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Se rompono Cina e USA

di Federico Rampini - 24/01/2009

L AMMINISTRAZIONE Obama esordisce attaccando la Cina, e in un lampo i mercati sono costretti a porsi una domanda terribile: cosa accadrebbe se Pechino reagisse smettendo di finanziare il debito pubblico americano? 

LO SPETTRO di una frattura nel legame finanziario sino-americano - «Chimerica» come l`ha battezzata lo storico dell`economia Nial Ferguson - ieri ha fatto capolino sul mercato più liquido del pianeta, quello dove si scambiano i Bueni del Tesoro emessi a Washington.

I rischi di unatensione commerciale Usa-Cina hanno fatto tremare i Treasury Bonds trentennali, uno dei titoli considerati più sicuri e tradizionalmente un bene-rifugio per gli investitori.

1 T-Bonds trentennali hanno subìto vendite che hanno portato a un rialzo dei rendimenti, fino a sfiorare i13,30%proprio giovedì sera, non appena il Senato americano ha diffuso il testo dell`audizione del neosegretario al Tesoro Tina Geithner. Lì figura l`accusa alla Cina di «manipolare la propria valuta». E` un`accusa forte, che nessun segretario al Tesoro dell`Amministrazione Bush aveva mai voluto formulare apertamente. Può aprire la strada a ritorsioni commerciali contro il made in China. Quello che ha spaventato i mercati, èl`eventualità che in una escalation protezionista Pechino possa usare l`arma finanziaria, riducendo i suoi acquisti di buoni del Tesoro americani. Con 2.000 miliardi di dollari di riserve ufficiali, la Repubblica Popolare e uno dei più importanti investitori in T-Bonds. L`ultimo decennio di crescita dell`economia mondiale si è retto sulla complementarietà fra Stati Uniti e Repubblica Popolare: all`alto debito dei consumatori americani faceva da corrispettivo l`alto risparmio delle famiglie cinesi; i disavanzi commerciali Usa che andavano a gonfiare le riserve valutarie di Pechino venivano «riciclati» regolarmente dai banchieri cinesi con la sottoscrizione dei titoli pubblici americani.Asuavoltala Cina aveva un tornaconto evidente.

Facendo credito agli Stati Uniti alimentava la domanda per le sue esportazioni. Quel sistemasi è parzialmente già inceppato: la recessione è il modo fisiologico e brutale con cui l`economia ame- ricana sta riducendo al tempo stesso consumi, importazioni e debiti delle famiglie. Ma alla riduzione del debito privato si accompagna un boom del debito pubblico, tanto più rapido quanto più sarà ampia la manovra di investimenti statali varata da Obama per contrastare la recessione.

Washington continuerà per molti anni ad aver bisogno di finanziatoriesteriperilsuo debito federale in forte crescita. Guai se la più grande nazione asiatica dovesse disertare le aste dei TBonds.

E non è solo la possibile reazione della Cina a spaventare, ma la dimensione stessa del fabbisogno statale americano.

Per effetto dei piani di salvataggio delle banche (700 miliardi) e di rilancio della crescita (825 miliardi) già approvati, tenuto conto inoltre dei titoli in scadenza e di un disavanzo che già viaggia oltre l`8% del Pil, quest`anno il Tesoro americano dovrà emettere almeno 2.000 miliardi di nuovi T-Bonds, su un mercato che attualmente ha un volume complessivo di 5.800 miliardi.

Un afflusso così consistente di nuove emissioni può mettere a dura prova l`appetito degli investitori, che finora nellefasi di «fuga dal rischio» avevano assorbito voracemente i buoni del Tesoro facendone scendere i rendimenti (sotto lo zero per le scadenze più brevi). Che cosa può avere indotto Geithner a rischiare un braccio di ferro col suo più importante creditore straniero? Il neosegretario al Tesoro non è uno sprovveduto: ha già lavorato come alto funzionario di quel Dipartimento sotto l`Amministrazione Clinton, è stato al Fondo monetario internazionale, da ultimo ha guidato la Federal Reserve Bank di New York, la più importante filiale operativa della banca centrale. Se in questa fase Geithner pensa di poter alzare la voce con i cinesi, è perché una vera crisi di sfiducia verso i TBonds americani ancora non è alle porte. I mercati al momento non hanno alternative più sicure, se si eccettua un investimento poco liquido come l`oro. Ieri la Gran Bretagna è entrata ufficialmente in recessione, spingendo la sterlina ai minimi storici verso il dollaro. L`euro a 1,27 ha chiuso al più basso livello sul dollaro da sei settimane. In Europa le crisi bancarie, il degrado delle finanze pubbliche e i downgrading di alcuni paesi mediterranei hanno reso gli investitori più riottosi ad acquistare buoni del Tesoro dell`area Pigs (Italia Spagna Portogallo Grecia). Anche in Asia la congiuntura si sta deteriorando a una velocità impressionante, con la crescita cinese dimezzata rispetto a un anno fa (il Pil nell`ultimo trimestre è cresciuto del 6,8% contro il 13% nel 2007). In un quadro così desolante il dol- laro è tornato al suo status dimoneta-rifugio.

Lo Ice Dollar Index, che misura il valore del dollaro verso un paniere di valute (euro, yen, sterlina, franco svizzero, corona svedese, dollaro canadese) ha guadagnato il 18% negli ultimi sei mesi. La vera fuga dai TBonds per ora è rinviata, in attesa che i mercati valutino più attentamente l`evoluzione del debito pubblico sotto l`Amministrazione Obama. Da Pechino intanto la reazione è sdegnata.

«Non esistono le condizioni economiche per rivalutare il renminbi» ha dichiarato Hua Ercheng, chief economist alla China Construction Bank. Con l`export made in China in pesante caduta, e milioni di licenziamenti in arrivo nelle sue fabbriche, il governo cinese non è invena di far concessioni a Washington.