I limiti dello sviluppo
di redazione ECplanet - 24/02/2006
Fonte: ecplanet.com
L'ipotesi del cibo manipolato per soddisfare brutali regole mercantilistiche ci riporta alla stretta attualità (vedi OGM) e rende il film incredibilmente profetico (si pensi anche alle proposte sull'eutanasia, ndr). Negli anni '70, d'altronde, il cinema ecologico divenne uno strumento di espressione politica per veicolare la protesta contro un establishment che proponeva la guerra nucleare per vincere quella fredda, e praticava una politica immorale e corrotta (che oggi è diventata globale).
Il film di Fleischer era, non a caso, ispirato ad una ricerca fatta dal Massachusetts Institute of Tecnology, su richiesta del Club di Roma (fondato quattro anni prima dall'italiano e piemontese Aurelio Peccei, assieme a premi Nobel, leader politici e intellettuali). I risultati furono pubblicati in un libro nel 1972 dal titolo “The Limits to Growth” (“I Limiti dello Sviluppo”, a cura di Dennis L. Meadows, Jorgen Randers, William W. Behrens III, Mondadori, Milano, 1972) che fu il primo studio scientifico a sollevare la questione ambientale in termini globali:
“Nell'ipotesi che l'attuale linea di sviluppo continui inalterata nei cinque settori fondamentali (popolazione, industrializzazione, inquinamento, produzione di alimenti, consumo delle risorse naturali) l'umanità è destinata a raggiungere i limiti naturali dello sviluppo entro i prossimi cento anni. Il risultato più probabile sarà un improvviso, incontrollabile declino del livello di popolazione e del sistema industriale”. Il rapporto metteva in discussione la cosiddetta “ideologia sviluppista”, secondo cui i paesi industrializzati potevano continuare a crescere secondo i ritmi e i modi dei decenni precedenti, e la soluzione dei problemi dei paesi poveri sarebbe venuta dal modello della industrializzazione.
La critica di questa ideologia da parte del gruppo di ricerca del M.I.T. era basata sull'esistenza di limiti invalicabili imposti alla crescita economica mondiale dalle risorse naturali disponibili sul pianeta, e più in generale dalla necessità di rispettare le leggi naturali di conservazione dell'ambiente. Da qui si è sviluppato un importante campo di ricerca scientifica ed economica e di indirizzo delle politiche per uno sviluppo sostenibile. Dall'idea dei limiti dello sviluppo e dai fallimenti della industrializzazione è sorto un secondo movimento di studi e di opinione guidato da economisti e sociologi come Ivan Illich (Austria, 1926-2003), Serge Latouche (Francia) Ernst F. Schumacher (Germania), Wolfgang Sachs (Germania), noti anche come “antisviluppisti”.
Questo movimento ha assunto posizione sempre più radicali, fino a sostenere la necessità di abbandonare l'idea dello sviluppo e dell'aiuto allo sviluppo. In primo luogo, con il riconoscimento dell'esistenza di limiti naturali allo sviluppo globale, viene considerato necessario, più che aumentare il ritmo di crescita dei paesi poveri, rallentare quello dei paesi ricchi. In secondo luogo, collegandosi alle versioni moderne delle teorie dello sfruttamento e ai critici della globalizzazione, la semplice esistenza di relazioni economiche, sociali e culturali coi paesi occidentali viene vista come portatrice di effetti negativi per paesi con caratteristiche ambientali, sociali e culturali profondamente diverse tra loro e rispetto ai paesi occidentali. Di conseguenza, si arriva a proporre che non ci si occupi più del cosiddetto problema del sottosviluppo, lasciando che ogni paese, comunità o villaggio trovi la propria via per raggiungere una desiderabile condizione di vita.
“Le nostre società sono voraci, guardano alla natura da un lato come una miniera e dall'altro come a una discarica [...] Tutti dobbiamo prendere il passo più lento [...] La felicità si trova più nell'agire sui desideri che nell'agire sulle cose possedute, nel desiderare di meno piuttosto che nell'accumulare di più” (Wolfgang Sachs).