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Le mani nella terra e il cuore in preghiera

di Dunstan McKee - 24/01/2009

Fonte: L'ecologist


Discutendo sul ruolo del monachesimo nella storia dell’occidente
si è tentati di avere una visione rosea dei monasteri
benedettini delle origini e quindi si rischia di perdersi sulle
onde della nostalgia per un passato così rudemente tagliato
fuori dall’industrializzazione. Ma se vogliamo comprendere
la lezione implicita nella storia del monachesimo occidentale
dobbiamo fare un’analisi più matura.
L’immagine della comunità monastica ordinata nella regola di
San Benedetto, relativamente chiusa in se stessa e autosufficiente,
suscita un’attrazione considerevole. Il monastero, governato da
un abate eletto dai monaci, “deve essere possibilmente organizzato
in modo che al suo interno si trovi tutto l’occorrente, ossia
l’acqua, il mulino, l’orto e i vari laboratori (Regola, 66)”. Nel
monastero non ci sono servi, ma tutti attendono alle occupazioni
necessarie alla vita della comunità. Lo scopo di questa vita è l’apprendimento
dell’obbedienza, un mezzo per dimenticarsi di sé
che conduce all’unione con Dio.
Questo, in termini generali, è ciò che propone la regola. Oggi
sappiamo che Benedetto trasse buona parte dei suoi principi dalla
più antica Regula magistri, al cui adattamento lavorò di propria
mano. Ciò a cui Benedetto giunse fu un’universalizzazione della
regola, adeguandola ai bisogni di coloro che volevano lasciare il
mondo al suo destino. Benedetto descrisse la sua regola “una re14
gola semplice per principianti” (Regola, 73) e “il monastero una
scuola di servizio al Signore, nella quale ci auguriamo di non prescrivere
nulla di duro o gravoso” (Prologo).
È difficile definire quali siano le persone che Benedetto ebbe
in mente come suoi monaci. Egli offrì un modello di vita cristiana
per il contadino non meno che per lo studente, per un povero
come per il figlio di un nobile. La regola fu scritta alla metà del
VI secolo, quando quel che rimaneva dell’Impero romano stava
collassando nel caotico aggregato del primo Medioevo. Con
il suo ordine, Benedetto mise a punto un’organizzazione in case
indipendenti, complete in se stesse e autosufficienti, adatte a sopravvivere
alla pressione del cambiamento e del collasso sociale.
Egli incapsulò nelle direttive una critica alla società del tempo,
una comprensione di ciò che occorre per conservare, in mezzo a
un’esistenza quasi animale di una società in declino, alcuni principi
di fondo su cui la gente potesse fondare un modo di vivere
umano e un nuovo ordine sociale. Con la sua regola offrì a uomini
normali una via per sopravvivere al crollo della società, conservando
allo stesso tempo ciò che era ancora valido.
Un ritmo giornaliero e stagionale
Una via per comprendere il modello di vita della regola è quella
di interpretarla in termini di ritmo. È un concetto che soltanto
ora stiamo iniziando di nuovo a prendere sul serio, dopo una generazione
nella quale lo sviluppo tecnologico ha reso possibile
ignorare i cambiamenti tra le stagioni e tra il giorno e la notte,
con la conseguente alienazione dell’uomo dal suo ambiente naturale.
Nella regola ogni giornata è basata su un modello o ritmo
di preghiera, studio, lavoro e riposo, aperto all’adeguamento e
all’improvvisazione, secondo le necessità dei casi individuali. La
proporzione di ciascuno di questi elementi è adattata sulla pelle
e sulle necessità dei singoli individui, il tutto in un modello di
vita ritmico e bilanciato che rende capaci di crescere secondo una
propria via. Tutti pregavano e leggevano e, anche se il lavoro pesante
fu spesso fatto da altri, tutti andavano nei campi e nell’orto
per adempiere alle necessità della comunità monastica. L’organizzazione
della giornata variava col variare delle stagioni. D’estate
il lavoro iniziava prima e le ore del riposo erano distribuite nelle
ore più calde. D’inverno il lavoro diminuiva e si pregava di più.
In questo modo, il ritmo di vita rifletteva i ritmi quotidiani e stagionali
della natura.
Lo scopo di Benedetto fu quello di formulare un modo di vivere
capace di resistere al crollo della società e in grado di essere
comprensibile per tutti. La vita del monastero era chiusa in se
stessa e autosufficiente, forte in quanto indipendente dai movimenti
della società e progettata per la crescita della persona, immersa
nei ritmi naturali e stimolata dal lavoro creativo.
I nuovi ordini come protesta contro la società
Probabilmente, tale tipo di comunità poteva diventare una norma
solamente nella più primitiva condizione di alcune società medievali.
Tuttavia, la concezione benedettina della vita monastica
sopravisse immutata fino all’XI secolo. Dalla fondazione originale
di Benedetto, la storia degli ordini religiosi occidentali dimostra
il condizionamento subito dalla regola da parte dalle istituzioni
esterne. Nonostante fossero stati fondati come protesta al malcostume
del tempo, i monasteri cambiarono sotto la pressione della
società circostante.
Di solito, la direzione dello sviluppo fu diversa rispetto all’intenzione
del fondatore. Nel periodo della grande diffusione del
monachesimo benedettino i monasteri furono fondati e popolati
per fini sociali, politici e religiosi non menzionati nella regola di
Benedetto. Per esempio, il disciplinato stile di vita fu apprezzato
dai potenti che vi videro un aiuto alla stabilità del loro dominio.
Le regole previste per l’ammissione nel monastero di laici adulti,
di chierici e di figli della nobiltà ebbero conseguenze impreviste.
È probabile che Benedetto si aspettasse che il gruppo più
consistente sarebbe stato formato da laici adulti, invece, sotto la
pressione del cambiamento economico, della condanna religiosa,
del bisogno sociale e dell’ambizione, gli ingressi dei figli della
nobiltà divennero la maggioranza. Così, lo stile di vita fu adattato
per andare incontro alle richieste e opportunità di questa evoluzione.
Doti e status sociale divennero obblighi e il modello di vita
cambiò, orientandosi verso una più elaborata routine rituale che
andava incontro alle ambizioni sociali dei monaci.
La vita nei monasteri si allontanò da quella comune della società
in cui si trovava e divenne un mezzo per soddisfare altro da ciò
per cui era stata fondata. I monasteri andarono in declino, subirono
nuove pressioni e sbocciarono i movimenti di riforma. Mentre
altri gruppi iniziarono a cercare altrove la loro ispirazione, il movimento
cistercense guardò indietro alla regola benedettina delle
origini e diventò un movimento riformatore basato su povertà,
semplicità, vita appartata e abnegazione di sé. Con i cistercensi la
tradizione monastica costruì la sua reputazione di sensibilità ecologica
e agricoltura biologica. Essi si appartarono fuori dai confini
della società, svolgendo una vita autosufficiente e in armonia con
la natura. Tramite un sistema di poderi ecologicamente rispettosi
dell’ambiente, bonificarono e coltivarono terre incolte e boschi.
Come altri proprietari terrieri inglesi, preferirono le pecore ai bovini,
non solo perché economicamente più vantaggiose, ma anche
per il loro importante contributo ecologico nella fertilizzazione e
nel miglioramento dei pascoli.

Il paradosso puritano
Il movimento cistercense, nato come risposta alla decadenza della
tradizione monastica, soffrì del paradosso puritano. Ritirandosi
fuori dai confini di una società in espansione, rinunciando agli
ornamenti e abbellimenti inutili, provvedendo ai bisogni economici
interni e assumendo forza lavoro attraverso un sistema di
laici all’interno della disciplina monastica, svilupparono la prima
efficiente organizzazione internazionale e si ritrovarono con un
surplus di reddito. Rifiutando la vanità dei ricchi diventarono ricchi
essi stessi, guadagnandosi la reputazione di arroganti e aggressori.
Il movimento non fu senza considerevoli meriti, ma quando
la società cambiò di nuovo, il sistema collassò: i laici smisero di riconoscere
il bisogno o il valore della vita che il monastero offriva
loro e i monasteri divennero parte dell’establishment, incarnando
le stesse caratteristiche che la loro fondazione voleva originariamente
condannare.
La rapida diffusione dei francescani può essere ampiamente
spiegata con la possibilità di una vita più umana che la confraternita
offriva a coloro che nella società erano già poveri. Ma essi, come
già i canonici agostiniani prima di loro, erano incentrati nella città
e, per questo motivo, fu consolidata la tendenza ad allontanarsi
dall’autosufficienza per andare verso una tradizione incentrata sul
servizio e l’utilità pratica. Nel corso del tempo, la predicazione
seguitò a cambiare adattandosi alla pressione ambientale dell’accettabilità
sociale e del vantaggio. Dal xvi secolo fino a oggi, altri
ordini si sono uniti alle tracce della tradizione originaria. Spesso
più attivi e meno indipendenti, alcuni deliberatamente fondati
come braccia di coloro che esercitano il potere ecclesiastico e politico,
altri al di fuori dai problemi sociali, ma sempre soggetti a
quel pervasivo malessere delle istituzioni. L’adattamento al tempo
passa sopra l’ispirazione originaria: i bisogni dei singoli individui
sono asserviti alle richieste dell’organizzazione e l’istituzione viene
a identificarsi con la forza della reazione.

La rilevanza della tradizione monastica
Noi generalizziamo a nostro rischio e sono conscio di quanto
inadeguata sia questa analisi. Tuttavia, precise indicazioni nella
storia della tradizione monastica occidentale sono oggi rilevanti.
Questa tradizione, per tutto quello che possiamo comprendere da
un’analisi critica, ha al suo interno i semi di una vita più umana.
Alle radici della tradizione sta la ricerca di un autentico percorso
che offra la possibilità di crescere umanamente e in modo solidale
con la comunità e l’ambiente. Benedetto trovò la strada per questo
cammino e la sua regola riveste una grande importanza anche
nei tempi attuali.
La vita comunitaria può offrire un contesto in cui gente di
diversa origine è in grado di trovare il senso e l’armonia: se solo
è abbastanza flessibile da riconoscere le differenze dei bisogni e
delle capacità dei suoi membri. La regola incoraggia lo sviluppo
delle qualità umane e le considera fondamentali per la sopravivenza
della comunità. In una società che si sta dissolvendo, una
comunità autosufficiente ed ecologicamente sana ha più probabilità
di sopravvivere se i suoi membri sono preparati a rinunciare
alle inutili stranezze e agli eccessi di una società che va verso il
caos economico. Il modello basato sul ritmo di vita giornaliero e
stagionale, offre le basi per lo sviluppo di una società non alienata,
ma integrata e solidale. L’armonia presente nella regola avvicina
l’uomo al suo ambiente naturale e elimina il pericolo dato dall’instabilità
morale. Per Benedetto e per quelli che lo seguirono nella
tradizione monastica, il motivo originale fu quello di instaurare
una scuola al servizio del Signore. Oggi, i punti di crescita all’interno
di questa tradizione, sono di nuovo luoghi in cui la ricerca
di una vita autentica è legata ad una critica sociale e politica finalizzata
alla pace di Dio nel mondo.