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Alla musica ci pensa X-Factor

di Simone Belfiori - 26/01/2009

 
 
 

Una volta lessi su “Rockstar” qualcuno che passava in rassegna i cantautori italiani di vecchia data, i pezzi grossi insomma, accusandoli di sindrome da rincoglionimento senile.  Tra questi, ora vi è ufficialmente anche Francesco Guccini, che ha dichiarato che “X-Factor” (format fantasmagorico di raidue dalle ambizioni di talent show che non sarà sfuggito ai più) salverà la musica in Italia. Già, perché si sentiva proprio il bisogno di questo programma. Il sillogismo aristotelico-gucciniano suona un po’ così: i giovani musicisti italiani hanno sempre meno possibilità e visibilità, X-Factor offre entrambe le cose, ergo X-Factor salverà la musica. Il problema è sempre lo stesso: nessuno può affermare che attraverso gli Amici di Turno (e di Maria, di Morgan e di Simona Ventura) possa passare un po’ di qualità, qualcuno dotato e addirittura qualcuno dottissimo. È la legge dei numeri. Il problema è il messaggio che l’esistenza stessa di questi formats televisivi lancia nella testa degli aspiranti artisti che a milioni seguono dalla parte opposta del teleschermo. Nel mondo dell’immagine, si sa, niente immagine equivale a niente esistenza. In un epoca in cui non si vendono più dischi (o se ne vendono sempre meno) e i “cantanti” guadagnano sempre di più da partecipazioni, eventi mediatici, pubblicità e sponsors piuttosto che dai prodotti discografici, apparire è l’unica strada per diventare non principalmente cantanti, ma “figure” musicali pronte al consumo. Chi vuole andare a Talent1, chi pensa che la scuola di Amici sia la scuola di musica italiana per eccellenza, chi vuole andare a X-Factor e via partecipando. Magari saltando la gavetta, perché un Marco Carta qui a Cagliari, nei clubs e nei locali, nelle bands e nei festival, non l’ha mai visto nessuno, e con tutto il talento che può avere, poteva provenire soltanto dal suo mestiere di parrucchiere. E la gavetta è anche quella, quella per 50 euro a serata caricandosi chili e chili di strumenti nella Panda, cercando di acchiappare il pubblico di un locale e litigando con i gestori, mangiando spesso poco e male e rientrando a casa distrutti alle 6 del mattino dopo un lungo viaggio. Questo non ti fa diventare automaticamente un vero artista, ma la strada passa da lì. Anche da lì. Però intanto aprono scuole in tutta Italia sulla falsariga di quella di Maria de Filippi e la sua ghenga, più che amici, “amichetti”: le mamme fanno a gara ad iscrivere le figlie convinte che diventeranno grandi “cantanti”. Le tv locali imitano i formats e via discorrendo. Cosa c’entri tutto questo con la Musica che finora ho conosciuto io, me lo devono ancora spiegare.  Potrei fare anche io il “professore” di queste “scuole”.  Con tutto il rispetto per molti dei nomi che siedono dietro il banco di Canale 5. Jurman è un signor cantante e un signor didatta, e non gli faccio una colpa di presenziare a quel format, in quanto è uno dei pochi che mantiene il suo rigore e la sua professionalità. Fa il suo lavoro, in televisione ma fa il suo lavoro. E poi ci sono tutte le cose tremende dei reality: professori che – istigati da copioni o mercenari consapevoli – litigano tra loro, sputtanando pubblicamente il concetto di autorità della figura docente, dissertando su questioni elementari e promuovendo un relativismo della conoscenza tecnica/artistica che nuoce gravemente alla salute dell’artista. Giovani divisi per “squadre” e in “sfida”, in perenne competizione, come se cantare ognuno col proprio stile, magari con equivalente capacità ma con diversità equivalesse ad una partita di calcio. Passa il messaggio di una musica in competizione, pienamente funzionale al mondo del mercato, dell’homo homini lupus e dell’artista artista lupus, dove il vincente è solo il più funzionale al discografico, alla telecamera o peggio ancora, al pubblico da casa, costituito (mi vergogno pure a doverlo dire) da una miriade di squinziette in fumo da menarca, mamme catodiche e zie nazional-popolari. Ma si parlava di X-Factor, mi sono infervorato, perdonatemi. Già, X-Factor salverà la musica. La musica poi è nelle mani di Simona Ventura, quindi siamo in una botte di ferro. Come può la musica italiana (e le relative nuove leve) passare attraverso il vaglio di soli tre “giudici”, di cui uno è la neo-reginetta del varietà della Rai, che negli ultimi anni ha assunto un atteggiamento di onnipotenza (dato dai continui nuovi incarichi e dalla corrispondente impennata iperbolica di autostima) tale da farle credere di poter dissertare in prima serata di argomenti di cui s’intende meno che un lombrico di fisica nucleare? E’ evidente che non capisca una cippa di musica, ma ha il 33% di facoltà decisionale su quale sarà la prossima Giusy Ferreri. Che, per inciso, qualche discografico ha pensato da subito di modellare secondo i canoni americanomorfi di una Amy Winehouse al pomodoro e basilico. Giusto per chiarire quali artisti “sinceri” possono venire fuori dalla panacea di raidue. Morgan poi, poveretto, è un gran musicista e per certi versi un pesce fuor d’acqua lì, ma ha perso molti punti. Del resto, avrei dovuto immaginarlo: è un dandy dei poveri, lo è sempre stato e anche per lui l’immagine è tutto. Della vecchia non parlo, che poi mi si viene a srotolare il suo curriculum nel campo discografico italiano e allora vengo tacciato di ignoranza, solo perché giudico a prescindere dalle carte.  Dovrei guardare meno televisione, già. Ma te la sbattono in faccia, come si fa? In ogni caso, non si preoccupino i detrattori di chi come me è sempre pronto a criticare ogni gingillo della modernità tra cui i reality: torno alla mia vita di musicista fallito, invidioso e pettegolo: son tranquillo, tanto alla musica ci pensa X-Factor.