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Holodomor: l’olocausto contadino dimenticato

di Michele Corti - 24/01/2009



Holodomor in ucraino Голодомор significa “lenta morte per fame”.
Nel 1932-33 venne perpetrato dai sovietici uno dei peggiori genocidi
ed etnocidi della storia dell’umanità. Milioni di contadini
vennero fatti morire di stenti sequestrando loro le scorte di cibo,
gli attrezzi, gli animali. Chi cercava il cibo era colpevole e condannato.
È stata una carestia terroristica pianificata scientificamente
per imporre nel “granaio d’Europa” la collettivizzazione forzata
e distruggere la nazione ucraina nella sua consistenza politica, sociale
e culturale.
Per decenni la propaganda comunista, che tanta influenza ha
avuto in Italia (e quanti strascichi ancor oggi ...), ha descritto questa
tragedia come un episodio di “lotta di classe”. Quelli che venivano
colpiti erano i “nemici del popolo”: ma per essere “nemici del
popolo” bastava possedere una mucca e gli strumenti di lavoro di
ogni contadino del mondo. Erano i famosi “mezzi di produzione”
marxiani che dovevano essere socializzati. Le “paroline magiche”
giustificazioniste erano due: “kulako” e “reazionario”. Sono paroline
che nella prassi comunista (le br non sono archeologia!) equivalgono
a una condanna a morte; il “reazionario” perde identità
e diritti umani, è una cosa, ogni violenza contro di lui è legittima.
L’indottrinamento sessantottino è riuscito a suscitare l’odio per
i “famigerati” kulaki ancora negli anni ’70 (lo affermo per esperienza
personale). Tanta violenza non è certo frutto del delirio di
un uomo solo al comando e nemmeno di una “degenerazione” di
un comunismo che non-era-così-cattivo-come-Stalin-lo-ha-fattodiventare
(il Gulag, con tutti i suoi orrori, l’ha creato Lenin). Da
un punto di vista ruralista ci interessa, però, osservare che la posizione
anticontadina è insita nel marxismo, che ha preconizzato
la totale industrializzazione dell’agricoltura (una profezia che si è
avverata, dopo il crollo del comunismo, per opera del capitalismo
“liberale”).
Il disprezzo per i contadini “autonomi” emerge in moltissime
pagine dei “padri fondatori” del marxismo (Marx ed Engels); in
loro l’odio per i contadini assume connotati apertamante razzistici.
Senza queste premesse ideologiche non si capisce l’Holodomor.
La borghesia ha assogettato la campagna al dominio della città. Ha
creato città enormi, ha accresciuto su larga scala la cifra della popolazione
urbana in confronto a quella rurale, strappando in tal modo
una parte notevole della popolazione all’idiotismo della vita rurale.
(Marx, Il Capitale. Vol. i)
Marx ha parlato dei contadini come di un amorfo “sacco di patate”,
esseri incapaci di pensare con la loro testa, schiavi delle
consuetudini. Esseri sub-umani, non solo “idioti” (che si potrebbe
tollerare), ma, peggio, “reazionari” (e questo non si può tollerare).
“Gli ordini medi, il piccolo industriale, il piccolo commerciante, l’artigiano,
il contadino combattono tutti con la borghesia, per premunire
dalla scomparsa la propria esistenza come ordini medi. Quindi
non sono rivoluzionari ma conservatori. Anzi sono reazionari, poi52
ché cercano di far girare indietro la ruota della storia”. (ivi)
Engels, anch’egli padre – sia pure meno “nobile” – dell’internazionalismo
proletario, era un becero sciovinista e razzista che disprezzava
gli slavi ma anche gli italiani in quanto ...contadini.
Gli italiani devono fare ancora un po’ di scuola, di esperienza, per
imparare che un popolo di contadini arretrati come loro, non fa che
rendersi ridicolo quando vuol insegnare ai lavoratori dei grandi paesi
industriali come devono contenersi per giungere all’emancipazione.
(Engels a Cuno, Londra, 22 aprile 1872)
La stessa socialdemocrazia tedesca (odiata da Lenin in quanto
“revisionista” perchè aveva abbandonato l’idea della presa del
potere violenta) attraverso il suo leader più prestigioso, Karl
Kautzy, espresse concetti analoghi:
La socialdemocrazia rimarrà sempre nella sua essenza un partito urbano,
proletario, rimarrà sempre un partito del progresso economico;
con il contadino conservatore, avverso al modo di vita cittadino e
attaccato alla famiglia patriarcale (...) essa si troverà sempre a lottare
contro pregiudizi profondamente radicati (...).
E così Gramsci:
La rivoluzione comunista sarà attuata dalla classe operaia, dal proletariato,
inteso nel senso marxista di strato sociale costituito dagli
operai urbani unificati e plasmati dalla fabbrica e dal sistema industriale
capitalistico. La città, organismo industriale e di vita civile,
come è stata lo strumento delle potenza economica capitalista e
della dittatura borghese, sarà lo strumento della potenza economica
comunista e della dittatura proletaria.
Marx e i marxisti sono stati i più grandi ammiratori del capitalismo,
i propugnatori di un’ideologia industralista e scientista, per
loro uno dei meriti del capitalismo consisteva nel distruggere il
contadino, nella industrializzazione dell’agricoltura.
Nella sfera dell’agricoltura l’effetto più rivoluzionario della grande
industria sta nell’abbattere il baluardo della vecchia società, il
“contadino” e nell’inserire al suo posto l’operaio salariato. I bisogni
sociali di rivolgimento e gli antagonismi sociali della campagna
vengono in tal modo resi uguali a quelli della città. Al posto della
conduzione più pigramente ligia alla consuetudine e più irrazionale
subentra la applicazione cosciente, tecnologica, della scienza. (Marx,
Il Capitale, Vol. i)
I comunisti sovietici ritenevano che, date le condizioni “arretrate”
della Russia e delle altre provincie dell’impero comunista/grande
russo (altro che “internazionalismo proletario”!), fosse compito
dello stato, del partito, sostituirsi alla grande borghesia industriale
per fare di meglio e, soprattutto più in fretta, il suo “mestiere”.
Unire la forza del capitalismo a quella di un sistema di potere
“asiatico”. Prometeico!
L’industrializzazione agricola è stata oggetto di deliranti teorizzazioni
(imperniate sulla meccanizzazione spinta e la coltivazione
a grande scala sulla base di un’organizzazione ultracentralizzata
di tipo militare con una terminologia mutuata dall’armata) e, putroppo,
anche di tragiche messe in pratica, costate le vita a milioni
di esseri umani e danni ambientali colossali. Il comunismo
ha voluto l’Ucraina, che era il “granaio d’Europa”, per produrre
derrate alimentari a basso costo per il mercato interno e l’esportazione
al fine di sostenere l’industrializzazione a tappe forzate. Il
risultato è che essa è diventata oggi un paese che importa grano
tanto è stata compromessa la fertilità dei terreni.
Il comunismo sovietico voleva “bruciare” le tappe anticipando
un’industrializzazione agricola che con le tecnologie di allora
54
(solo meccaniche e chimiche) era impossibile. Solo con gli OGM
la “guerra alla natura” e la “guerra al contadino” può arrivare ad
una “soluzione finale”.
Il capitalismo “liberal-democratico” attua il suo Holomodor
in modo strisciante. Ma la desertificazione, gli “aiuti alimentari”
in dumping, l’imposizione delle coltivazioni bioenergetiche,
la violenta “apertura al mercato” imposta ai governi dei “paesi
emergenti”, la dipendenza dalle multinazionali del commercio
granario e delle sementi, sottendono prassi e ideologie altrettanto
violente.