso, la controparte televisiva del gruppo editoriale, TV Globo, che macina successi di audience. Le cause della crisi, a detta degli analisti di Bloomberg, vanno ricercate nelle «diminuzioni degli investimenti e della raccolta pubblicitaria», senza dimenticare i nuovi supporti elettronici. Amazon Kindle è lo spauracchio numero uno per gli editori: un lettore di e-book che permette di visualizzare in mobilità i quotidiani, tramite un collegamento internet senza fili integrato nel sistema. «Restrizione del credito, crisi globale ed internet stanno affossando l'editoria tradizionale, ma della carta stampata ci sarà sempre bisogno» rassicura Michael Bloomberg, fondatore del network americano e attuale sindaco di New York.