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Rapporto Worldwatch Institute: 20 anni perduti

di redazionale - 27/01/2009

 

Un decalogo per un mondo a emissioni zero. La ricetta per invertire la rotta attuale sulle emissioni, nel Rapporto annuale del "Worldwatch Institute", che ogni anno raccoglie gli interventi di 47 tra i principali studiosi al mondo sui cambiamenti climatici.

energia_solareSecondo il rapporto, intitolato "Lo stato del mondo - Verso un mondo più caldo", nonostante la scienza avesse dato indicazioni, nel bilancio della lotta contro l'emergenza clima, gli ultimi vent'anni sono stati "sprecati" e le emissioni di gas serra all'origine del problema continuano ad essere in salita.

Per questo serve correre ai ripari. Al primo punto del decalogo la necessità di cominciare a "pensare a lungo termine", quindi innovazione, sviluppo di tecnologie efficienti per produzione e uso dell'energia verde, cioè a zero emissioni. Riaprire il dialogo sul futuro della popolazione mondiale e promuovere politiche e programmi per favorire il rallentamento e invertire la crescita demografica. Per combattere l'emergenza clima e salvare il Pianeta non basta certo la sola tecnologia, per gli esperti del Worldwatch è necessaria una profonda revisione degli stili di vita. Abitazioni e automobili sovradimensionate, consumi dettati dallo status, viaggi a basso costo in giro per il mondo, grande consumo di carne, la mentalità dell'usa e getta. Il rapporto ricorda la situazione in tempo di guerra, quando tanti cittadini hanno fatto sacrifici. "Anche se adesso non siamo in guerra - si legge - potrebbe essere arrivato il nostro momento".

Altro capitolo da affrontare è quello dell'inversione del flusso di anidride carbonica e altri gas serra causati da disboscamento e degrado delle foreste. Ogni anno, con un'adeguata gestione, il terreno potrebbe assorbire circa il 13% di tutte le emissioni causate dall'uomo. Un fattore chiave di questa battaglia contro il tempo è una buona "governance", che dipenderà da Nazioni Unite, banche multilaterali, governi nazionali, con nuove istituzioni e fondi.

Nuovo imperativo poi deve diventare il principio dell'equità, perchè un accordo sul clima che funzioni dovrà trovare i meccanismi per la condivisione di oneri ed eventuali disagi, tenendo conto di ricchezze acquisite e capacità. Senza dimenticare la necessità di mettere a punto misure per mantenere una certa stabilità economica, oltre che politica, per dare modo al mondo di rivedere le proprie strategie per stabilizzare il clima, a cominciare dal portare a casa il risultato alla Conferenza Onu di Copenaghen a dicembre 2009. Il rapporto snocciola molti dati sulla necessità di agire in fretta, tra cui il fatto che negli ultimi vent'anni, al miliardo di abitanti dei Paesi industrializzati (solo gli Usa con il 4,6% della popolazione mondiale sono responsabili del 20% delle emissioni di CO2 da combustibili fossili), si sono aggiunte le ben più numerose popolazioni dei paesi in via di sviluppo.

Le emissioni globali di CO2 da combustibili fossili e la produzione di cemento sono passate da 22,6 miliardi di tonnellate nel 1990 a circa 31 miliardi di tonnellate nel 2007 (+37%). Ogni giorno vengono immesse nell'atmosfera 85 milioni di tonnellate di anidride carbonica, cioè mediamente 13 kg pro capite. Tra il 1990 e il 2008, negli Stati Uniti le emissioni di anidride carbonica da combustibili fossili sono aumentate del 27%, in Cina del 150%: da 2,3 a 5,9 miliardi di tonnellate, un numero destinato ad aumentare rapidamente. Ma non c'è solo l'accelerazione delle emissioni. La deforestazione tropicale, stimata attorno a 13 milioni di ettari annui, aggiunge annualmente 6,5 miliardi di tonnellate di anidride carbonica nell'atmosfera. E i "serbatoi" naturali della Terra, oceani e sistemi biologici, sembrano perdere la capacità di assorbire quote importanti delle emissioni.