Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Il cinema secondo Van Damme

Il cinema secondo Van Damme

di Simone Bedetti * - 30/01/2009

 

Il libro che hai scritto insieme a Lorenzo De Luca, Il cinema secondo Van Damme, a scapito di un titolo un po’ ironico e ingannevole, non è un libro simpatico o trash. È un libro serio su Van Damme. Perché? Come vi è venuta l’idea?
Il libro nasce per una precisa ragione: Van Damme è il mio mito. E allora insieme all’amico Lorenzo De Luca mi sono domandato: perché Van Damme è il mio mito? Il libro è la risposta a questa domanda. È il racconto di un tentativo di risposta, anzi è il farmi raccontare da me stesso questo tentativo di racconto, poiché ormai non ci sono più cantori ma solo giornalisti e quindi sono rimasto solo, come solo è Van Damme. Il libro è dunque il racconto del perché Van Damme, e il suo cinema, sono per me mitici, che cosa mi smuovono, dirò di più, con quale dimensione mi mettono in relazione. Perché è questo ciò che io provo quando guardo un film con Van Damme o un film di arti marziali, è qualcosa di totale, qualcosa di mitico. Van Damme è il mio mito perché il suo è un cinema mitico. Ho cercato di capire con i miei strumenti prediletti, cioè quelli storici, che cosa rende per me così potente, così significativo questo cinema mitico.

Si può definire un tipo di cinema come quello di Van Damme attraverso un personaggio che a qualcuno potrebbe apparire la negazione del cinema? Spiega che cosa desideri tu dal cinema, che cosa vuoi, che cosa ti interessa.
Io nel cinema cerco proprio questo: cerco il mito. Guardo la grammatica di questo mito: la violenza, il sangue, la sofferenza fisica, lo smembramento, la morte, l’iniziazione, il sacrificio, l’esercizio fisico, la disciplina, il senso di appartenenza a valori assoluti più potenti dell’individuo come la giustizia, il bene, l’amicizia. La lotta disperata contro un destino già scritto, la solitudine che deriva dall’ingiustizia di questo destino. Siamo nel pieno tragico dell’eroe greco, in quella condizione di doppio propria di Ercole, di Achille, di Van Damme che in tanti film interpreta doppi ruoli. Vedi che è di questo che si sta parlando? Quale altro cinema mi parla di questo, quale altro cinema, se non quello di Van Damme, mi mette in contatto con il mito, cioè, e lo voglio dire chiaramente, con la presenza della dimensione spirituale? Contro chi lotta Van Damme se non contro chi vuole far sparire tutto questo? Adesso sembrerà l’intellettuale a parlare se dico che amo molto un filologo tedesco, si chiama Walter Friedrich Otto. La cosa che mi colpisce di più è che per tutta la vita ha creduto veramente che gli dei, un tempo, avessero camminato con gli uomini. Ne è così convinto che mi ha convinto. E quando vedo un film di Van Damme, quando vedo il mio mito, io la sento, ridi pure se vuoi con tutto il disincanto postmoderno, io la sento la presenza degli dei, come dice Artaud in una delle più belle frasi che abbia mai sentito: “Vi sono degli dei nel cielo, degli dei, vale a dire delle forze che non domandano che di precipitarsi.” Chi oggi mi mette in contatto con tutto questo, chi oggi mi mette in contatto con il divino, Scamarcio?

Per quale motivo secondo te Van Damme non ha mai raggiunto lo status di stella cinematografica “accettabile” ma è sempre rimasto in una nicchia che sa tanto di B? Perché è uno sfigato, insomma?
Van Damme è uno sfigato perché è nato sfigato. Cioè Van Damme si afferma storicamente quando quel cinema, retorico, primitivo, mitico, era al tramonto. L’anno fatidico è il 1988: Van Damme incontra il suo primo grande successo con Senza esclusione di colpi. Lo stesso anno esce Die Hard. Die Hard è secondo me il film spartiacque del moderno/postmoderno: non è più il corpo dell’atleta-attore, il suo fisico, a fare l’azione, ma il dispositivo, la macchina spettacolare. Inizia l’epoca del disincanto, alla retorica si sostituisce l’ironia, la battuta, la citazione, l’ammiccamento, l’essere cool. Van Damme nasce insomma anacronistico. E questa sconfitta assoluta, ancora una volta mitica, non certo bassamente generazionale o ideologica, ma mitica, lo rende ancora più eroico.
Perché, avete visto, Van Damme non si è piegato, l’eroe tragico ha seguito fino in fondo il proprio destino. Fa film minori, minorissimi, meno che minori, circolano non si capisce bene dove, neanche su E-mule li trovi. E noi siamo ancora con lui, al suo fianco, lo seguiamo sempre, indefessi, come i culti pagani sopravvivono nelle catacombe che furono abitate dai cristiani quando erano perseguitati. Noi siamo sempre qua perché siamo certi che tornerà, un giorno, Van Damme, tornerà, proprio come dice un altro mio mito, Franco Battiato: tornerà, la moda dei Vichinghi.

*Intervista di Federico Bernocchi  aSimone Bedetti per il programma Dispenser, Radiodue.