Lunedì sera siamo stati a Bussoleno e abbiamo potuto respirare un po' dell'aria che tira in Val Susa quando si parla di ricadute olimpiche. E, a parte alcuni limitati casi, se ne è ricavata l'impressione che il ritorno economico e turistico sia stato minore delle promesse iniziali e delle aspettative che ne erano scaturite. In particolare questo è vero tra gli abitanti dell'alta valle che vi avevano ingenuamente riposto grandi speranze - quelli della bassa infatti hanno sopratutto funto da corridoio di attraversamento. Le riflessioni si sono allargate ai modelli di "sviluppo" che vengono proposti (ed accettati) per il territorio. Nonostante sul campo le idee non manchino, anzi, c'è l'impressione che in occasione di grandi eventi organizzati in modo piramidale e accentrato, sia molto difficile per chi non frequenta le stanze dei bottoni fare passare la svolta verso un turismo più soft. Sono inoltre eventi che portano implicitamente con sè una grande fretta: immaginate le centinaia di lavori, autorizzazioni e cantieri accavallatisi dal 2001 alla settimana scorsa.
Un'abitante dell'alta valle, che preferisce restare anonima, ci offre una versione critica della montagna di oggi dipingendola come "problematica e piena di contraddizioni: un ambiente montano notevolmente compromesso da infrastrutture e cemento, un'economia basata su turismo di massa e costruzione e fruizione di seconde case ed il passaggio in media di 5.000 tir al giorno con pesanti ricadute sulla qualità dell'aria". L'interlocutrice se la prende con "un modello economico che sembra aver snaturato e trasformato la montagna in un grande parco dei divertimenti per turisti che riproduce lo stile di vita cittadino, rendendo malato l'ecosistema alpino" ma al contempo riconosce che quello stesso modello "dà la possibilità ai valligiani di vivere in queste montagne che altrimenti sarebbero state abbandonate per cercare sostentamento nelle città vicine". Ecco così la temuta contraddizione, cioè "il tentativo di offrire un prodotto appetibile sul mercato turistico basato sull'immagine distorta di una valle alpina dove contemporaneamente possiamo trovare le tradizioni e la cultura tipica del montanaro affiancata dal più moderno impianto sciistico e dal locale alla moda". E le municipalità montane, coinvolte nel processo decisionale sin dagli albori, come si sono atteggiate? "Probabilmente - ci risponde - all'inizio avevano la speranza che si potesse fare qualcosa di utile per il territorio", ma successivamente anche fra loro è intervenuta la presa di coscienza che il grande evento "non avrebbe portato quella ricaduta economica sperata e soprattutto che si sarebbero trovati il compito di gestire un'eredità difficile".
Così, quando le chiediamo come si vivono questi giorni in alta valle, ci parla della sensazione diffusa che "la tanto ostentata febbre olimpica non abbia contagiato nessuno e che gli animi siano stati e siano piuttosto tiepidi". Sono commenti che ricordano da vicino la fredda disillusione che colpì il post-mondiali di sci di Sestriere '97. Due gravi sottovalutazioni dei rischi in soli 9 anni sono troppe e richiedono, una volta per tutte, che ci si impegni a non ripeterle mai più nel futuro. Se si vuole salvare il salvabile.