A colloquio con Riccardo Petrella sull'idea di "sviluppo"*
di di Achille Rossi - 24/02/2006
Fonte: decrescita.it
Negli ultimi 30 anni c'è stato un impoverimento generalizzato della popolazione e sono cresciute anche le disuguaglianze all'interno dei paesi del nord del mondo. L'economia deve puntare ad assicurare e garantire, nel più breve tempo possibile, il diritto alla vita di tutti gli esseri umani. A colloquio con Riccardo Petrella, docente di economia all'Università di Lovanio e promotore del Contratto mondiale dell'acqua. Per quali ragioni è andata in crisi l'idea di sviluppo nel mondo occidentale? Originariamente il concetto di sviluppo aveva un significato ampio, indicava la capacità di liberarsi dalla condizione di povertà ed era legato all'idea di giustizia. Negli ultimi tempi, invece, è stato identificato sempre di più con l'aumento della capacità produttiva, con la tecnologia e quindi con la crescita economica. Sviluppo è passato a significare crescita quantitativa dei prodotti destinati al consumo. Lo sviluppo è diventato sempre meno sociale, meno umano, più finanziario, più abusivo e predatore della natura. Così già attorno agli anni Sessanta ha preso corpo la reazione ambientalista contro uno sviluppo che non rispetta la natura. Sempre nello stesso periodo è sorta una critica alla tecnologia disumanizzante, accusata a giusto titolo di essere distruttrice sia della libertà umana che della natura. Ecco come si è affermata l'idea che questo sviluppo, identificato con la produzione massificante di oggetti destinati al consumo individuale, non sia più praticabile. Per uscire dall'attuale crisi economica i politici parlano di accrescere la competitività e di rilanciare i consumi. Lei ritiene che sia una strada percorribile nel lungo periodo? Mi sembra, anzi è, sbagliata e falsa. Invece di promuovere un'”altra crescita” che non aumenti i consumi, i cui processi produttivi sono devastanti, s'invita la gente a comprare. Ma cosa dovrebbe comprare: più macchine, più telefonini, più case? Una delle caratteristiche dello sviluppo degli ultimi 30 anni è stato l'impoverimento sempre più generalizzato della popolazione e la crescita delle ineguaglianze all'interno dei paesi del nord del mondo. In questa situazione rilanciare i consumi mi pare addirittura perverso, perché significa premiare solo coloro che posseggono il potere d'acquisto nel momento in cui non tutti lo detengono e rinforzare la disuguaglianza sociale ed economica fra la gente e fra i paesi. Alcuni studiosi ritengono che si debba abbandonare l'idea di sviluppo sostenibile e parlare addirittura di decrescita. Qual è il suo parere? Il concetto di sostenibilità aveva rappresentato un grande passo avanti e anche una risposta del sistema alle critiche nei confronti di un modello di sviluppo rivolto a consumi sempre più quantitativi e massicci. Proporre uno “sviluppo sostenibile” significava aver accettato l'idea che non si potevano produrre beni e servizi senza rispondere a determinati requisiti fondamentali sul piano umano, sociale, ambientale. Pian piano, però, il sistema dominante si è appropriato di questo concetto e lo ha addirittura pervertito, teorizzando l'idea che uno sviluppo sostenibile sia la condizione migliore affinché le imprese capitalistiche operanti sul mercato diventino competitive. La cultura dominante ha completamente snaturato l'idea di sostenibilità, reintroducendola nel sistema come parametro strumentale al servizio della competitività e quindi della creazione di valori per il capitale finanziario. Così la sostenibilità è perfettamente coerente con lo sviluppo dei consumi e dev'essere rifiutata nell'uso che ora ne fa il sistema dominante, che ha bruciato il concetto di sviluppo sostenibile qual era stato originariamente concepito. Oggi tatticamente bisogna opporsi allo sviluppo sostenibile, com'è predicato e raramente praticato dal sistema dominante e introdurre due concetti alternativi. E quali sarebbero? Il primo, già proposto negli anni Novanta, è l'“altra crescita”. Non si può tollerare che tra 20 anni più di due miliardi di persone abitino ancora in bidonville. Deve crescere la capacità della gente di procurarsi alloggi anche su base comunitaria e per mezzo di cooperative. Alloggi costruiti magari dagli stessi abitanti. Questo tipo di crescita mi sembra assolutamente indispensabile. L'altro concetto è quello di decrescita: è necessario ridurre, eliminare processi produttivi inquinanti, prodotti che implicano la sostituzione del lavoro umano quando non è giustificata. Bisogna ridurre non solo i processi di produzione ma anche l'uso dei prodotti stessi. In un mondo dove un miliardo e mezzo di persone non hanno accesso all'acqua potabile, i 2 miliardi e 400 milioni che l'hanno già devono diminuirne il consumo. L'economia consumistica, capitalistica e finanziaria, si basa sull'amplificazione dello scambio. Da 50 anni a questa parte i teorici del sistema ci ripetono che non c'è ricchezza né futuro senza aumentare gli scambi internazionali. Il Wto riposa sull'ideologia che la ricchezza passa attraverso lo scambio. Invece è necessario ridurre le logiche dello scambio. In Italia, ad esempio, bisogna contrastare la pratica commerciale di tipo capitalistico che fa sì che le popolazioni del Meridione consumino acqua minerale in bottiglia prodotta nelle regioni del Nord. Ogni giorno assistiamo a mille treni di chilometri equivalenti di camion che trasportano, con grande spreco di energia, le acque minerali imbottigliate nel Nord per venderle al Sud e viceversa. È un nonsenso che dev'essere eliminato. In fondo lei auspica un'economia più saggia che sappia usare le risorse disponibili in maniera più umana, più democratica, più rispettosa dell'ambiente, della bellezza, delle diversità, dei diritti delle generazioni future. Facendo così cresce la libertà dalla miseria, dalla massificazione, dall'esclusione e le risorse vengono usate in spirito di giustizia e di solidarietà. Basta auspicare una tecnologia più efficiente per ridurre i consumi di risorse e di energia o bisogna mettere in discussione il nostro modello di società? Si tratta di ripensare il ruolo della condizione umana e la finalità stessa del vivere insieme, sia a livello locale che a livello mondiale. All'interno di questo quadro è necessario ridefinire la funzione della conoscenza, quale è stata applicata attraverso i metodi scientifici e gli strumenti tecnologici. La tecnoscienza si è appropriata del concetto di sviluppo, dando a credere che la creatività e il progresso degli esseri umani passino attraverso l'aumento di conoscenze derivanti da tecnologie capaci di soddisfare sempre più i bisogni individuali. Tutto questo dev'essere cambiato; le forze di sinistra devono rivedere profondamente la concezione della scienza e della tecnologia, perché il loro sviluppo e il loro uso negli ultimi cento anni è stato orientato dalla logica di crescita della ricchezza individuale. Potrebbe descriverci le caratteristiche di un paradigma economico che prenda congedo dallo sviluppo e realizzi un futuro sostenibile? Due ne sono gli elementi definitori: il primo è il diritto alla vita di ogni essere umano e di tutti gli abitanti del pianeta. Le regole dell'economia, che etimologicamente significa proprio “regola della casa”, devono puntare, nel più breve tempo possibile, ad assicurare e garantire il diritto alla vita di tutti gli esseri umani senza alcuna discriminazione o condizione. Il secondo elemento del paradigma è che le stesse regole permettano all'insieme dei membri di una comunità, dal villaggio alla comunità internazionale, di vivere insieme in maniera ragionevole, pacifica e solidale. Questo significa reintrodurre nella teoria e nella prassi economica i concetti di amicizia, solidarietà, cooperazione, che ne sono stati espulsi da più di un secolo, perché si sono privilegiati l'interesse, la competizione, la rivalità, la conquista. |
A colloquio con Riccardo Petrella, docente di economia all'Università di Lovanio e promotore del Contratto mondiale dell'acqua - l’Altrapagina, 15 gennaio 2006